27 12 2020 Anti trust USA: dagli anni ruggenti al boom economico (2)
Come brevemente delineato nel post del 20 Dicembre, le elezioni presidenziali del 1912 favorirono un'accelerazione della politica anti trust del governo federale. Tutti i candidati in lizza erano favorevoli al principio della regolamentazione della concorrenza, e il principio stesso dell'anti trust venne così accettato da una larga maggioranza di americani. Il nuovo Presidente W. Wilson era un giurista e un accademico, privo di esperienza pratica, e si affidò in materia di anti trust al suo consigliere legale Louis Brandeis, destinato a diventare uno degli uomini di legge più influenti del Novecento.
La visione complessiva che Brandeis aveva dell'attività anti trust, orientò le innovazioni normative introdotte nei primi anni dell'amministrazione Wilson: il Federal Trade Act che creò la commissione federale per il commercio nel 1914 e il Clayton Act che segnò una svolta verso una più attiva politica anti trust, sempre più affidata a una tecnici specializzati nel controllo del rispetto della concorrenza più che alla pura lotta ai monopoli.
Negli anni Venti la Corte Suprema applicò questa visione complessiva, sotto l'impulso di Brandeis che ne fece parte dal 1916, pur restando aderente ad una interpretazione prudente e flessibile della "rule of reason". Nel caso Chicago Board of Trade vs USA si pronunciò per un'estensiva interpretazione dello Sherman Act, dichiarando lecita la pratica di controllare i prezzi durante la chiusura delle sessioni di mercato (1918). Le sentenze sulle attività monopolistiche nel controllo dei prezzi e sulla dimensione delle imprese (US vs Colgate 1919 e US vs Unites Steel 1920) riaffermarono il principio che non fosse la violazione in sè, a costituire attività illecita, ma le sue conseguenze sulla libertà del mercato e della concorrenza.
Una nuova categoria di potenziali illeciti venne alla luce, in forza dell'evoluzione dei sistemi di gestione aziendale e della migliorata capacità di analisi della struttura amministrativa: la condivisione di informazioni al fine di alterare il mercato. Anche nei casi che le vennero sottoposti in questa materia (Flooring Asssociation vs US 1925 - American Lumber vs US 1921), la Corte affermò una variante della "rule of reason" stabilendo che la condivisione di informazioni e persino le intese sui prezzi, di per sè non costituiscono violazione dello Sherman Act, che invece si realizza qualora l'utilizzo fatto abbia come conseguenza una alterazione del mercato.
La Depressione del 1929 con la gravissima crisi sociale che ne fu conseguenza, convinsero l'opinione pubblica della insufficienza del modello organizzativo dell'economia che aveva fatto compiere grandi progressi all'America, escludendo però un numero troppo elevato di persone e favorendo invece rendite di posizione e attività di pura speculazione. Nel contempo la richiesta di supporto governativo contro la crisi, generò anche la domanda di maggior controllo federale sul commercio. L'elezione di F. D. Roosevelt nel 1932 diede risposta a queste esigenze, e il New Deal inaugurò l'era del dirigismo e interventismo del governo federale. Roosevelt, come il suo omonimo predecessore, era un prodotto dell'establishment, e come lui venne considerato nemico delle corporation (trust busting), mentre era solo partigiano di un intervento equilibratore del governo federale per compensare le inevitabili distorsioni che le corporation producevano nel libero mercato. Nei manuali di storia la sfida di Roosevelt ai trust è simboleggiata dal Glass-Seagall Act, che separò l'attività bancaria commerciale e quella di investimento finanziario, ponendo fine a quella che Roosevelt considerava "speculazione con il denaro altrui". Ma il Presidente era anche preoccupato per il sistema frammentato di piccole banche locali, che vennero sostenute nello stesso provvedimento con l'assicurazione federale sui depositi. L'intervento più incisivo fu però indiretto: promuovendo la ripresa attraverso la nuova agenzia federale National Recovery Administration (NRA), l'amministrazione Roosevelt si dotò di un organo operativo per la definizione e il controllo delle regole per la corretta concorrenza, come premessa per un'economia più giusta. Benché inizialmente colpita da sentenze contrarie della Corte Suprema (Poultry vs US 1935), per eccesso di potere nei confronti del Congresso e degli stati, la NRA riuscì a fare approvare le proprie linee guida da una Corte in linea di principio ostile a Roosevelt. Il New Deal era un esperimento di combinazione fra controllo statale e libertà di mercato, e la Corte considerò costituzionali misure come l'intervento statale nel controllo dei prezzi per garantire l'interesse pubblico (Nebbia vs New York 1934). La scelta di Roosevelt nel 1936, alla vigilia delle elezioni che gli avrebbero assicurato un secondo mandato plebiscitario, di non entrare in guerra con la Corte promuovendone una riforma, si rivelò vincente, perché nel tempo il consenso ed il successo del Presidente, insieme agli argomenti della NRA e al naturale avvicendamento dei giudici supremi, avrebbero finito per far trovare al New Deal un equilibrio costituzionale.
Nella seconda metà degli anni Trenta l'attività della Corte sembrò fare una virtuale opposizione al governo, di cui bocciò alcuni provvedimenti chiave, principalmente in nome della libertà d'impresa e commercio. Ma quelle sconfitte non furono una disfatta per l'amministrazione Roosevelt, che moderò gli slanci dirigisti senza rinunciare ad una regolazione del mercato, nel rispetto dei principi indicati dalla Corte. In particolare sotto l'influsso del giudice Harlan Fiske Stone venne perfezionata la dottrina delle libertà individuali ed enfatizzata l'idea che al potere giudiziario spetti il controllo ultimo sulla vita economica attraverso il filtro delle libertà individuali, che furono attentamente salvaguardate dalla seconda normativa del new Deal. Non a caso Roosevelt nel 1941 nominò Fiske Stone Chief Justice, benché fosse stato portato alla corte dal Presidente Taft, e fosse di provata fede repubblicana.
La seconda fase del new Deal aperta dalla rielezione di Roosevelt coincise con l'inizio della convergenza fra amministrazione e Corte Suprema con la nomina di Thurman Arnold a vice Ministro della Giustizia e capo della divisione antitrust del Ministero. Mentre la Corte affermava la liceità per l'esecutivo di entrare in argomenti sino ad allora considerati di esclusiva pertinenza delle libertà individuali (Dearborn vs Seagram 1937), il governo federale con il Robinson - Patman Act (1936) e il Miller-Tydings Act (1937) stabiliva i limiti entro i quali l'azione delle corporation non violava le prerogative statali e interstatali, e dove finisse la libertà d'impresa per entrare nel campo della speculazione. L'azione di Arnold, un giurista originario del Wyoming, formatosi a Princeton e Harvard e poi divenuto docente a Yale, fu supportata da crescenti risorse economiche e di personale, e consentì di portare numerosi casi di fronte alle corti federali, le cui decisioni ressero al frequente vaglio della Corte Suprema. Dopo aver superato lo scoglio della "rule of reason", si affermava il principio che le condotte aggressive sui prezzi, di per sè ammissibili, passavano il limite di costituzionalità quando finivano per porre barriere che limitavano l'accesso al mercato ai nuovi entranti (Alcoa vs US 1940), andando anche oltre il concetto di territorialità della violazione. In questo periodo l'amministrazione, sotto l'impulso della Divisione di Arnold, finì per costituire una nuova specializzazione di altissimo profilo professionale all'interno della pubblica amministrazione, iniziando un percorso che sarebbe durato fino agli sessanta del Novecento. Le regole per un'organizzazione industriale moderna che progredisse entro i limiti della legge, vennero scritte anche grazie all'apporto teorico e pratico della scuola di Harvard di E. S. Mason e J. Bain, destinata a formare una nuova leva di economisti, consulenti e giuristi convinti delle basi teoriche della normativa anti trust.
Il grande sviluppo economico del secondo dopoguerra offrì nuovi argomenti al dibattito teorico e alle controversie giurisdizionali, ad esempio con la nuova, estensiva, interpretazione del Clayton Act in relazione alle integrazioni aziendali verticali, inizialmente giudicate estranee al perimetro di applicazione della normativa antitrust. Dopo che la Corte Suprema aveva censurato la visione governativa (Columbia Steel vs US 1940), il Celler-Kefauver Act (1950) aggiornò Clayton, estendendo la copertura anti trust ad ogni tipo di fusione o acquisizione che creasse posizioni dominanti. La Corte Suprema, ormai profondamente rinnovata e informata a teorie giuridiche più adeguate alla realtà economica, cominciò a negare validità giuridica a fusioni che soltanto tendessero a ridurre la concorrenza non solo dal in relazione alla produzione e ai prezzi, ma anche in considerazione delle situazioni geografiche del mercato (Brown Shoe vs US 1962 - US vs Continental Can 1964). In alcuni casi la Corte precisò che le fusioni che creavano squilibri nel mercato fossero da invalidare anche se non producevano immediati effetti di restrizione della concorrenza (Philadelphia Bank vs US 1963 - US vs Von Grocery 1966). Persino le partiche di vendita abbinata di prodotti che erano state utilizzate per rivitalizzare le vendite in numerosi settori, furono impedite da sentenze della Corte (Fortner vs US 1969). Secondo la Corte per creare l'illecito era sufficiente che questo tipo di pratiche alterassero il potere competitivo delle aziende, pur senza produrre effetti abusivi nella posizione di mercato.
Altrettanto la Corte ritornò sulla propria decisione del 1919 sul caso Colgate vs US, negando la possibilità per un produttore di imporre le proprie politiche di prezzo ai propri rivenditori, grossisti o dettaglianti che fossero, spingendo lo spirito della normativa ad affermare sempre di più che la regolazione della concorrenza é un interesse pubblico primario da difendere contro ogni tipo di accordo sui prezzi, come sullo scambio di informazioni o sul conseguimento di eccessive quote di mercato.
Alla fine degli anni sessanta la spinta teorica dell'era del New Deal si esaurì, anche di fronte alle dirompenti novità imposte dalla crisi economica e sociale. Per oltre un trentennio il governo federale e la Corte Suprema avevano disegnato, mediante un tacito accordo, un sistema di protezione del regime della concorrenza che dava ampio spazio all'intervento governativo nella delimitazione della libertà d'impresa, giustificata dall'interesse pubblico e compensata dalle libertà individuali.