19 Novembre 2020 Fake news: si può (e si deve) combatterle
Su Foreign Affairs il 19 Novembre, Nina Jankowicz, esperta di disinformazione del Science and Technology Innovation Program presso il Wilson Center, ha cercato di indicare gli obbiettivi che la nuova amministrazione dovrà porsi per rispondere alla disinformazione che dilaga attraverso Internet.
Il pubblico americano ha iniziato a rendersi conto dell'esistenza di un "problema disinformazione" nel 2016, quando si cominciò a parlare dell'interferenza russa nelle elezioni americane. Quattro anni dopo la storia si ripete, malgrado l'agenzia federale preposta alla sicurezza (Cybersecurity and Infrastructure Security Agency) abbia certificato il voto come il più sicuro della storia. Anzi il direttore dell'agenzia, Christopher Krebs, è stato licenziato in tronco da D. Trump.
Si tratta di una patologia interna al sistema americano, che ha visto una proliferazione di teorie complottiste nell'anno elettorale. Cresciuta con la diretta complicità del Presidente in carica, esacerbata dalle divisioni generate dalla pandemia, la questione è deflagrata dopo il voto. Ne è stata prova la decisione di Twitter di etichettare i tweet di Trump come sospetti. Ma in realtà i social media hanno affrontato il problema in modo superficiale, anche per non perdere i profitti assicurati dalle massicce masse di dati scambiati sulle loro piattaforme.
Dall'amministrazione Biden ci si aspetta molto, considerando che il presidente eletto è l'unico protagonista politico ad avere aderito al Pledge for election integrity,(https://electionpledge.org/), proposto dall'associazione Alliance for Democracies. Le buone intenzioni però non bastano: il governo federale deve agire seriamente contro ogni minaccia di disinformazione. Trump ha liquidato il problema come una forma di censura, e così è stata lasciata sola in prima linea l'agenzia federale CISA, e si è visto perché al momento del licenziamento di Christopher Krebs.
Gli Stati Uniti di Joe Biden dovrebbero:
1- adottare un approccio globale, creando uno zar contro la disinformazione all'interno del Consiglio di sicurezza nazionale. A questo funzione spetterebbe di monitorare il mondo delle informazioni per rilevare eventuali minacce e coordinare le risposte politiche tra agenzie e la collaborazione pubblico/privato;
2- profittare dell'esperienza congressuale del nuovo presidente per trasformare le funzioni parlamentari da riti mediatici (vedi le audizioni delle major delle comunicazioni) in efficaci strumenti di controllori. Ad esempio con l'istituzione di una commissione federale per la supervisione e la trasparenza online;
3- assicurare alla lotta contro la disinformazione un budget adeguato; sono da guardare con attenzione le esperienze di alcuni paesi europei che hanno fatto investimenti di lungo periodo (Svezia - Finlandia - Gran Bretagna - Ucraina);
4- sostenere i media pubblici (Corporation for Public Broadcasting) per fornire alternative al vulcanico mondo delle notizie via cavo. Se è vero che questo mondo è articolato e ha saputo spesso assumere il ruolo di quinto potere, e anche vero che una democrazia funzionante dipende dal fatto che il pubblico abbia accesso a informazioni autorevoli di cui può fidarsi. Cosa che negli ultimi anni si è drasticamente ridotta.
In una nazione in cui in settanta milioni hanno creduto a un candidato che utilizza palesemente la disinformazione per mobilitare i suoi sostenitori, questo sforzo deve essere bipartisan per poter davvero riparare le spaccature politiche e sociali causate anche dalla disinformazione. Non sarà semplice nè immediato, e potrebbe sembrare un voler fermare il mare con le mani, ma il governo è chiamato su questo a un impegno duraturo.