Il tema dell'immigrazione al centro della campagna elettorale
Voci dall'America

Il tema dell'immigrazione al centro della campagna elettorale

La drammatica questione migratoria è uno degli argomenti centrali della campagna elettorale negli Stati Uniti, come già é stato nel 2016 e nel 2020.

Il numero di elettori indipendenti che ritengono che l’immigrazione sia il problema più grave del paese ha raggiunto il massimo livello nei sondaggi (Gallup - aprile 2024). Otto anni fa il tema si collegava alla politica industriale ed alla delocalizzazione che  aveva svuotato i vecchi centri produttivi urbani, mentre oggi, dopo la pandemia e la ripresa economica, si pone direttamente sul piano dell'identità. Gli americani si definiscono non più in base quello che ognuno realizza e a come lo realizza, ma in base alla sua provenienza e, sempre più spesso, al colore della sua pelle.

Uno studio recente del Migration Policy Institute  afferma che “la mobilità ha raggiunto una nuova scala e complessità in mezzo a rapide trasformazioni, che vanno dalla crisi climatica all’urbanizzazione, alla digitalizzazione fino al cambiamento demografico”. Non solo le crisi politiche hanno costretto milioni di persone a spostarsi, ma anche il riscaldamento globale che ha trasformato il fattore climatico da semplice ipotesi futura a realtà attuale. Nel frattempo, si aggravano le asimmetrie demografiche, con intere aree del pianeta in cui l'età media aumenta, mentre altrove ad aumentare in modo esponenziale é la popolazione giovanile.  Questi fenomeni sono tutti dei moltiplicatori che aumenteranno il fenomeno migratorio nei decenni a venire, e il mondo continua ad affrontare la questione frammentato e ancorato a vecchi criteri, il cui impatto sul problema è sin qui stato nullo.

Nel rapporto vengono evidenziate cinque aree critiche:

1 la migrazione irregolare ha raggiunto i livelli più alti di sempre, malgrado l'aumento dei controlli che hanno spostato le rotte usate verso corridoi pericolosi e precedentemente meno utilizzati;
2 la ripresa della migrazione verso i Paesi del Golfo: dopo una pausa dovuto alla pandemia, il Golfo è la meta privilegiata dei migranti dal Sud-Est asiatico e dall’Africa orientale;
3 l’Africa meridionale é un microcosmo di movimenti locali, circolari e a breve termine; anche emigrare sta diventanto un fatto precario;
4 in Afghanistan il ritorno dei Talebani al potere ha bloccato la mobilità interna e quella da e per l'esterno del paese, ma si teme una ripresa ed un aumento della pericolosità del fenomeno,in particolare per donne  e giovani;
5 nell'emisfero Americano la migrazione è ormai sistemica; dopo decenni di emigrazioni dall’America Latina, la regione è interessata da flussi continui e contraddittori: locali ed esterni (si pensi a Venezuela e Haiti), temporanea e a vocazione permanente, frontaliera ma attraverso l'intero l’emisfero verso gli Stati Uniti.

La situazione economica globale fa sì che ovunque la preoccupazione per l'arrivo di nuovi migranti è diffusa più presso i ceti deboli che presso i ceti agiati, perché più colpiti dai cambiamenti nel mercato del lavoro e più sensibili alla percezione sociale delle minoranze. In Europa si continua ad affrontare il tema dell'immigrazione con filtri ideologici e strumentalizzazioni politiche che allontanano la possibilità di definire reali politiche di gestione del fenomeno. Ne è un esempio il recente "Patto sulla migrazione e l'asilo" (14 maggio 2024) incentrato sulla fase dei controlli (Screening rigido per identificazione, Banca dati Eurodac rafforzata, nuove procedure per rimpatri e protocolli di crisi). Al contrario restano incerte e affidate alla volontà politica dei singoli stati membri, le misure di solidarietà permanente, il sostegno operativo e finanziario, la definizione della competenza per le domande di asilo e il controllo dei movimenti secondari.

Ai fattori economici, oltre oceano si aggiungono tematiche identitarie ben diverse da quelle che conosciamo in Europa. La società americana è nata da un fenomeno migratorio di tipo coloniale, in cui i coloni hanno riscattato il loro passato per sè, e, e poi per quasi due secoli anche per quanti si sono aggiunti condividendo il progetto di vita americano. Con le rilevanti eccezioni dei nativi americani e della tardiva, e inattuata, inclusione della popolazione afroamericana. Ma c'è sempre stato spazio, negli Stati Uniti, per chi fosse pronto e capace nel contribuire al rafforzamento della comunità. Per questo il cambiamento sociale è stato a lungo continuo e diffuso, e in parte continua, ma c'è una parte crescente della popolazione che fa dell'identità un elemento di selezione sociale.

E' significativo in questo senso che il governo USA stia cambiando il suo approccio formale alla questione razziale sottesa a quella migratoria.  L'Ufficio per il Censimento ha cambiato, per la prima volta dopo 27 anni la classificazione della popolazione in base alla razza e all’etnia. Forse lo stimolo è venuto dall'approccio dei media dominanti, come Facebook, che risulterebbe avere una gamma di 50 diverse possibilità di identificarsi per genere e razza. L'intento dichiarato della burocrazia federale è di quantificare in modo più accurato i cittadini residenti secondo le categorie in cui essi stessi si identificano.

In qualche modo questa evoluzione amministrativa contribuisce a spiegare perché nelle ultime elezioni si è consolidata ad esempio la tendenza al voto repubblicano delle minoranze ispaniche, cresciute enormemente in stati importanti e popolosi come California, Texas e Florida. Si tratta di una fascia di americani che hanno conquistato benessere e riconoscimento sociale, che si vedono parte crescente e distinta della società americana, più che corpi estranei immessi entro le distinzioni etniche. E sono una delle fasce più colpite dalle nuove ondate migratorie, che tolgono loro oltre che posti di lavoro, prestigio e accettazione sociale.

Purtroppo, malgrado l'impegno assunto di voler ripristinare il “ruolo storico della nazione come rifugio sicuro per rifugiati e richiedenti asilo”, l'amministrazione Biden, e quindi anche la candidata Harris, si è resa protagonista di una politica contraddittoria. Dopo avere cercato di mantenere gli impegni del 2020, si é piegata alle necessità elettorali, e nel tentativo di recuperare voti, lo scorso 5 giugno ha approvato un ordine esecutivo che impone sostanzialmente la chiusura del confine sud degli Stati Uniti. Alla ricerca di argomenti contro la retorica di D. Trump, il Presidente Biden ha sfidato i malumori di ampi settori del suo partito, e rischia di  coivolgere l'amministrazione in una serie di procedimenti giudiziari. Poi il 18 giugno l’amministrazione Biden ha annunciato di avere riaperto la possibilità di rimanere negli Stati Uniti e lavorare legalmente per alcune categorie ad alcuni immigrati privi di documenti. Si tratta di immigrati sposati con cittadini statunitensi, entrati negli Stati Uniti da almeno 10 anni. Circa 500.000 persone, secondo la CNN, potranno beneficiare di questo provvedimento. Per contro da parte repubblicana, c'è totale opposizione alle misure dell'amministrazione in carica. E in campagna elettorale Trump accusa Harris di essere stata in prima fila nel tenere la “frontiera aperta”, sostenendo che da vice presidente é stata parte di un complotto per convincere gli immigrati privi di documenti a votare contro i diritti dei veri americani.

Al di fuori della retorica elettorale, é chiaro che il tema immigrazione incombe a qualsiasi latitudine, e che tocca alla politica fissare dei criteri nuovi per regolarne una dinamica che per milioni di persone avviene al limite fra la vita e la morte.

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https://news.gallup.com/poll/611135/immigration-surges-top-important-problem-list

www.migrationpolicy.org/research/state-global-mobility-aftermath-covid-19

www.theatlantic.com/ideas/archive/2024/05/america-needs-philosophical-reboot-immigration-policy/678535/

https://www.census.gov/programs-surveys/decennial-census/decade/2030/planning-management/plan/research-and-testing/2024-national-census-survey.html

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