La tradizione culturale mette Putin contro la Russia
Non era forse il caso di sollevare troppo scandalo per la provvisoria interdizione delle conferenze di Paolo Nori su F. Dostoevskij all'Università Bicocca di Milano. Per molti motivi, primo fra tutti non quello invocato dalla rettrice dell'Università, che ha parlato di errore umano: siamo tutti disorientati dal cambiamento delle leggi che regolano il nostro mondo. Le regole nate nel 1945 (forza del diritto, ripudio della guerra come strumento di offesa, funzione dell'ONU, libertà di commercio) sono state tutte violate sotto gli occhi delle telecamere delle televisioni e di migliaia di privati cittadini, e al momento vale solo la legge del più violento. Non che negli anni trascorsi dalla fine della guerra mondiale non ci siano state guerre con le più classiche delle motivazioni (guerre preventive, guerre religiose, guerre di liberazione vera o presunta), ma grazie alle immagini, mai tanta verità si è scontrata con tanta falsità da parte del governo russo. Purtroppo nessuna delle altre nazioni, escluso il pugno di sostenitori del presidente russo, è riuscita a rinvenire un metodo per opporsi alla violenza delle armate russe senza fare piombare il mondo intero nel nuovo olocausto che sarebbe una guerra nucleare. Questa lucidità non può essere pretesa da intellettuali/burocrati quali sono divenuti, nella media, i professori universitari.
Ciò che va piuttosto sottolineato è la siderale distanza che separa il popolo e la cultura russi, dal governo che siede al Cremlino. Il popolo russo ha costruito nei secoli una eccezionale abitudine nel sopportare regimi autoritari imposti da singoli autocrati con l'appoggio di oligarchie fameliche. La costante della storia dimostra l'attitudine alla sopravvivenza della cultura russa, malgrado qualsiasi governo poliziesco. La cultura russa è un vero e proprio fiume carsico che scorre malgrado secoli di censure, divieti e disinformazione. Come si sono aggiornate le tecniche poliziesche di repressione della pubblica opinione di sono aggiornati i russi, che fanno vivere la grande cultura con sistemi non violenti ma efficaci, dalla ricopiatura manuale delle opere di L. Tolstoj, al sistema di circolazione clandestina (samizadt) delle operi di B. Pasternak e A. Solženicyn, per non parlare degli altri dissidenti, sino all'uso dei social network, sempre a dispetto dei diversi regimi autoritari.
Bene fanno quindi autori come Paolo Nori a insistere nel parlare della vera cultura russa, cui Putin e Lavrov sembrano estranei. La storia della letteratura russa dimostra che “non esiste nessuno scrittore russo che sia stato minimamente vicino a idee di violenza, totalitarismo, guerra ....tutti quelli che hanno descritto i conflitti lo hanno fatto con dolore...consapevoli dell’assurdità della guerra" (M. Caramitti).
Se Dostoevskij è stato soprattutto lo scrittore che ha scavato nella complessità dell'animo umano, Tolstoj, anche per la "conversione" ad un cristianesimo radicale che caratterizzò la seconda parte della sua vita, fu l'interprete miglior del ragionato rifiuto della guerra e della violenza che è fortemente diffuso nella società russa. Già nelle prime opere, considerate minori, come "I cosacchi", Tolstoj definì la guerra "una forza esterna, che non dipende dai combattenti, inutile e priva di giustificazioni". I milioni di lettori di "Guerra e pace" hanno sofferto insieme a Andrej Bolkonskij ferito sul campo di battaglia di Austerlitz, e ondiviso il suo coerente successivo rifiuto della guerra. Gli stessi lettori hanno apprezzato, in parallelo, l'indimenticabile figura di Platon Karatyev, il russo medio, tanto mite da sembrare rassegnato, ma capace di sopravvivere sino al limite estremo, personificazione della distanza dallo spirito guerresco della mentalità russa.
Negli scritti politici di Tolstoj razionalizzò poi i sentimenti espressi nei romanzi, teorizzando costantemente il rifiuto della guerra, perché "non riguarda i popoli" e c'è "una sfasatura fra la vita reale dell'uomo e la finzione che si chiama guerra" (M. Bachtin). Nel 1900 in "Non uccidere" l'apostolo di Jasnaja Poliana scriveva che nella guerra: "(gli uomini) sono istupiditi strumenti di omicidio...e a questo sovrintendono i re, gli imperatori e i presidenti...persone che si dedicano specificamente all'assassinio". In occasione del conflitto russo-giapponese (1904) Tolstoj pubblicò infine un pamphlet dedicato all’inutilità della guerra, "Ricredetevi", in cui definì la guerra una strage insensata, che viene lanciata per la gloria e la grandezza di persone insignificanti.
Negli ultimi della vita Tolstoj approdò a un ragionato e assoluto pacifismo, anche grazie all'incontro cartaceo e intellettuale con M. Ghandi. Il pacifismo tolstojano si basa su tre principi non negoziabili:
- "come non si puo' asciugare l'acqua con l'acqua, non si puo' spegnere il fuoco con il fuoco, cosi' non si puo' distruggere il male con il male".
- la violenza militare e l'oppressione politica si combattono con la non-collaborazione non violenta;
- il male può essere eliminato nel mondo solo se l'uomo riesce a eliminarlo dentro di sé
possono sembrare principi utopistici, ma si tratta di criteri teorici suscettibili di essere convertiti in precetti politici, sempre che ve ne sia la volontà.
Da secoli la Russia viene condotta verso avventure imperialistiche lanciate da un autocrati ansiosi di affermare la potenza di una nazione talmente grande da non essere mai realizzata compiutamente, per poi ricadere periodicamente in fasi di tormentato ripiego interno. Come alcuni analisi della guerra in corso portano a concludere che la guerra in Ucraina potrà terminare solo con una mediazione autorevole, così anche le ipotesi sull'avvio di un nuovo ciclo della storia russa hanno come premessa e condizione necessaria il prevalere dello spirito popolare russo. Malgrado la velocità assunta dalla storia nel terzo millennio non ci possiamo attendere cicli brevi, e per il momento a pagarne conseguenze è la cittadinanza dell'attuale Ucraina, come già avvenuto in passato. L'occidente nel denunciare le colpe del governo di Mosca, non può esimersi dal valutare anche i propri errori, dalla caduta del muro di Berlino in avanti, e deve trovare un nuovo modo di convivere con la Russia. Senza vagheggiare che essa possa essere unita all'Europa né illudersi di poterla relegare ad un ruolo subalterno nella comunità internazionale. Esattamente come per gli zar, in Russia, morto un Putin se ne fa un altro.
https://www.peacelink.it/gdp/a/27142.html
https://www.osservatoreromano.va/it/news/2022-03/quo-051/la-voce-di-tolstoj-contro-la-guerra.html