Il tema dell'immigrazione nella campagna elettorale americana
Voci dall'America

Il tema dell'immigrazione nella campagna elettorale americana

La drammatica questione migratoria è uno degli argomenti centrali della campagna presidenziale negli Stati Uniti, come già fu nelle ultime due occasioni. Come otto anni da destra si fa leva sulla paura che i nuovi americani incutono non tanto ai settori privilegiati della società, ma a quelli più deboli. Allora il tema si collegava alla politica industriale ed alla delocalizzazione che  aveva svuotato i vecchi centri produttivi urbani, mentre oggi, dopo la pandemia e la ripresa economica, si pone direttamente sul piano dell'identità: ciò che definisce gli americani non è più quello che ognuno realizza e come lo realizza, ma da dove viene e, sempre più spesso, di che colore sembra la sua pelle. Ma questo non riguarda certo solo gli americani, ma tutto il mondo, perché la mobilità di grandi masse di persone è uno degli eventi chiave di questo secolo.

Uno studio recente del Migration Policy Institute  afferma che “la mobilità ha raggiunto una nuova scala e complessità in mezzo a rapide trasformazioni, che vanno dalla crisi climatica all’urbanizzazione, alla digitalizzazione fino al cambiamento demografico”, mentre le crisi politiche hanno costretto milioni di persone a spostarsi, proprio come il riscaldamento globale ha trasformato il fattore climatico da semplice ipotesi futura a realtà attuale. Nel frattempo, si aggravano le asimmetrie demografiche, con intere aree del pianeta in cui l'età media aumenta, mentre altrove ad aumentare in modo esponenziale é la popolazione giovanile.  Questi fenomeni sono tutti dei moltiplicatori che aumenteranno il fenomeno migratorio nei decenni a venire, e il mondo continua ad affrontare la questione frammentato e ancorato a vecchi criteri, il cui impatto sul problema è sin qui stato nullo.

Nel rapporto vengono evidenziate cinque aree critiche:

  1. migrazione irregolare verso l’Europa ha raggiunto i livelli più alti di sempre, malgrado l'aumento dei controlli che hanno spostato le rotte usate verso corridoi pericolosi e precedentemente meno utilizzati;
  2. ripresa della migrazione verso i Paesi del Golfo: dopo una pausa dovuto alla pandemia, il Golfo è la meta dei migranti dal Sud-Est asiatico e dall’Africa orientale;
  3. l’Africa meridionale é colpita dalla precarizzazione dell'emigrazione: un microcosmo di movimenti locali, circolari e a breve termine in cui anche emigrare sta diventanto un fatto precario;
  4. in Afghanistan il ritorno dei Talebani al potere ha bloccato la mobilità interna e quella da e per l'esterno del paese, ma si teme una ripresa ed un aumento della pericolosità del fenomeno,in particolare per donne  e giovani;
  5. nell'emisfero Americano la migrazione è ormai sistemica; dopo decenni di emigrazioni dall’America Latina, la regione è interessata da flussi continui e contraddittori, in ogni direzione: locali ed esterni (si pensi a Venezuela e Haiti), temporanea e a vocazione permanente, frontaliera e ma attraverso l'intero l’emisfero, verso gli Stati Uniti.

In Europa si continua ad affrontare il tema dell'immigrazione con filtri ideologici e strumentalizzazioni politiche che allontanano la possibilità di definire reali politiche di gestione del fenomeno. Il recente "Patto sulla migrazione e l'asilo" (14 maggio 2024) mette più attenzione sulla fase dei controlli (Screening rigido per identificazione, Banca dati Eurodac rafforzata, nuove procedure per rimpatri e protocolli di crisi). Al contrario restano incerte e affidate alla volontà politica dei singoli stati membri, le misure di solidarietà permanente, il sostegno operativo e finanziario, la definizione della competenza per le domande di asilo e il controllo dei cd movimenti secondari.

Nella ormai confinante Gran Bretagna, l'immigrazione è al centro del dibattito anche per discutibile merito di Nigel Farage, tornato in lizza per le imminenti elezioni politiche, che ha reclama misure anche più rigide delle recenti e sciagurate iniziative di deportazione di massa dei migranti. La maggioranza macroniana, che non aveva dapprima ceduto sul prinicipio della Francia come terra d'asilo, ha approvato una legge sull'immigrazione che è stata largamente censurata dal Consiglio Costituzionale (35 articoli su 86).  Da ultimo le elezioni europee hanno visto progredire formazioni, provenienti da almeno quattro stati membri, che fanno della lotta all'immigrazione il primo argomento della loro agenda politica.

Negli Stati Uniti ai fattori economici si aggiungono tematiche identitarie ben diverse da quelle che conosciamo in Europa. La società americana è nata da un fenomeno migratorio di tipo coloniale, in cui i coloni hanno riscattato il loro passato per sè, e, almeno per un lungo periodo di quasi due secoli, per quanti si sono poi aggiunti condividendo il progetto di vita americano. Con la rilevante eccezione della tardiva, e sanguinosa, inclusione a pieno titolo della popolazione afroamericana. C'è sempre stato spazio, negli Stati Uniti, per chi fosse pronto e capace nel contribuire al rafforzamento del sogno americano. Per questo il cambiamento sociale è stato a lungo continuo e diffuso. E in parte continua, ma le categorie sono ben lontane da quelle che utilizziamo nel vecchio continente, e c'è un'area della popolazione che fa dell'identità un elemento di selezione sociale.

E' significativo in questo senso che il governo USA stia cambiando il suo approccio formale alla questione razziale sottesa a quella migratoria.  Il Census Bureau ha cambiato, per la prima volta dopo 27 anni la classificazione della popolazione in base alla razza e all’etnia. Forse lo stimolo è venuto dall'approccio dei media dominanti, come Facebook, che ha una gamma di 50 diverse possibilità di identificarsi per genere e razza. L'intento dichiarato della burocrazia federale è di quantificare in modo più accurato i residenti secondo le categorie in cui si identificano. Nel nuovo modulo del censimento si chiede di scegliere più categorie contemporaneamente, ad esempio “Nero”, “Indiano americano” e “Ispanico”, anche perché un gran numero di neo cittadini sembrava indeciso nel rispondere a domande separate su razza ed etnia.  

Ad occhi europei, che vedono con sospetto ogni utilizzo della parola "razza", questi ragionamenti suonano vagamente inappropriati, ma non altrettanto in una società composita come quella nord americana, che affronta l'argomento in modo pragmatico, cercando di di cogliere l'identità più piuttosto che una volatile appartenenza di classe.

In qualche modo questa evoluzione amministrativa contribuisce a spiegare perché nelle ultime elezioni si è consolidata ad esempio la tendenza al voto repubblicano delle minoranze ispaniche, cresciute enormemente in stati importanti e popolosi come California, Texas e Florida. Si tratta di una fascia di americani che hanno conquistato benessere e riconoscimento sociale, che si vedono parte crescente e distinta della società americana, più che integrati nella società entro le vecchie distinzioni etniche. E sono una delle fasce più colpite dalle nuove ondate migratorie, che tolgono loro oltre che posti di lavoro, prestigio e accettazione sociale.

Ma al di fuori della retorica elettorale é chiaro che il tema dell'immigrazione incombe a qualsiasi latitudine, e che tocca alla politica fissare dei criteri nuovi per regolarne la dinamica.

Purtroppo, malgrado l'impegno assunto di voler ripristinare il “ruolo storico della nazione come rifugio sicuro per rifugiati e richiedenti asilo”, il Presidente Biden si è reso protagonista di una politica contraddittoria. Da un lato Biden si é piegato alle necessità elettorali, e nel tentativo di recuperare voti, lo scorso 5 giugno ha approvato un ordine esecutivo che impone sostanzialmente la chiusura del confine sud degli Stati Uniti. Pur di cercare di neutralizzare la retorica del suo avversario nella contesa presidenziale, Biden ha sfidato i malumori di ampi settori del suo partito, e rischia di  coivolgere l'amministrazione in una serie di procedimenti giudiziari. Poi il 18 giugno l’amministrazione Biden ha annunciato di avere dato la possibilità di rimanere negli Stati Uniti e lavorare legalmente ad alcune categorie ad alcuni immigrati privi di documenti. Si tratta di immigrati sposati con cittadini statunitensi, entrati negli Stati Uniti da almeno 10 anni. Circa 500.000 persone, secondo la CNN, potranno beneficiare di questo provvedimento. Per contro da parte repubblicana, c'è totale opposizione alle misure dell'amministrazione in carica. E in campagna elettorale Trump accusa Biden di tenere comunque la “frontiera aperta”, sostenendo che il Presidente é parte di un complotto per convincere gli immigrati privi di documenti a votare contro i diritti dei veri americani.

Al di fuori della retorica elettorale, é chiaro che il tema immigrazione incombe a qualsiasi latitudine, e tocca alla politica fissare dei criteri nuovi per regolarne la dinamica.

www.migrationpolicy.org/research/state-global-mobility-aftermath-covid-19
www.theatlantic.com/ideas/archive/2024/05/america-needs-philosophical-reboot-immigration-policy/678535/

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