30 Ottobre 2020 Presidente vs Corte Suprema nella storia Americana

Il Presidente D. Trump si è assicurato un sesto giudice conservatore, blindando una maggioranza che già si è manifestata chiaramente negli ultimi anni, anche se non ha mai completamente rovesciato i giudizi fondamentali dell’ultimo trentennio sui diritti civili, primo fra tutti la sentenza Roe / Wade sull’aborto.

Come abbiamo già commentato analizzando il calendario della Corte per il prossimo trimestre, ci sono molte materie che verranno sottoposte al giudizio dei giudici di Washington, rilevanti per le relazioni dei cittadini con il governo federale così come per quelle di questo con gli stati. Oltre alle numerose questioni che riguardano la Presidenza Trump e personalmente il tycoon su cui la corte si pronuncerà a breve.

Le decisioni della Corte assumono quindi diretta rilevanza nella vita dei cittadini, e possono ribaltare completamente l’effetto della legislazione proposta dal presidente e approvata dal Congresso, nel rispetto del bilanciamento fra le istituzioni e i poteri immaginato dai Padri Fondatori. In un’epoca di radicalizzazione feroce e di azzeramento dello stile e delle pratiche bipartisan come quella che stia vivendo, una corte fortemente orientata su un solo versante dello schieramento politico assume un ruolo anche superiore a quello del semplice arbitro della partita politica.

Da un secolo a questa parte la Corte suprema è diventata un perno della strategia politica di presidenti che intendano modificare nel profondo la società americana. Basta scorrere l’elenco delle nomine per constatare che a nominare il maggior numero di giudici sono stati quei Presidenti intenzionati a incidere in profondità nella mentalità e nel costume politico americano. Senza considerare G. Washington e F. D. Roosevelt, le cui presidenze per epoca l’una e durata l’altra sono uniche e non paragonabili alla media, i presidenti hanno nominato 3 giudici ciascuno, e D. Trump ha già raggiunto l media alla fine del primo mandato. In testa alla lista per numero mdi nomine stanno con sei giudici nominati, A. Jackson, il primo presidente che abbia cercato il consenso popolare in senso ampia, e William H. Taft, 27° Presidente USA, che dopo aver lasciato la Casa Bianca divenne Presidente della stessa Corte. Subito dopo, con 5 giudici ciascuno D. Eisenhower e A. Lincoln, che hanno in comune anche il destino di avere prima guidato gli Stati uniti in una guerra sanguinosa, per poi avviarne la ricostruzione nazionale.

Proprio durante il periodo in cui Taft occupò lo scranno di Chief Justice, si verificò il più alto livello di scontro fra Corte Suprema e Casa Bianca. Da Presidente Taft aveva orientato il paese sulla stessa linea che sarà poi di Harding, Coolidge e Hoover negli anni fra il 1920 2 il 1930 (golden age). La loro politica dopo avere innalzato in modo vertiginoso il tenore di vita degli americani, li vide piombare nella più grave crisi economica e sociale della loro storia. A gestire la rinascita dalle urne era stato chiamato però F. D. Roosevelt, un influente membro dell’elite economica e finanziaria, ma appartenente al Partito democratico. Le ricette economiche di Roosevelt, sulla base teorica di un brillante gruppo di intellettuali appartenenti alla sinistra liberal, incontrarono un’opposizione feroce, che come oggi Trump definiva roosevelt un socialista nei giorni pari e un comunista in quelli dispari. Contro la politica economica di roosevelt si schierò la maggioranza dei settori industriali e finanziari, che operarono in modo coerente quando non coordinato con il settore conservatore della Corte Suprema guidata da Taft.

Non sembri un’esagerazione parlare di coordinamento, se si pensa che in alcuni casi che hanno fatto scuola, tipico Carter vs Carter. James Carter era il maggiore azionista della omonima società, operante nel settore del carbone, e come molti industriali osteggiava le misure prese dal governo federale, dal salario minimo, alla sicurezza sociale, e specificamente sulle pratiche commerciali in base a cui si fissavano i prezzi del carbone. Carter, come privato cittadino e azionista, sosteneva che il governo federale imponendo nuove regole alla Carter Ltd fosse fuori dai limiti costituzionali dei suoi poteri e violasse le prerogative dello stato della Virginia. Per fare certificare questa violazione Carter promosse un’azione contro la sua stessa compagnia, chiedendo che la corte ingiungesse ai managers di non adeguarsi alle norme dell’amministrazione Roosevelt, in quanto in violazione con le norme dello stato della Virginia, dove la Carter Ltd aveva sede. La strategia era stata elaborata da giuristi conservatori vicini al settore conservatore della Corte e allo stesso Chief Justice, Taft.

Il Presidente Roosevelt, che non amava essere contraddetto, durante il primo mandato si limitò a ingaggiare fieri duelli legali a mezzo delle migliori menti legali che sostenevano la sua amministrazione. Durante la campagna per le presidenziali del 1936, Roosevelt riunì il cerchio dei suoi intimi, per studiare quale strategia utilizzare per minimizzare la portata dell’azione della Corte contro la legislazione del new deal.

Dalla riunione uscirono tre ipotesi che vennero analizzate in profondità nelle settimane successive, che passavano tutte per l’approvazione di un emendamento alla Costituzione federale, che permettesse alternativamente di:

1.    dare nuovi poteri al Congresso, con un meccanismo simile a quello del veto presidenziale;

2.    consentire al Presidente di nominare nuovi giudici;

3.    limitare i poteri della Corte Suprema.

Dopo un ampio dibattito in seno all’amministrazione, nessuna di queste ipotesi venne considerata praticabile, prima di tutto per il metodo, che divise in modo netto i collaboratori del Presidente. Proporre un emendamento costituzionale, oltre a richiedere una maggioranza qualificata, avrebbe significato aprire una profonda spaccatura nella Nazione, mentre l’obbiettivo era di ridurre il contenzioso. Inoltre come osservò in quei giorni un futuro Segretario di Stato, Dean Acheson, “…gli emendamenti volti a raggiungere fini specifici, finiscono per causare cambiamenti imprevisti molto più radicali di quanto si desideri, sostituendo nuovi problemi e incertezze a quelli esistenti”.  Saggia considerazione che vediamo provata a proposito di quasi tutte le modifiche costituzionali proposte nelle democrazie occidentali, in Italia in particolare in materia elettorale.

Roosevelt finì per accantonare il progetto aspettando i risultati delle elezioni, che dimostrarono un consenso all’azione del presidente molto più largo di quanto si pensasse in ogni ambiente di Washington. Forte di questo consenso Roosevelt decise di continuare a fronteggiare la Corte Suprema facendo leva sul congresso, a maggioranza democratica. E benché anche durante il secondo mandato l’amministrazione Roosevelt abbia dovuto subire alcune sconfitte ad opera della corte conservatrice, il tempo lavorava a suo favore.

Solo nel 1937 Roosevelt ebbe modo di nominare il suo primo giudice, ma furono poi nove i giudici da lui nominati, e nel 1943/1944, ultimo anno della presidenza Roosevelt prima della sua morte, ebbe una corte interamente da lui nominata, cosa che era accaduta solo a G. Washington.

Alla vigilia delle elezioni del 3 novembre 2020 questo precedente consente di limitare a due le ipotesi sul futuro della Corte. La prima, più semplice, in caso di rielezione di D. Trump, gli Stati Uniti avranno un Presidente ultraconservatore, sostenuto da una corte apparentemente allineata. In caso invece di vittoria di J. Biden, il nuovo presidente si troverà nella stessa situazione di Roosevelt nel 1935, ma senza la prospettiva lunga del suo illustre predecessore democratico. Per l’età avanzata, Biden rischia di essere il Presidente più anziano della storia americana al momento dell’elezione, e da molte parti si avanza l’ipotesi che Biden, se eletto, possa scegliere di restare in carica un solo mandato, per avviare una svolta alla storia americana.