Dalla Corte Suprema esitazioni e contraddizioni deludenti
La Corte Suprema con le due sentenze e le decisioni sul ruolo prese nel corso dell'ultima settimana, pur confermando il forte orientamento conservatore assunto dopo la nomina di tre giudici radicali, ha anche riservato qualche sorpresa.
Il 26 Aprile nel caso Jones vs Mississippi, (US 18-1259), contraddicendo precedenti sentenze (per tutte nel 2005 Roper vs Simmons US 543-551), ha stabilito che un minorenne può essere condannato all'ergastolo anche senza che i giudici di merito abbiano accertato e decretato l'impossibilità della sua rieducazione mediante la pena. Il giudice Brett M. Kavanaugh, nell'opinione di maggioranza (6 contro 3), ha affermato che é sufficiente che il giudice dichiari di avere valutato il caso ed esercitato la propria discrezionalità prima di decidere per una condanna all'ergastolo senza condizionale.
"In un caso che coinvolge un individuo che aveva meno di 18 anni quando ha commesso un omicidio", ha scritto, "il sistema di condanna discrezionale di uno stato è sia costituzionalmente necessario che costituzionalmente sufficiente". Nel caso portato all'attenzione della Corte, viene quindi confermata la condanna all'ergastolo senza possibilità di Brett Jones, che aveva appena compiuto 15 anni nel 2004 quando suo nonno lo scoprì con una ragazza nella sua stanza. I due uomini litigarono, e il giovane, che stava preparando un panino, accoltellò suo nonno otto volte, uccidendolo. Nel 2005, Jones è stato condannato all'ergastolo per omicidio senza possibilità di libertà condizionale, come previsto dalla legge statale. Negli ultimi 16 anni, la Corte, principalmente sotto l'influsso del giudice Anthony M. Kennedy, aveva escluso la costituzionalità dell'applicazione delle pene più severe per i crimini commessi da minorenni, dapprima vietando la pena di morte minorile e poi limitando l'ergastolo senza possibilità di liberazione a termine ai soli casi di accertata impossibilità dell'effetto rieducativo del carcere. Sulla base di questa sentenza la Corte limita il significato rieducativo della pena, e scemano le speranze di decine di giovani condannati a pene senza fine.
Sempre il 26 Aprile la corte ha respinto, escludendoli dal suo ruolo, tre casi riguardanti una legge federale che impone l'inibizione a vita al possesso di armi per persone che siano state condannate penalmente. I casi riguardavano tutti ricorsi da parte di individui condannati per crimini non violenti che sostenevano che il divieto violava i loro diritti di Secondo Emendamento. C'era attesa per l'eventuale decisione su questi casi anche per valutare la posizione del giudice Barrett, l'ultimo nominato, che quando era alla corte d'appello federale, si era già pronunciato in senso negativo. Nel caso Kanter v. Barr (US 18-1478) l'attore, Kanter, dopo essere stato condannato per frode nei confronti dell'assicuratore sanitario pubblico Medicare, si era visto rifiutato l'acquisto di una pistola. Il giudice Barrett ha scritto in proposito che non vi è alcuna "limitazione di virtù" al Secondo Emendamento e che l'applicazione di un divieto a vita sulla proprietà di armi in questi casi "tratta il Secondo Emendamento come un diritto di seconda classe, soggetto a un corpo di regole completamente diverso da quelle che la Carta dei diritti garantisce”. La precedente opinione del giudice Barrett che aveva incoraggiato i sostenitori del diritto assoluto a detenere armi, non sarà messa alla prova della corte. Continua la "tregua armata" sul controllo della vendita di armi, con il presidente Biden che ancora esita a rendere effettive le sue idee incrementando i controlli e divieti su vendita e utilizzo delle armi, e la Corte che evita di ripetere le sue difese ad oltranza del sistema in nome del Secondo Emendamento. Il New York Times ha parlato a questo proposito di "tempismo inadeguato alla Corte Suprema, dove i giudici pensano di allargare i diritti sulle armi pur mentre proseguono le sparatorie ed i massacri".
La Corte Suprema ha poi deciso di occuparsi del caso US vs Abu Zubaydah (US 20-827), il cui oggetto è la possibilità per il governo di impedire l'interrogatorio in aula di due ex agenti a contratto della CIA coinvolti nelle torture subite da un detenuto di Guantánamo Bay, con la motivazione che questo comporterebbe la rivelazione di segreti di stato. Il detenuto Abu Zubaydah, ha citato in giudizio James E. Mitchell e Bruce Jessen, due psicologi imputati in Polonia per la loro attività di consulenza nell'organizzare interrogatori e torture nei cosiddetti siti neri gestiti dalla CIA. La Corte europea dei diritti dell'uomo aveva già stabilito che Zubaydah era stato torturato in Polonia fra il 2002 e il 2003, mediante le cosiddette tecniche di interrogatorio potenziato, predisposte da Mitchell e Jessen. Il governo federale ha chiesto l'intervento della Corte Suprema, affermando che “le identità dei partner dell'intelligence e l'ubicazione delle strutture di detenzione della CIA non possono essere rivelate senza rischiare un danno indebito alla sicurezza nazionale". I giudici della Corte d'Appello degli Stati Uniti per il Nono Circuito, a San Francisco, avevano stabilito a maggioranza 2 contro 1 che è possibile separare le informazioni protette dal segreto di stato, da quelle relative alle torture subite dal querelante. Dopo che in altri simili casi la Corte Suprema aveva ritenuto di non intervenire nella questione affidandola alle corti inferiori, l'avocazione odierna sembra preludere ad un cambiamento di orientamento, nella direzione di un rafforzamento delle prerogative dell'esecutivo.
Il 29 Aprile, infine, decidendo sul caso Niz Chavez vs Garland (US 19-863), la Corte Suprema ha stabilito che il governo deve rispettare rigorosamente il requisito che gli immigrati ricevano avvisi dettagliati sulle loro procedure di espulsione. Il caso in questione era simile ad un altro, Pereida vs Wilkinson ( 19-438 ) descritto nel post del 26 marzo "Prove tecniche di maggioranza conservatrice alla Corte Suprema", e deciso in senso opposto, anche se per motivi diversi da quelli addotti dall'opinione di maggioranza accolta.
La decisione 6 contro 3 si è formata in base ad un'alleanza insolita, fra i tre giudici conservatori e rigorosi sull'interpretazione letterale delle leggi - i giudici Clarence Thomas, Neil M. Gorsuch e Amy Coney Barrett - che si sono uniti ai tre membri più liberali della corte. La disputa riguardava una legge federale del 1996 che consente agli immigrati soggetti a deportazione di richiedere il soggiorno nel paese se soddisfano vari criteri, incluso il fatto di essere rimasti ininterrottamente per almeno 10 anni negli USA. Per legge il termine si interrompe quando gli immigrati ricevono "un avviso di comparizione". La questione al centro del caso era se il governo dovesse fornire tutte le informazioni in una volta o se potesse farlo in modo frammentario e ripetuto, prolungando così in modo arbitrario il decorrere del termine. Il giudice Gorsuch, scrivendo l'opinione di maggioranza, ha affermato che l'uso dell'articolo "un" davanti a "avviso di comparizione" è chiarificatore: "per un lettore ordinario - sia nel 1996 che oggi - 'un' avviso sembrerebbe suggerire proprio questo: 'un' unico documento contenente le informazioni richieste, non un miscuglio di pezzi con un po 'di assemblaggio richiesto". "Ad un certo livello la disputa di oggi può sembrare semantica, incentrata su una sola parola. Ma le parole sono il modo in cui la legge limita il potere ".
La disputa sull'interpretazione letterale della legge, collegata e analoga a quella sull'originalismo, si arricchisce di un nuovo capitolo che nei prossimi anni consentirà spunti nuovi ai difensori delle due diverse scuole di pensiero. Dal punto di vista pratico appare deludente che tanta sapienza giuridica finisca per far decidere in modo opposto della vita di due immigrati, irreprensibili nei loro comportamenti e ben inseriti nelle rispettive comunità, l'uno destinato all'espulsione e l'altro salvato, in base a due diverse interpretazioni di un aspetto non essenziale della loro vicenda. Così come anche per gli ammiratori del sistema giuridico americano, pur nelle sue contraddizioni, la decisione sul caso Jones è più che deludente, mortificante, per lo smantellamento della precedente dottrina della Corte, e la negazione di un principio di civiltà giuridica, quello della funzione rieducativa della pena, che dopo l'insegnamento di Cesare Beccaria sembrava non dovere più essere messo in discussione. Altri buoni argomenti, questi, non politici ma sostanziali, in favore dell'opportunità di una riforma della Corte Suprema.