Il primo traditore degli USA: il processo ad Aaron Burr
Ho scoperto la figura di Aaron Burr leggendo il libro che gli ha dedicato Gore Vidal, pubblicato in Italia nel 1975 da Valentino Bompiani. Negli otto episodi della serie denominata “Narratives of Empire” Vidal ha raccontato la storia degli Stati Uniti dalla Rivoluzione sino agli anni sessanta del novecento. Non romanzi di vera “fiction”, e certamente non saggi storici, questi volumi calano il lettore nel divenire della società politica d’oltre oceano, grazie alla finzione romanzesca, e alla disinvolta vena narrativa dello scrittore americano con residenza a Ravello. La personalità di Vidal non è estranea all’effetto calamita che quella narrazione ha avuto sui lettori di tutto il mondo: appartenente all’alta borghesia, amico di presidenti e letterati, con un gusto tutto “socialite” per le parentele anche se lontane o improbabili (Jakie Kennedy, in quanto l'ex patrigno di Gore era il patrigno di Jackie; Al Gore che spacciava per un suo settimo cugino), riusciva a farsi passare per uno di famiglia anche nella storia americana. Ma pochi scrittori hanno saputo raccontare l’America dei secoli scorsi con il garbo e l’ironia che caratterizza l’opera di Vidal, ad esempio quando inventa il personaggio di Charles S. Schuyler, che ricorre ora come giornalista ora come avvocato, a fare da guida per conto dell’autore nell’esplorazione dell’ambiente politico di Washington e di New York City.
Aaron Burr fu forse il più controverso uomo politico appartenente alla generazione dei Padri Fondatori. Nato nel 1756, era figlio del secondo rettore di quella che diventerà l’Università di Princeton, allora New Jersey College, presso il quale fece studi di legge. Non appena iniziata la carriera forense, lasciò i codici per arruolarsi nell’esercito Continentale agli ordini di Washington, nella guerra per liberare le tredici colonie dal governo inglese, raggiungendo il grado di colonnello, che gli rimase per tutta la vita. Tornato a New York si concentrò con successo nella professione legale, e nel 1784 partecipò alla prima battaglia politica, finendo eletto al Congresso dello stato di New York. I Founding Fathers locali, Alexander Hamilton, John Jay e Gouverneur Morris, dominavano la scena politica, ma Burr riuscì non solo a farsi notare, ma anche a farsi nominare Senatore per lo stato di New York nel 1791. Nella sua prima permanenza nella capitale federale, Burr entrò in contatto con tutti i grandi della politica nazionale, finendo nel cerchio dei sostenitori di T. Jefferson. Al fianco di Jefferson partecipò nel 1791 alla campagna presidenziale per succedere a Washington, ma i due alleati vennero sconfitti da J. Adams. Quattro anni dopo otterranno la rivincita, ma solo dopo un primo scontro destinato a creare fra i due una frattura insanabile. Per le regole americane di allora, si formava un “ticket” di candidati alla presidenza e alla vicepresidenza, ma vicepresidente veniva poi nominato il candidato presidente sconfitto. Burr cercò di profittare dello stallo indotto dalla parità di delegati ottenuti dai due candidati, cercando di farsi nominare al posto di Jefferson che sventò la manovra e fu così il terzo presidente. Nel 1804, mentre cercava di conquistare il predominio a New York in vista delle elezioni per la carica di governatore, Burr ebbe una violenta polemica pubblica con Alexander Hamilton, che si risolse in un duello, in cui Hamilton rimase ucciso. Il duello non era inusuale secondo le regole della società americana dell’epoca, tuttavia l’episodio segnò la fine della carriera politica di Burr. Alla ricerca di una rivincita politica all’altezza delle sue ambizioni, fra il 1805 e il 1807 Burr visse le vicende che qui ci interessano, con l’avventura della Louisiana e il successivo processo, dopo il quale, rovinato anche per i costi della sua difesa davanti al tribunale, riparò a Londra fra il 1808 e il 1812. Rientrato a New York riprese la professione legale, senza mai riuscire a riprendersi dal baratro finanziario e umano in cui era caduto. Nel 1832 si sposò con la ricca ereditiera Eliza Jumel, che dopo poco chiese il divorzio perché Burr stava depredando il suo patrimonio. Il divorzio fu sancito il giorno stesso della morte di Burr, nel 1836.
La politica americana non è mai stata scandita da rituali compassati, e le vicende di Burr ne sono un esempio concreto. Anche ai nostri giorni, nel periodo seguito alle elezioni presidenziali del 2020, le polemiche velenose fra i due partiti sono passate dall’invettiva all’insulto, giungendo al limite della reciproca accusa di tradimento. Ma anche nel 2020/2021, come due secoli prima, solo dopo eventi clamorosi, come l’invasione del parlamento del 6 gennaio 2021, le azioni di un uomo delle istituzioni sono state considerate fuori dal quadro legale della costituzione. Il concetto di tradimento è delimita in una zona che non può essere grigia, essendo oltre che un istituto regolato costituzionalmente, un marchio di infamia che provoca un rigetto a ogni livello sociale. La vicenda di Aaron Burr permette di verificare cosa succede quando si giunge a questo limite.
Come accennato, la ricerca di un nuovo orizzonte politico, e di una vendetta, condusse Burr negli stati del sud, in quell’area irrequieta e contesa, composta dalla allora la Florida Spagnola che includeva la Louisiana, e dai territori e stati della frontiera sudoccidentale: Kentucky, Tennessee, Ohio, i quattro territori del Mississippi, con parte della Georgia e della Carolina. L’obbiettivo confusamente percepito di Burr era di riunire questi territori del sud ovest in un nuovo soggetto politico che si opponesse tanto alle potenze straniere che al governo federale della giovane repubblica, paradossalmente con l’appoggio della flotta Inglese e dell’esercito Spagnolo. Forte della sua immagine di politico nazionale, Burr si lanciò in una complessa e ambigua operazione che coinvolse funzionari governativi, militari, diplomatici stranieri insieme a politici locali e avventurieri.
Burr ebbe aiuti da importanti eletti locali, il generale James Wilkinson, governatore del Territorio della Louisiana, Andrew Jackson, astro nascente della politica del Tennessee, ed ebbe il sostegno degli ambasciatori spagnolo Marchese Casa Yrujo, e britannico, Merry. Fra gli alleati operativi di Burr, Harman Blennerhassett, un avvocato irlandese immigrato che aveva costruito una residenza fortificata su un'isola nel mezzo del fiume Ohio. La casa di Blennerhassett divenne il punto di riferimento per i viaggi di Burr, le riunioni fra i suoi uomini, e il concentramento di rifornimenti. Anche due conoscenze newyorchesi di Burr, gli avvocati Bollman e Swartwout, parteciparono da lontano alla fase organizzativa della spedizione.
Nel novembre 1805 Burr rientrò per una settimana a Washington, e benché i termini della sua attività nel sud ovest fosse noto al punto che persino i giornali ne parlavano, venne accolto alla Casa Bianca e nei ministeri come il suo rango di ex vicepresidente richiedeva. Il colonnello non si preoccupò di nascondere i suoi progetti di tradimento con un gioco pericoloso che lo portava a trattare persino con i nemici della repubblica, perché aveva ancora troppi amici per temere reazioni governative in un momento in cui le difficoltà dell'Amministrazione federale erano note.
Pur senza reagire con misure estreme di polizia o militari, Jefferson iniziò a mettere sull’avviso collaboratori e politici nazionali e statali, tanto da cominciare a fare dubitare gli stessi alleati di Burr.
Tre furono infine le cause che fermarono il piano di Burr:
- la leggerezza e indiscrezione del colonnello che parlava liberamente in ogni luogo dei suoi preparativi militari, e questo causava preoccupazione tanto presso i suoi avversari che presso i suoi amici;
- la morte di W. Pitt, Primo Ministro Britannico, che cancellò la possibilità di ottenere il sostegno a breve dell'Inghilterra nella cospirazione;
- la situazione personale di Burr, che dopo il duello con Hamilton aveva ormai perso ogni forma di rendita politica, e trovava nella cospirazione una situazione migliore della povertà.
Burr, ormai conscio della sorveglianza cui era sottoposta la sua corrispondenza, il 26 ottobre 1806 scrisse dal Kentuky al senatore Smith una lettera volta a preparare la sua difesa. Il 5 novembre 1806, il procuratore distrettuale Daveiss presentò una formale denuncia contro Burr per aver violato le leggi degli Stati Uniti con l’organizzazione di una spedizione militare al confine con il Messico. Esibendo come prova un affidavit di Wilkinson, il procuratore distrettuale giungeva ad affermare che il piano di Burr mirava a una secessione di tutti gli Stati e territori occidentali.
Il 12 novembre, secondo la procedura, le indagini proseguirono con la convocazione di un gran giurì, davanti al quale Aaron Burr apparve, circondato da sostenitori, avendo come difensore un grosso calibro della politica, Henry Clay. Iniziava il processo per tradimento più famoso della storia americana.
La repressione del tradimento è regolata dall’Articolo III.3 della Costituzione americana, dedicato al potere giudiziario: “Il tradimento nei confronti degli Stati Uniti consisterà esclusivamente nell'aver mosso guerra contro di essi o essersi congiunti ai loro nemici dando loro aiuto e sostegno. Nessuno potrà esser condannato per tradimento se non con la testimonianza di due testimoni del medesimo atto manifesto, o per confessione in un pubblico processo. Il Congresso avrà il potere di emettere una condanna per tradimento.”
Pochi erano i precedenti di processi per reato di tradimento: The Whiskey Rebellion Cases del 1795 e United States v. Fries del 1799, mentre il più Famoso tradimento dell’epoca rivoluzionaria, quello di Benedict Arnold, non venne mai giudicato perché il colpevole si era rifugiato all’estero.
Organo giurisdizionale competente era la US Circuit Court (tribunale circoscrizionale) della Virginia, perché il reato di cui Burr era stato accusato era avvenuto nella contea di Wood in Virginia, assegnata al Presidente della Corte Suprema, John Marshall, già Segretario di Stato nell’amministrazione di J. Adams.
Il Procuratore distrettuale sostenne che la guerra mossa da Burr agli Stati Uniti era parte di una cospirazione per stabilire una confederazione separata composta dagli stati e territori occidentali.
Il giudice Marshall giudicò una questione preliminare (Bollman e Swartwout), ponendo dei limiti al concetto di tradimento che risultarono poi decisivi nella decisione finale riguardante il principale accusato. Marshall scrisse nella sua decisione sul ricorso di Bollman, che per essere considerato traditore un individuo non doveva necessariamente comparire “in armi contro il suo paese". Al contrario, se la guerra fosse effettivamente iniziata, cioè se un corpo di uomini fosse effettivamente riunito allo scopo di realizzare con la forza un tradimento, tutti coloro che eseguono qualsiasi parte, per quanto minuscola o comunque lontana dalla scena dell'azione, e sono effettivamente legati alla cospirazione generale, sono da considerarsi traditori. Il Chief Justice stabilendo che una persona poteva essere definita traditore, sebbene “remoto dalla scena dell'azione”, tuttavia faceva rilevare che la legge federale sul tradimento non poteva fare a meno del tutto il concetto di tradimento costruttivo. La Costituzione aveva definito in generale il tradimento come “muovere guerra”, ma il significato preciso di quel termine poteva emergere solo dalla valutazione giudiziaria di una serie di atti criminali concreti, che concretizzassero non solo i preparativi ma il tradimento stesso.
Marshall ritenne quindi che ci fossero prove sufficienti per sottoporre Burr a processo per il reato di aver organizzato una spedizione militare contro il territorio spagnolo senza autorizzazione del governo, ma non di tradimento. Burr, sollevato dall’accusa più grave, poteva essere liberato in attesa di processo dietro pagamento di una cauzione di 10.000 $.
Nel processo che seguì, la difesa di Burr, con la regia dello stesso imputato, portò il caso ad un livello più alto, richiedendo un mandato di comparizione duces tecum per il Presidente Jefferson e i suoi ministri. La possibilità di interrogare il Presidente e i Ministri è al centro della storia della Corte Suprema, dalla sentenza Madison contro Marbury (1803), sino al caso Nixon contro Sirica (1974).
Il 31 agosto 1807 il giudice Marshall sostenne la mozione della difesa che richiedeva che fossero escluse le testimonianze, e che venisse dichiarato che l’accusa non era riuscita a dimostrare che l'imputato aveva mosso guerra secondo i termini precisi esposti nell'atto di accusa. Il verdetto era quindi di "non colpevolezza in base alle prove presentate", che lasciava la strada aperta al reperimento di nuove prove per un nuovo processo, che non ci fu mai.
Aaron Burr era un uomo libero, ma un avvocato rovinato e un uomo politico finito.
Ben duecentotredici anni sono passati dal processo Burr. Il sistema giuridico americano ha percorso una lunga strada che ne ha ammodernato molte istituzioni, tuttavia i capisaldi giuridici nelle opinioni espresse e nelle decisioni prese dal Chief Justice John Marshall, fanno parte integrante della giurisprudenza applicabile nei tribunali americani.
Il mondo è cambiato, e alle lettere cifrate mandate a mezzo di messaggeri lenti e infidi, si sono sostituiti i moderni social network, capaci di diffondere istantaneamente a milioni di persone le parole dei politici americani. Anche i mezzi di prova nei tribunali sono completamente diversi, affidati ormai a prove digitali delle azioni per cui gli imputati vengono sottoposti a processo, difficilmente contestabili quando non del tutto incontrovertibili.
Quello che non è cambiata è la distanza fra l'ampia e scanzonata libertà di azione lasciata all’individuo americano, e l’esasperato rispetto delle regole da parte di una larga parte degli americani e degli addetti ai lavori politici e giuridici. Un assassino colto da una telecamera nel momento del crimine, ma arrestato senza la pronuncia della formula di rito, deve essere lasciato in libertà (Miranda vs Arizona - 384 U.S. 436 - 1966). Così nei giorni dell’insurrezione di Washington nel gennaio 2021, il Presidente Trump ha incitato all’assalto del Congresso, ma in termini talmente equivoci e ambigui da ritenere difficile la sua condanna per quello che è stato un chiaro tradimento del giuramento presidenziale.
Il precedente di Aaron Burr dimostra che anche quando la giustizia formale non riesce a completare il suo corso, c’è una giustizia sostanziale che finisce per essere più dura e definitiva.