Governi vs Big Tech, finale di partita ancora lontano
Nell'ultimo numero di Foreign Affairs, Ian Bremmer, presidente del centro studi Eurasia, sotto il titolo "The Technopolar Moment", fornisce una interpretazione geopolitica del ruolo delle multinazionali digitali (Big Tech), e cerca di prefigurare come il loro potere potrà intervenire nel processo di ridefinizione dell'ordine globale.
Il ragionamento che parte dal mercato digitale per approfondire il suo impatto sulla crisi dei sistemi rappresentativi e sulle nuove forme di legittimazione del potere, non è fatto per quanto si rifugiano nelle semplicistiche e tutto sommato tranquillizzanti teorie complottistiche sul controllo del mondo da parte di circoli tanto segreti quanto potenti. Bremmer usa il metodo degli specialisti di scienze naturali, con la ricognizione delle realtà organizzative delle multinazionali, per capire come queste possono poi condizionare le scelte geopolitiche.
Ininterrottamente negli ultimi 400 anni gli Stati nazionali hanno ovunque controllato gli affari geopolitici, ma Bremmer riscontra un cambiamento è in corso, dal momento che che nel nuovo millennio alcune grosse aziende tecnologiche rivaleggiano con gli stati in termini di influenza geopolitica. Si tratta di una visione non nuova, che ha spesso lasciato perplessa la platea di lettori (quorum ego), ma alcuni segnali deboli sembrano provare che, non è chiaro quanto consapevolmente, big tech opera realmente per sostituirsi ai governi. In questo senso può essere letto il paradosso conseguente all'assalto al Congresso USA del 6 gennaio, con i social network capaci di sanzionare rapidamente D. Trump, mentre politica e magistratura si sono rivelate impotenti, ingessati da polarizzazione, procedure e compromessi. Amazon, Apple, Facebook, Google e Twitter non operano più solo come grosse aziende alla ricerca di un tornaconto economico, ma come partecipi del controllo e dell'orientamento della società, dell'economia e della sicurezza nazionale, che sono stati a lungo appannaggio esclusivo dello stato. Lo stesso vale, all'altro estremo dello scenario geopolitico, per le società tecnologiche cinesi, come Alibaba, ByteDance e Tencent, le cui strategie non si limitano al profitto, ma puntano ad esercitare un potere indiretto sulla società cinese e mondiale, attraverso codici, server e comunicazioni. Bremmer fa ricognizione empirica della realtà di big tech, alla ricerca per le aziende tecnologiche, come per le nazioni, delle regolarità di comportamento che riassume in tre visioni del mondo alternative e concorrenti: globalismo, nazionalismo e tecno-utopismo.
Secondo Bremmer, da Seattle a Pechino big tech esercita una forma di sovranità che ormai va oltre la portata dei regolatori tradizionali: in passato i governi hanno utilizzato società private affidando loro un ruolo geopolitico, come nel rapporto fra Impero Britannico e Compagnia delle Indie Orientali e poi fra governo USA e aziende Big Oil, ma oggi le grosse aziende tecnologiche si sono affrancate dalla direzione statale. In primo luogo, non operano o non esercitano il loro potere esclusivamente nello spazio fisico, dove lo stato ha poteri residui, ma hanno creato una dimensione estranea alla geopolitica tradizionale, lo spazio digitale, su cui esercitano un controllo assoluto. Le persone vivono sempre di più la loro vita in questo vasto territorio, che i governi non controllano e non possono controllare completamente. La politica è frastornata e in qualche misura soggiogata: la capacità dei politici di ottenere follower su Facebook e Twitter fornisce i finanziamenti, il sostegno politico e per qualcuno la credibilità, elementi necessari per conquistare le cariche politiche.
In secondo luogo, big tech fornisce una gamma completa di prodotti e servizi sia digitali che fisici, che tendo a divenire non complementari ma alternativi a quelli pubblici: Microsoft, non la National Security Agency o il Cyber Command degli Stati Uniti, ha supportato le persone in smart working e gli studenti a casa durante l'emergenza COVID-19. La stessa Microsoft ha reagito autonomamente prima del governo di fronte agli attacchi ransomware di hacker russi che hanno violato le agenzie governative e società private negli USA. Le più grandi aziende tecnologiche, avendo costruito la spina dorsale del mondo digitale, si sono assicurate anche una fetta sostanziale di controllo del mondo reale. La relazione fra stati e big tech è però ancor più complessa: da un lato le aziende per quanto grosse e potenti, non possono prescindere dallo spazio fisico, dove rimangono soggette all'autorità degli stati. I quali però a loro volta non possono esercitare controlli troppo rigidi sulle aziende, perché rischierebbero di bloccare quello che è il sistema connettivo dell'economia e della società, come dimostrato dalla crisi della supply chain. Great Firewall in Cina, Echelon negli USA, la mancanza di restrizioni in Russia, la legge sulla protezione dei dati dell'UE del 2018, dimostrano che in tutto il mondo forme statuali diverse per dimensione e natura, hanno un comune approccio prudente di fronte a big tech. Peraltro benché la maggioranza degli americani sia favorevole a regole più severe per le grosse aziende tecnologiche, la fiducia nel sistema rappresentativo, già in crisi, è stata duramente colpita durante la pandemia (sondaggio Gallup 2/2021; Edelman Trust Barometer), e non è detto che gli stati riescano a imporre una propria forma di sovranità sullo spazio digitale. L'Europa sta agendo forse più degli altri blocchi (L’Artificial Intelligence Act, Data Governance Act, Digital Services Act Package) ma poiché il vecchio continente parte da una posizione di debolezza quantitativa e produttiva, colpendo i giganti della tecnologia rischia di accelerare il proprio declino geopolitico, rallentando la necessaria innovazione europea.
L'autore sottolinea come sia costoso creare e mantenere uno spazio digitale su vasta scala: big tech (Alphabet, Amazon, Apple, Facebook e Microsoft) ha investito un totale di 109 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo nel 2019, una somma pari al totale degli investimenti pubblici e privati in Ricerca e Sviluppo della Germania. I moderni impianti di semiconduttori arrivano costare oltre 15 miliardi di dollari ciascuno e richiedono legioni di ingegneri altamente qualificati per installarli e gestirli. Il tema della formazione pone un altro legame stretto fra governi, che regolano l'istruzione, e aziende. Con il paradosso per cui i governi, almeno nella vecchia Europa, garantendo il diritto allo studio, finiscono per formare quasi gratuitamente la forza lavoro delle grosse multinazionali, che poi cercano di sottrarsi al controllo governativo. Il prossimo decennio metterà alla prova le vecchie formule e le riforme, riqualificando la gestione delle aree di sovrapposizione fra spazio digitale e spazio fisico. I governi e le aziende tecnologiche sono pronti a competere per l'influenza su entrambi i mondi, da qui la necessità di un quadro migliore per comprendere quali sono gli obiettivi delle aziende e come il loro potere interagisce con quello dei governi in entrambi i domini.
La scienza della politica permette di affinare una gamma di classificazioni per i governi: "democrazie", "autocrazie" e "regimi ibridi", ma ancora non sono stati approfonditi strumenti analoghi per comprendere le aziende big tech, che hanno meccanismi decisionali e di potere non meno complessi degli stati con cui competono. All'interno della stessa azienda spesso coesistono in concorrenza fra loro sostenitore dei tre tipi indicati da Bremmer: globalismo, nazionalismo e tecno-utopismo.
L'autore definisce globalisti, le aziende come Apple, Facebook e Google, che hanno costruito i loro imperi operando su una scala veramente internazionale, staccandosi progressivamente dal territorio fisico. Mentre Alibaba, ByteDance e Tencent sono emerse ai vertici dell'enorme mercato interno cinese, dando poi la scalata al mondo con la loro crescita globale. In Cina e Stati Uniti le aziende del settore hanno finito col seguire percorsi analoghi di relazione con lo spazio digitale e con i governi.
In secondo luogo, Bremmer indica i campioni nazionali, che sono più disposti ad allinearsi esplicitamente con le priorità dei loro governi. Fra gli esempi di questa categoria, il ruolo crescente di Microsoft nella sorveglianza dello spazio digitale per conto degli Stati Uniti e delle democrazie alleate e nel prendere di mira la disinformazione e i sindacati criminali internazionali. E ancora la presenza del nuovo CEO di Amazon, Andy Jassyi, nella Commissione per la sicurezza nazionale sull'intelligenza artificiale. Analogamente in Cina Huawei e SMIC sono i principali campioni nazionali nel 5G e nei semiconduttori. Queste aziende non si limitano ad uniformarsi alle linee politiche dei loro governi, ma hanno parte attiva nel determinarle.
Terzo, le ragioni del globalismo e del nazionalismo hanno un nuovo nemico: i tecno-utopisti. Alcune delle aziende tecnologiche più potenti del mondo sono state o sono adesso guidate da visionari carismatici, che vedono la tecnologia non solo come un'opportunità di business globale, ma anche come una forza potenzialmente rivoluzionaria nelle relazioni umane. I tecno-utopisti immaginano un futuro in cui il paradigma dello stato-nazione che ha dominato la geopolitica dal diciassettesimo secolo in avanti venga sostituito da qualcosa di completamente diverso. Elon Musk, il CEO di Tesla, è certamente un utopico, che tende ad andare oltre il concetto di stato-nazione. Mark Zuckerberg, il CEO di Facebook, mostra idee simili, ed è diventato più aperto alla regolamentazione governativa dei contenuti online. Vitalik Buterin e gli imprenditori che insieme a lui costruiscono l'ecosistema Ethereum hanno costruito la seconda blockchain più popolare al mondo dopo Bitcoin, che sta emergendo come l'infrastruttura che alimenta una nuova generazione di applicazioni Internet decentralizzate. Il sistema di Ethereum include una forma di contratti intelligenti, che consentono alle parti di una transazione di incorporare i termini del fare affari in un codice informatico, difficile da modificare. Molti nuovi imprenditori hanno sfruttato la tecnologia connessa a quest'area per creare nuove attività, nei settori delle scommesse, dei derivati finanziari e dei sistemi di pagamento. In questo terreno è cresciuto il metaverso, il luogo in cui la realtà aumentata e virtuale, le reti di dati di nuova generazione e i sistemi di finanziamento e pagamento decentralizzati, confluiscono in un mondo digitale più realistico e coinvolgente in cui le persone possono socializzare, lavorare e scambiare beni digitali. Questo mondo è stato affrontato negli ultimi mesi da Epic Games (Fortnite), Microsoft (HoloLens), Nvidia (micro chip), Roblox (giochi online ), e con il recentissimo annuncio di Facebook di mutare nome in "Meta" si può dire che siamo entrati effettivamente in questa nuova dimensione della realtà big tech.
Per quanto riguarda il futuro Bremmer lascia le previsioni apodittiche ai profeti del cambiamento, e senza alcuna intonazione profetica, traccia alcune tre opzioni possibili, collegate alla preminenza delle tre forme di big tech sopra descritte.
Nel primo scenario vincono i campioni nazionali, i governi scendono a compromessi e lo stato resta il principale fornitore di sicurezza, regolamentazione e beni pubblici. Crisi sistemiche, come la pandemia di COVID-19, e minacce a lungo termine, come il cambiamento climatico, insieme a una reazione pubblica contro il potere delle aziende tecnologiche, potrebbero a consolidare l'autorità governativa come l'unica forza in grado di risolvere le sfide che più che globali ormai sono totalizzanti. In questo scenario, alleati e partner degli Stati Uniti trovano molto più difficile bilanciare i loro legami fra Washington e Pechino, e sono costretti a scelte di campo nette. L'Europa è il grande perdente in questa visione, poiché manca di società tecnologiche con le capacità finanziarie e di ricerca che consentano di reggere il confronto con le aziende delle due maggiori potenze. Si tratterebbe di un mondo ancor più volatile, con un alto rischio di un confronto strategico e tecnologico fra le potenze, in cui Taiwan sarebbe uno dei punti di frizione fra le super potenze. Un mondo in cui il nazionalismo delle big tech ostacolerebbe anche la cooperazione internazionale necessaria per affrontare le crisi globali, che si tratti di una nuova malattia pandemica dopo il COVID-19 o di un'ondata di migrazione globale indotta dai cambiamenti climatici.
Nel secondo scenario, lo stato resiste ma in una condizione indebolita, favorendo così l'ascesa dei globalisti. Incapaci di tenere il passo con l'innovazione tecnologica, i regolatori accettano di condividere la sovranità sullo spazio digitale con le società tecnologiche. Piuttosto che invischiarsi in una guerra fredda tecnologica, le aziende big tech fanno pressione sui governi per scrivere insieme regole orientate alla conservazione dello status quo per hardware, software e dati. Apple e Google avrebbero probabilmente il massimo vantaggio in questa ipotesi: non dovendo scegliere tra un Internet dominato dagli USA e quello cinese, potrebbero mantenere la propria offerta tecnologica unificata, da San Francisco a Shanghai. Il trionfo del globalismo aiuterebbe, sul fronte cinese, l'e-commerce di Alibaba, mentre ByteDance sarebbe libero di offrire video virali a un pubblico globale. Tencent che ha una vocazione globalista, ma sembra essere meno connesso con l'apparato di sicurezza interna della Cina rispetto ad Alibaba, e potrebbe non riuscire a sfruttare i vantaggi di questa eventuale sistemazione. I vincitori di questa ipotesi, i globalisti, esigeranno stabilità per almeno un decennio. La loro peggiore paura è che continui la rivalità fra gli Stati Uniti e la Cina, costringendoli a schierarsi in una guerra economica che farebbe rinascere le barriere eliminate dalla progressiva globalizzazione degli ultimi vent'anni. In un mondo in cui i globalisti regnassero sovrani, l'Europa potrebbe avere un ruolo burocratico, quale battistrada esperto nell'ideazione delle regole finalizzate a definire la condivisione della sovranità nello spazio digitale fra aziende tecnologiche e governi.
Nello scenario finale, si avvera l'erosione a lungo vagheggiata dello stato. I tecno-utopisti traggono vantaggio dalla diffusa disillusione dei cittadini nei confronti di classi politiche da cui non si sentono rappresentati e di governi che, avendoli lasciati facile preda dell'economia digitale, non riescono più a creare prosperità e stabilità, La fiducia nel dollaro come valuta di riserva globale potrebbe diminuire e anche crollare. Le criptovalute, grazie alla sconfitta dei regolatori, otterrebbero un consenso ad oggi impensabile, minando l'influenza dei governi sul mondo finanziario. La disintegrazione dell'autorità centralizzata renderebbe il mondo sostanzialmente meno capace di affrontare le sfide transnazionali. Per i visionari tecnologici con grandi ambizioni e risorse commisurate, la questione del patriottismo diventerebbe remota e controversa. Ma non ci può aspettare che le élites oggi al potere, sostenute dalla larga platea della rendita politica, cedano senza combattere, in occidente come in oriente. Negli USA l'erosione dell'autorità del governo potrebbe avvantaggiare non solo i tecno-utopisti, ma anche alcuni attori del sistema vicini al modello nazionalista, che potrebbero cercare di supplire alle deficienze statali; lo stato cinese potrebbe doversi confrontare con la prima crisi del modello di economia mista, centralizzata / privata, con ricadute problematiche sulla sua credibilità interna. Meno i governi faranno resistenza, più i tecno-utopisti saranno in grado di plasmare l'evoluzione di un nuovo ordine mondiale, nel bene e nel male.
Con ogni probabilità la storia seguirà strade diverse da quelle analizzate da Bremmer, ma comunque vadano le cose, il metodo usato dal politologo americano é un ottimo filtro per orientarsi nel futuro che incombe. Sicuramente il sistema economico e sociale a livello planetario sta vivendo un momento di crisi, una transizione, che come ogni passaggio storico comporta anche delle negatività. Siamo nel momento in cui si contesta il vecchio sistema, si confutano i pregi della passata stabilità e si valutano le potenzialità di quella da raggiungere. Non senza preoccupazione perché non solo la gestione del mondo digitale designerà chi in futuro controllerà le nostre società, ma perché sta emergendo all'interno delle due grandi potenze, USA e Cina, una parallela ma convergente scuola di pensiero che connette controllo digitale e azione militare. Da un certo punto di vista nulla di nuovo sotto il sole, visto che gli Stati Uniti hanno già vissuto sul finire del Novecento le conseguenze della prevalenza dell'apparato militare - industriale sulle decisioni strategiche del governo, così come per la Cina l'idea della "civil military fusion" è una moderna rivisitazione del tradizionale legame fra partito ed esercito. Ma se questa connessione divenisse permanente e irreversibile, il mondo si troverebbe in un'altra strada senza uscita che conduce all'instabilità, dopo quella portata dagli armamenti nucleari. Con tutto il carico di fattori negativi che questo comporta.
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https://www.foreignaffairs.com/articles/world/2021-10-19
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/la-strada-la-sovranita-digitale-europea-32039