La questione migratoria nel dibattito politico negli Stati Uniti
L'argomento immigrazione è stato divisivo nelle ultime due campagne presidenziali: nel 2016 Donald Trump aveva conquistato la presidenza annunciando una politica violenta contro gli immigrati. E per quattro anni aveva mantenuto la promessa, al netto degli episodi di corruzione che sulla costruzione del muro sud hanno coinvolto il suo allora collaboratore Steve Bannon, idolo della Giorgia Meloni ante 2022. Nel 2022 Joe Biden nel suo programma elettorale aveva insistito su nuove forme di inclusione, nel solco della tradizione americana, ma è alle prese con la dura realtà del governo.
La questione è già riemersa nei primi passi della lunga campagna per le presidenziali di novembre 2024. Nei due recenti dibattiti televisi, i possibili candidati alla nomination repubblicana, sono stati unanimi sulla necessità di contrastare con ogni mezzo l'immigrazione negli USA. Gli accenti più aggressivi sono venuti dal governatore della Florida, Ron De Santis, che ha promesso, se nominato ed eletto, di avviare un programma di deportazioni di massa. Polemicamente De Santis aveva già in passato organizzato trasferimenti coatti di immigrati clandestini dalla Florida a stati a maggioranza democratica, ma ritiene di dover proporre un programma generalizzato, quanto vago di deportazioni. De Santis è stato prontamente raggiunto, e sorpassato, dall’ex presidente Donald Trump, lo scorso 29 settembre in un discorso davanti ai suoi sostenitori ad Anaheim. Trump, che nei sondaggi ha un vantaggio di circa 40 punti su De Santis, si è impegnato a mettere in atto “la più grande operazione di deportazione nella storia del nostro paese” se rieletto.
La stampa moderata ha accolto tiepidamente le affermazioni dei due candidati, rilevando che le deportazioni avrebbero un impatto economico devastante. Enormi nuove risorse dovrebbero essere reperite per l'assunzione di un imprecisato numero di addetti all’immigrazione, e un ulteriore potenziamento delle forze dell’ordine. Inoltre la stampa osserva che per mettere in atto un tale piano sarebbero necessari nuovi spazio di detenzione per immigrati e azioni di polizia presso le comunità di immigrati, con dubbi sulla legalità di tali azioni. Persino le strutture e gli organici del sistema giudiziario diventerebbero insufficienti, perché aumenterebbe enormemente il ricorso ai tribunali sull’immigrazione. E infine viene come sempre avanzato l'argomento utilitaristico: la grande industria e l'agricoltura profittano della mano d'opera straniera per tenere basso il costo del lavoro. In questa visione una stretta sull'immigrazione avrebbe un effetto negativo su diversi settori economici, come già successo negli ultimi mesi nel settore agricolo in Florida a causa della nuova normativa sull immigrazione varata da De Santis.
La politica del Presidente Biden nei quasi tre anni del suo mandato si è dimostrata ondivaga. Malgrado le premesse basate sull'apertura ad un'immigrazione controllata ed al rispetto della persona umana, anche Biden ha dovuto adottare misure non in linea con i principi enunciati pur cercando di realizzare alcuni cambiamenti, spesso poco visibili dal pubblico. Ad esempio sono state introdotte nuove linee guida sulla discrezionalità del pubblico ministero nell'applicare le norme sull'immigrazione. Inoltre, il Dipartimento per la sicurezza interna (DHS - Departement Homeland Security) ha concentrato le risorse sul controllo delle frontiere per selezionare le effettive minacce alla sicurezza nazionale. Il governo democratico é però condizionato dal malessere diffuso, in particolare negli stati di frontiera sud, quasi tutti a maggioranza repubblicana. Il 4 ottobre l’amministrazione Biden, contraddicendo la linea generale dettata tre anni fa, ha annunciato la rinuncia a 26 ordini esecutivi riguardanti il Texas, con l'obbiettivo di continuare la costruzione del muro di confine, nella contea di Starr. In quella zona le autorità che controllano la frontiera hanno registrato 245.000 ingressi illegali dalla della Valle del Rio Grande nell'ultimo anno. Le leggi a cui l'amministrazione intende derogare includono il Clean Air Act, il Clean Water Act, il Safe Drinking Water Act, l’Endangered Species Act e il National Environmental Policy Act. La prosecuzione della costruzione del muro lungo la frontiera sud e la realizzazione di altri presidi di controllo, impongono la deroga a queste norme, originariamente poste a tutela dell'ambiente.
Un altro segnale debole, che in qualche modo ci riguarda, è venuto dall'intervista rilasciata dall'ambasciatore USA a Roma, Jack Markell, al Corriere della sera: “Gli Stati Uniti capiscono molto bene la sfida sull’immigrazione che deve fronteggiare l’Italia....simile a quella che abbiamo noi al confine meridionale.....ci consultiamo ripetutamente con il vostro governo sia per quanto riguarda la Libia che la Tunisia. Condividiamo la ricerca di un percorso per risolvere la crisi in Libia. E abbiamo preso nota e siamo rimasti favorevolmente colpiti dall’energia che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni sta mettendo in campo per coinvolgere i Paesi del Nord Africa e convincere il resto d’Europa che il tema dell’immigrazione non può ricadere sulle spalle di un solo Stato”. Un inno alla ragion di stato, ancora una volta usata per giustificare progetti e norme altrimenti impresentabili.
E' desolante constatare come gli argomenti della destra estrema, così come molti di quelli dei moderati, ignorano completamente il cuore del problema migratorio. Anche quando viene correttamente fatta una premessa di ordine generale sull'obbligazione umanitaria che incombe sull'occidente, l'azione pratica dei governi troppo spesso ignora ogni principio fondamentale. Pregiudizi ideologici, tatticismi contingenti e esigenze elettorali immediate, impediscono un pò ovunque una politica attiva di lungo periodo. Per non parlare della pressione mediatica, che con le sue semplificazioni e distorsioni del problema migratorio finisce per consentire manipolazioni della realtà e strumentalizzazioni, al solo fine di calmare sulla questione migratoria la parte più radicale dell'opinione pubblica, per quanto minoritaria.
Questo per quanto riguarda il caso Stati Uniti, Ma a livello generale si deve ricordare che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha sin dal 2018, approvato il Global Compact for Migration, che pur non vincolante, ha stabilito regole standard e istituito un forum per gli Stati per coordinare il movimento “sicuro, ordinato e regolare” delle persone attraverso i confini. Tutti gli Stati sono quindi tenuti a coordinare un processo altrimenti regolato solo da una babele di leggi nazionali e accordi bilaterali del tutto inefficaci. Come dimostra l'esperienza dell'Europa, tutt'altro che unita sulla materia. Già nel 2020 questa normativa sovra nazionale era stata ignorata dalla risposta data in ordine sparso dagli Stati ai problemi migratori posti dalla pandemia. Ma per il Global Compact gli Stati possono comunque essere ritenuti responsabili dei diritti che si sono impegnati a far rispettare ai sensi di una serie di trattati sui diritti umani comunque validi. Su questo si basa, negli Stati Uniti come in tutto il mondo, la resistenza che può essere opposta a leggi ingiuste da movimenti organizzati e giuristi specializzati. Che la strada sia lunga e difficile, è dimostrato proprio da un recente studio della Cornell University, che, dati alla mano, indica che "più i paesi accettano migranti, meno diritti tendono a proteggere".
https://www.migrantrightsinitiative.org/en
https://www.migrationpolicy.org/
https://www.demosmilano.it/2023/10/03/limpasse-delleuropa-sul-problema-immigrazione/
https://unglobalcompact.org/