La guerra Ucraina non ci sarà, ma il sistema internazionale cambia
Nell’introduzione all'indimenticabile ballata “Prete Liprando”, Enzo Jannacci dedica i suoi versi a “tutti quelli - e sono tanti - che pur essendo testimoni di fatti importantissimi e determinanti dell'avvenire della civiltà, neanche se ne accorgono”. Siamo tutti noi in questa scomoda posizione in questi giorni davanti al rischio di una guerra in Ucraina ?
Il possibile fatto determinante di oggi, per la civiltà occidentale, è la fine del sistema internazionale a trazione americana uscito dalla Seconda Guerra Mondiale, che dopo oltre trent’anni di guerra fredda e altri trenta dalla caduta del muro di Berlino appare non rispondere più alla realtà politica internazionale.
I trattati di pace, come ammoniva ottanta anni fa Mario Toscano, “non sono altro che lo specchio giuridico nel quale sono riflesse le forze politiche e militari degli stati appartenenti alla comunità internazionale. Al momento della loro conclusione il rapporto fra diritto e forza è perfettamente aderente alla realtà”. Ma la dinamica costante dei fattori di potenza degli stati ha modificato la situazione rendendo obsoleti i trattati e le istituzioni ad essi collegate (ONU – Fondo Monetario Internazionale – Banca Mondiale – Tribunale Penale Internazionale – Organizzazione Internazionale del commercio).
Un’analisi di lungo periodo della storia delle relazioni internazionali permette di identificare quattro momenti chiave, tutti susseguenti a eventi bellici, sfociati in radicali cambiamenti del sistema: 1648 Trattato di Westfalia, 1815 Congresso di Vienna, 1919 Trattato di Versailles, 1945 fine della Seconda guerra mondiale. In ognuna di queste tappe una potenza egemone (Francia, poi Austria e due volte gli Stati Uniti) ha ottenuto di adottare i propri interessi come validi per l’intera comunità internazionale. Le istituzioni e le consuetudini conseguenti sono assurti al rango di “sistema di sicurezza collettiva”, garantendo un periodo di cristallizzazione dei rapporti fra gli stati. Il sistema internazionale entro cui abbiamo vissuto gli ultimi 70 anni, in particolare, si basava su tre elementi di fondo: rapporti di forza consolidati (militari / economici / demografici), istituzioni multilaterali, aspirazione ad un regolamento sopranazionale. Nessuno di questi elementi sembra essere sopravvissuto alla nuova senza aggiornamenti significativi nella realtà internazionale odierna.
Alla guerra convenzionale 1939-1945 ha fatto seguito la guerra fredda, complicata dalle apocalittiche visioni di un possibile confronto nucleare. Una volta venuto meno il blocco sovietico, e con esso il Patto di Varsavia, gli USA non hanno voluto (potuto ?) aggiornare la struttura e la logica del sistema di alleanze militari che in Europa ed in Asia assicura la stabilità internazionale. La Cina ha ripreso il posto nella gerarchia mondiale che è proprio della sua dirompente demografia, e la Russia di Putin ha perseguito il disegno di un ritorno alla potenza zarista e sovietica, pur senza aver risolto le difficoltà legate al controllo del suo sterminato territorio. Inoltre, una serie di violazioni del diritto internazionale (Kosovo – Tibet - Crimea), giustificate dalle necessità strategiche contingenti dei protagonisti, hanno creato i presupposti di una reciproca diffidenza.
Essendo giunti ad un momento di crisi del sistema dobbiamo temere una nuova guerra quale fattore capace di introdurre un cambiamento sistemico ? In termini militari l’epoca nucleare, in cui la natura delle armi conta più della loro quantità, ha stabilito due regole con cui i governi devono fare i conti: nessuno vince una guerra nucleare; è possibile distruggere un nemico senza vincerlo sul campo. Ma la distruttività dell’arma nucleare comporta alcuni corollari: le alleanze hanno un’importanza relativa; la dissuasione implica che le minacce forti siano le meno credibili; la stabilità a livello superiore implica instabilità a livello inferiore. Mosca guarda quindi con sospetto all’allargamento sino ai suoi confini di una NATO peraltro ingessata nel suo passato anticomunista, ma Washington, chiunque sieda alla Casa Bianca, non può venir meno al suo ruolo di stabilizzatore globale. per questi motivi la crisi Ucraina ha portato alle soglie di un confronto militare diretto, che potrebbe elevare l’instabilità al livello della potenza egemone.
Ma le relazioni internazionali non solo non si riducono alle questioni di potere e di rapporti di forza militari, ma sono sempre più anche terreno di una competizione economica che assume forme e contenuti bellici. In termini economici, mentre fra Cina e Stati Uniti la competizione è entrata da tempo in una fase di confronto anche violento, la Russia può solo ricattare con l’arma energetica gli alleati più deboli degli USA, l’Europa, ma resta strutturalmente fragile ed esposta alle ritorsioni finanziarie degli USA.
Se tanto dal punto di vista militare che economico sembra quindi difficile che Putin rischi un confronto militare per cambiare tramite la crisi Ucraina i rapporti di forza in Europa, ancor più rischioso sembra porre termine ai settanta anni di pace che hanno fatto seguito alla vittoria alleata nel 1945. Nel saggio su cui Henry Kissinger costruì la sua straordinaria carriera politica (A World Restored – 1954), c'è una disanima dei concetti di "guerra" e "pace", che, indipendentemente dal contesto ottocentesco della narrazione, costituisce un paradigma applicale ad ogni epoca. Probabilmente era nelle intenzioni dell’autore iscriversi nella linea spregiudicata sino al cinismo di K. Schmitt (Le categorie del politico - 1932), e teorizzare l’inevitabilità dell’uso della forza per raggiungere sicurezza e stabilità, ma il ragionamento porta a conclusioni diverse.
Questa la matrice dell’analisi di Kissinger:
GUERRA |
|
PACE |
Forza potenzialmente senza limiti |
LOGICA |
Limiti insiti |
Vittoria |
SUCCESSO |
Stabilità |
Totalità dell’impegno |
CONDIZIONE |
Autocontrollo |
Estrinseca paura del nemico |
MOTIVAZIONE |
Intrinseco equilibrio delle forze basato sul consenso (legittimità) |
Seguendo questo modello non c’è logica possibile per sostenere un attacco russo in Ucraina, perché è impensabile una guerra nucleare per un obbiettivo così limitato; un successo completo è impossibile, vista la presenza di un antagonista in grado di bilanciare qualunque attacco; è quantomeno dubbio che la Russia possa mobilitarsi in modo incondizionato; e, infine, la minaccia di un’estensione della presenza NATO all’Ucraina è più propaganda che realtà.
Una razionale interpretazione della situazione induce quindi a credere che il Presidente Putin si limiterà a portare la tensione al massimo grado possibile, per ottenere tre vantaggi tattici non trascurabili: fare dell’Ucraina uno stato cuscinetto, continuare il recupero del controllo anche indiretto delle province perse dall’impero sovietico e tenere gli europei sotto il ricatto energetico.
La storia purtroppo dimostra che non sempre la razionalità è davvero all’origine dalle scelte dei suoi protagonisti, ma e troppo spesso la razionalità ha prevalso a prezzo di troppe vite umane. E' comunque necessario che l'occidente rimetta in marcia la sua storia, e proceda ad aggiornare le istituzioni che regolano la comunità internazionale, altrimenti una prossima crisi rischierà davvero di portarci in guerra.