Il rapporto Draghi parla sia all'Europa che agli Stati Uniti
Mario Draghi è uno dei pochi personaggi pubblici che pur esprimendosi con misura (e raramente), con ogni suo intervento sollecita l'attenzione di tutto il mondo politico e dell'opinione pubblica. Con il rapporto consegnato alla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen in settembre, l'ex premier italiano ha ricordato le debolezze della struttura europea e i tanti fallimenti ed appuntamenti mancati sulla strada dell'unione politica: dalla difesa comune alla frammentarietà dell'esecutivo. Ma ha anche indicato quella un percorso che è insieme di recupero di efficienza e avanzamento nella costruzione europea, sia pure nel solco dell'ortodossia economica.
In sintesi Draghi ha centrato la sua analisi su quattro temi:
- strategia industriale, con la piena attuazione del Mercato unico;
- politiche industriali, commerciali e di concorrenza, inserite in una strategia unica e globale;
- finanziamento comune delle principali aree di intervento,
- riforma della governance UE, aumentando il coordinamento e riducendo gli oneri normativi.
Nel contempo ha indicato ai leader Europei tre obbiettivi strategici:
- accelerare il tasso di innovazione;
- ridurre i prezzi elevati dell’energia proseguendo al contempo il processo di decarbonizzazione e di transizione a un’economia circolare;
- reagire a un mondo geopolitico meno stabile, in cui le dipendenze stanno diventando vulnerabilità e non si può più contare su altri soggetti per la propria sicurezza.
Fattore comune, sotteso implicitamente, di queste tre priorità è la necessità di rivedere il rapporto con gli Stati Uniti, che sono leader indiscussi nell'innovazione (obbiettivo 1), hanno una politica energetica da sempre nazionalistica (obbiettivo 2) e sono il soggetto su cui l'Europa conta per la propria sicurezza (obbiettivo 3).
Ad una lettura superficiale si potrebbe dire che Draghi starebbe proponendo, alla vigilia delle elezioni presidenziali USA, un anti americanismo tecnologico ed energetico ? Non necessariamente. Draghi non può non essere cosciente di alcune criticità che sono esplose in simultanea sulle due sponde dell'Atlantico: l'involuzione del sistema politico democratico, la prevalenza della finanza sull'economia produttiva, i nuovi monopoli tecnologici che condizionano governi e mercati. Su questi temi le indicazioni di Draghi sono dirette tanto a Bruxelles che a Washington, perché i legami fra i due pilastri occidentali dell'ordine mondiale sono evidenti e non facilmente riducibili alla semplice convenienza immediata. L'isolazionismo è un dato di fatto della cultura d'oltre oceano, ma è difficile se non impossibile che ci sia un capovolgimento della storia succesiva alla seconda guerra mondiale. Non è un caso se uno dei fondatori sostanziali dell'alleanza atlantica, Winston Churchill, avesse a suo tempo in un celebre discorso a Harvard (6 settembre 1943) individuato lucidamente mobilità e globalità come i due motori che avrebbero guidato la società internazionale post bellica. Quella visione, che portò alla creazione progressiva dell'ordine internazionale che ancora regge all'usura del tempo, continua ad essere attuale, come attuale è la correlazione fra i sistemi americano ed europeo. Si potrebbe dire "nella buona come nella cattiva sorte", come per ogni matrimonio classico.
C'è però uno stato di crisi che rende necessario rivedere alcuni importanti aspetti dei due sistemi. Visto dalla parte europea, secondo Draghi, si tratta prima di tutto di fissare gli obbiettivi per la guarigione dell'Europa malata, e partendo da una condivisione continentale della diagnosi, approdare al possibile aggiustamento politico della terapia. Mario Draghi è calato nella realtà dell'ortodossia economica, ma è possibile anche una lettura progressista dell'ampio orizzonte di analisi e prospettive da lui fatto.
Il presupposto è indicato dallo stesso Draghi nel (breve) capitolo dedicato all'inclusione sociale: il tassello che manca alla costruzione europea è principalmente sociale. L'Europa è una realtà sociale più profonda di quanto noi stessi cittadini europei pensiamo, perché siamo un'insieme di popoli accomunati da una cultura ricca sì di specificità che possono risultare divisive, ma anche di elementi comuni forti su cui è possibile cementare la nazione europea. Il rapporto degli europei con il lavoro, per esempio, è assolutamente simile da Capo Nord a Gibilterra, pur nelle mille sfaccettature che sono state create tradizioni giuridiche particolaristiche. Inclusione sociale significa coinvolgimere pienamente ogni componente della società nello sviluppo, riducendo privilegi e disuguaglianze e favorendo la creazione di occasioni di crescita aperte a tutti. Il principale indiziato, come fattore negativo di tale sviluppo, è il neo capitalismo digitale, che sulla base di un'apparente apertura totale dell'informazione e della comunicazione, sta creando nuove sacche di rendita e di sperequazione sociale. In questo gli Stati Uniti non fanno che anticipare l'Europa, e i due sistemi appaiono decisamente simili. Un'Europa più competitiva sarebbe uno stimolo perché anche negli USA l'inclusione sociale ritorni al centro degli obbiettivi del governo federale, che rischia di trovarsi ancora a rischio di una nuova "grande depressione" cento anni dopo. Se non fosse un fuorviante richiamo alle ideologie che tutti ritengono archiviate, si potrebbe dire che ci vuole un pizzico di socialismo nel futuro di Europa ed America.
Inoltre va riaffermato che la più importante realizzazione dell'Unione Europea sta nei quasi ottanta anni di pace che ha assicurato al suo interno, contribuendo alla ricerca di un'analoga pace all'esterno del perimetro continentale, nei limiti della limitata coerenza esterna delle istituzioni comunitarie. Dall'inizio compito dello stato Europa è stato dichiaratamente "promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi cittadini". Con una adeguata discussione sui "valori", si tratta di un obbiettivo comune a Europa e Stati Uniti che può essere perseguito anche alla luce del rapporto Draghi.
https://www.eunews.it/2024/09/09/il-rapporto-draghi-in-italiano/
https://www.gmfus.org/news/draghi-reports-mixed-picture-central-and-eastern-europe?