Euramerica dopo le prime settimane del Trump bis
A sole due settimane dal rientro alla Casa Bianca, non è facile per gli osservatori definire chiaramente la politica estera del Donald Trump-2.
Rispetto alla politica di Biden, e tralasciando le esternazioni demagogiche - Panama, Canada, Groenlandia - ci sono già evidenti alcune linee di continuità - contro la Cina, per Israele - e alcune discontinuità - multilaterismo, Arabia Saudita. La maggiore incognita riguarda la relazione con l'Unione Europea.
Se è vero che Trump ha minacciato una valanga di dazi anche nei confront i delle nazioni europee, per il momento si sta occupando di colpire le nazioni geograficamente vicine (Messico - Canada - America Latina) con il dichiarato proposit di usare i rapporti economici come leva per rallentare l'immigrazione da quei paesi verso gli USA, e mettere le basi perché i rapporti commerciali siano ancora più profittevoli per gli Stati Uniti.
Nessuna reazione da parte delle istituzioni comunitarie di fronte alla valanga di esternazioni e indiscrezioni in arrivo da Washington, in particolare su ventilati nuovi dazi e richieste di aumento delle spese militari. Forse l'unico atto concreto della Commissione europea è stata l'annunciata nomina di Elisabetta Belloni quale responsabile diplomatica del servizio di consulenza Idea (“Ispirare, discutere, coinvolgere e accelerare l’azione”), che dipende direttamente dalla presidente della Commissione. Un tentativo forse di imprimere unitarietà ad un'azione di politica estera da sempre disordinata, tanto che anche in questa occasione i leader europei si sono presentati a Washington divisi. Il centro studi "Foreign policy" ha distinto fra loro quattro diverse tipologie di approccio verso il nuovo presidente:
1 gli entusiasti,
ovvero i populisti del vecchio continente, con in testa Orban e Meloni, e subito dietro Robert Fico, ansiosi di condividere con Trump una visione regressiva del mondo e persino lo stile politico, aggressivo e irridente verso i riti democratici; malgrado la prossimità ideologica, anche da questi aspiranti amiconi difficilmente Trump potrà ricevere quello che davvero vuole: aumento delle spese militari sino al 5% del PIL e nuovo piano di aumento delle importazioni di beni e servizi americani. Anche le eventuali concessioni miliardarie a Elon Musk potrebbero essere una contropartita insufficiente per un governo USA che avrà un drammatico bisogno di migliorare i conti pubblici;
2 i pragmatici le nazioni del nord Europa, i baltici e la Polonia, già allineati ai desideri di Trump sui contributi NATO, ma per vicinanza preoccupati della politica Russa, sono pragmaticamente pronti a venire comunque a patti con l'alleato d'oltre Oceano; fa storia a sé la Danimarca, nazione di forte tradizione pacifista che già in passato si era adeguata con difficoltà agli standard sulle spese militari, e oggi si ritrova anche a dover difendere una porzione di territorio (la Groenlandia) dalle esternazioni fantapolitiche che arrivano da Washington. Quando il Presidente finirà lo show iniziato con la raffica di firme, non sarà difficile per questo gruppo di stati trovare un'intesa che renda più stretta la cooperazione;
3 i moralizzatori
fra i pochi a cercare di impostare una politica coerente con qualche principio politico base, il cancelliere tedesco uscente Olaf Scholz, che ha un pessimo rapporto personale con Trump e che non perde occasione per rimarcare le differenti impostazioni che i due paesi hanno da decenni nella realta economica e sociale, tanto in materia di welfare che di politica industriale e controllo sociale; anche in Germania al netto delle differenze politiche ed ideali, c'è stata continuità fra le politiche di A. Merkel e quelle del suo successore social democratico;
4 i francesi
con un pizzico di ironia, Atlantic Council mette nel mirino il presidente Emmanuel Macron, da anni ondivago in politica estera, che potrebbe cogliere da due punti di vista l'occasione offerta da uno scontro con Trump: in politica estera, per rivendicare la leadership di un'Europa divisa, e in politica interna per rinverdire l'orgogliosa tradizione gaullista di fiera indipendenza dall'alleato americano, coronando la rincorsa del suo partito verso l'elettorato moderato anche in tema di nazionalismo.
Non bisogna poi dimenticare la Gran Bretagna, che è fuori dall'Unione Europea, malgrado la crisi economica indotta dalla Brexit e l'opinione di metà della popolazione inglese che vorrebbe rientrare. Fra i tanti, Donald Trump ha anche firmato l'ordine esecutivo America First Trade Policy, che mette i paletti per identificare i paesi con cui gli Stati Uniti possono negoziare accordi bilaterali o settoriali. Il primo destinatario di questi accordi è proprio il Regno Unito, che già ha un interscambio con gli USA di 295,6 miliardi di dollari (2023).Si tratta di un altro versante in cui c'è una impressionante continuità fra le amministrazioni Trump-Biden- Trump. Continuità che si concretizza in tre modi: preservare alcuni settori critici per i due partner (auto - agricoltura - microchips), con un compromesso fra le reciproche normative interne. C'è infatti uno sforzo costante in comune fra Stati Uniti e Regno Unito per rimuovere ogni barriera normativa, a differenza di quanto fa l'Unione Europea, che custodisce gelosamente i pochi poteri regolamentari che gli stati membri hanno ceduto.
La tradizionale "luna di miele" fra il presidente e la nazione viene gestita da Donald Trump con lo stile che é ormai ben noto. Ma quando saranno in archivio le demagogiche fughe in avanti su annessioni e modifiche alle carte geografiche, Trump e gli alleati europei si siederanno intorno a diversi tavoli di negoziato. E Trump è un negoziatore difficile da affrontare, perché dice di volere Marte quando in realtà sta solo cercando di lucrare qualche dollaro in più.
https://www.atlanticcouncil.org/blogs/new-atlanticist/the-case-for-a-us-uk-trade-and-investment-agreement/?
https://foreignpolicy.com/2025/01/30/europe-trump-russia-nato-defense-spending-transtlantic-relations/?
https://www.foreignaffairs.com/trump-biden-trump-foreign-policy?