Biden restituisce l'iniziativa strategica al Dipartimento di Stato

La politica estera degli Stati Uniti dopo i quattro anni del neo isolazionismo della dottrina Trump, è stata immediatamente rilanciata nelle prime settimane della Presidenza Biden. Il nuovo presidente ha un materia un'esperienza di tutto rispetto, sia come Vicepresidente che come parlamentare. Si potrebbe dire che i precedenti permettono di classificare Biden come votato al dialogo con i leader internazionali, e decisamente poco propenso all'uso della forza militare al posto dell'azione diplomatica.

Benché secondo i canoni tradizionale, privilegiare le relazioni personali rispetto ai contenuti non sia la migliore strategia di politica estera, questo è lo stile di J. Biden. Il neo Presidente ha avuto in passato contatti diretti con capi di governo alleati, come Merkel, e concorrenti, come Xi, che gli permettono di costruire la nuova strategia americana partendo da una buona base relazionale. Altre presidenze si sono caratterizzate per essere partite da una visione che prescindeva dai rapporti : Jimmy Carter cercò di centrare la politica degli Stati Uniti sui diritti umani, Ronald Reagan sul conflitto ideologico fra USA e Unione Sovietica, George W. Bush scelse la vocazione messianica del ruolo americano di "polizia mondiale", indotto a questo anche dall'attacco alle Twin Towers. Il tono di Biden, e la prima realizzazione, il rinnovo del trattato START con la Russia dopo una telefonata con V. Putin, sono già indicativi della ricerca di un approccio personale volto alla pragmatica risoluzione dei problemi.

Nella quarantennale carriera politica e parlamentare Biden si è schierato contro molti, anche se non tutti, gli interventi militari statunitensi. Ebbe nel 1972 il sostegno dei circoli contrari alla guerra nel Vietnam, votò contro la prima guerra del Golfo, come del resto la maggior parte dei democratici del Senato, ma è stato poi sostenitore degli interventi nei Balcani in all'inizio degli anni '90.  All'epoca Biden motivò la sua posizione come un obbligo morale per gli USA nei confronti dei civili assediati in Bosnia, dopo il fallimento delle operazioni internazionali di mantenimento della pace. Ha votato per la guerra in Iraq, anche se fino all'ultimo aveva cercato, una soluzione che subordinasse l'uso della forza all'approvazione delle Nazioni Unite.

Con questo curriculum quindi non stupisce se una delle prime uscite pubbliche di Biden sia stata una visita, il 2 Febbraio, al Dipartimento di Stato per sostenere l'azione di A. Blinken e sollevare il morale dei funzionari diplomatici, frustrati da quattro anni di attacchi gratuiti di D. Trump alla loro professionalità. Il discorso di Biden, che ha avuto qualche momento della retorica che accompagna questi momenti istituzionali, è iniziato con tre concetti chiari: l'America è tornata, ed è tornata con la diplomazia a difesa della libertà e del rispetto della legge; gli USA hanno immediatamente ripreso a collaborare con gli alleati tradizionali perché le alleanze sono un patrimonio americano; la competizione con gli altri stati è e sarà diplomatica.

Nel citare il rinnovo del trattato START, Biden ha aggiunto di aver detto al Presidente Putin che l'America si pone in modo diverso rispetto al passato di fronte alle violazioni delle libertà e dei diritti umani. Anche su clima e sicurezza sanitaria Biden ha asserito che gli USA cercheranno una cooperazione globale, perché mantenere l'America sicura è il primo obbiettivo della sua amministrazione e di tutto il personale diplomatico americano.

Per ridare morale a questo corpo d'elite sottoutilizzato negli ultimi quattro anni, Biden ha annunciato che il segretario Blinken ha nominato dieci nuovi rappresentanti all'estero, tutti funzionari del servizio diplomatico.

Il contenuto del discorso rappresenta bene il programma di politica estera della presidenza Biden, e verrà certamente analizzato in ogni più piccolo dettaglio linguistico e stilistico. La disamina del discorso tuttavia non può prescindere dall'immagine data dal Presidente stesso: la fissità dello sguardo sul monitor su cui scorreva il discorso, una marcata, ripetuta difficoltà di eloquio, la fatica percettibile dopo venti minuti di performance, sembrano tutti elementi fatti per rinfocolare i dubbi sullo stato di salute del quasi ottantenne neo presidente.

Da un punto di vista pratico, l'amministrazione ha dato un ulteriore seguito, annunciando il 4 febbraio di avere deciso un mutamento sostanziale nell'appoggio all'Arabia Saudita nella controversia sullo Yemen. Il minor coinvolgimento degli Stati Uniti era datato dal nel 2018, con l'interruzione della fornitura di aerei da guerra oltre che ai sauditi anche agli Emirati. Il supporto di intelligence alla coalizione saudita era continuato negli anni di Trump, malgrado l'opposizione del Congresso. La nomina di un nuovo inviato nello Yemen concretizza il nuovo corso della politica USA nell'area del golfo. Uno dei dieci nuovi ambasciatori e capi missione nominati da Blinken è infatti Timothy Lenderking, un funzionario del servizio diplomatico con una profonda conoscenza della regione del Golfo. Il nuovo ambasciatore porta in dote la decisione USA di limitare l'embargo alle armi "offensive". Con questo passo Biden conta di recupera uno spazio di manovra strategico per mantenere la relazione privilegiata con l'Arabia Saudita, che potrà così continuare a contare sulla fornitura di sistemi d'arma difensivi progettati per bloccare attacchi di missili e droni Houthi.

La prima reazione positiva della diplomazia saudita fa pensare che questa novità sia stata concordata fra le due diplomazie, benché di fatto Ryad non gradisca ogni limitazione della sua leadership sulla penisola araba.

Se si tratta solo di un mutamento tattico o del primo atto di un progressivo cambiamento strategico che consentirà agli Stati Uniti di agire come pacemaker nell'area, si vedrà nei prossimi mesi, quando Biden dovrà affrontare i nodi del rapporto con Israele.  La continuità della relazione non è in discussione, ma saranno da gestire le fughe in avanti della Pace di Abramo e di Gerusalemme capitale, decise da inviati personali dell'ex Presidente, senza alcun coinvolgimento del Dipartimento di Stato. Che torna oggi al centro dell'iniziativa di politica internazionale americana.

https://www.state.gov/secretary-antony-j-blinken-introductory-remarks-for-president-biden/

https://foreignpolicy.com/2021/02/04/biden-taps-career-diplomat-as-envoy-to-yemen/?utm_source=PostUp&utm_medium=email&utm_campaign=29810&utm_term=Morning Brief OC&?tpcc=29810

https://foreignpolicy.com/2021/01/15/joe-biden-foreign-policy-relationships-united-states/?utm_source=PostUp&utm_medium=email&utm_campaign=29422&utm_term=Morning Brief OC&?tpcc=29422

https://www.cfr.org/podcasts/transition-2021-how-will-biden-handle-china?utm_source=dailybrief&utm_medium=email&utm_campaign=DailyBrief2021Jan22&utm_term=DailyNewsBrief