Le conseguenze politiche del verdetto Trump
Il sistema giudiziario americano ciclicamente offre esempi di contemporanea impotenza ed efficacia: come Al Capone rimase impunito per una serie di omicidi e altri crimini violenti, per poi essere condannato per evasione fiscale, così Donald Trump, é stato processato non per avere scatenato una rivolta contro le istituzioni nel tentativo di restare al potere, ma per crimini "contabili". Che però hanno conseguenze non meno devastanti di quelli di sangue.
Nelle ultime cinque settimane, i 12 giurati anonimi del processo contro Donald J. Trump a Manhattan hanno ascoltato le dichiarazioni di apertura, le testimonianze, le argomentazioni conclusive e le istruzioni finali del giudice.
Dodici americani, a porte chiuse hanno valutato le prove e le argomentazioni presentate dalle parti, cercando di dimenticare che Donald Trump, oltre ad essere il primo presidente degli Stati Uniti a subire un processo penale, poteva essere anche il primo ad essere condannato, a cinque mesi dalle prossime elezioni presidenziali.
Il meccanismo del processo con giuria è noto: dodici concittadini dell'imputato vengono scelti dalle liste elettorali; il primo giurato selezionato è nominato portavoce; il verdetto dei giurati deve essere unanime; la giuria deve basarsi solo sugli atti processuali, che sono disponibili nella sala della giuria su un personal computer. I dodici giurati sono stati isolati dal mondo, tranne che per un canale di comunicazione scritto lasciato al portavoce, che infatti ieri ha chiesto chiarimenti al giudice sul contenuto di una testimonianza. Se uno dei giurati per motivi di salute avesse dovuto abbandonare, sarebbe stato sostituito da un supplente scelto fra i giurati di riserva che hanno seguito il processo per tutto il suo svolgimento. L'imputato Trump é stato costretto a restare nel tribunale sino alla comunicazione del verdetto, nei due giorni in cui la giuria si é riunita, con un'interruzione serale.
Se non fosse stata raggiunta l'unanimità fra i giurati, soluzione che appariva probabile considerando lo stato di divisione della società americana di cui i dodici sono rappresentativi, il giudice avrebbe dovuto dichiarare nullo il processo. Ma il Procuratore Distrettuale, responsabile dell'accusa, avrebbe potuto decidere di ripresentare il caso per un nuovo processo, perché la nullità non fa scattare la regola americana della "double jeopardy", il divieto di processare due volte un uomo per lo stesso reato.
L'ex Presidente è stato riconosciuto colpevole di 34 capi di imputazione per falsificazione di documenti aziendali relativi all'insabbiamento di un pagamento segreto di 130.000 dollari effettuato con fondi delle sue aziende alla porno star Stormy Daniels, tramite l'avvocato Cohen, poco prima delle elezioni presidenziali vinte da Trump stesso nel 2016. Per la legge dello Stato di New York, applicabile per competenza, si tratta di crimini di classe E, la meno grave.
Dopo che giuria ha riconosciuto Trump colpevole, spetterà al giudice Juan M. Merchan decidere la pena, e in particolare se optare per la detenzione, cosa non scontata in crimini commessi da "colletti bianchi". Ogni capo di imputazione può essere punito fino a quattro anni di carcere, e toccherà al giudice Merchan decidere sull'eventuale cumulo delle pene. Il giudice probabilmente emetterà la sentenza fra alcune settimane verdetto, ma è anche possibile che la pena, qualunque essa sia, venga ulteriormente differita, in attesa dell'appello che è inevitabile. Il fatto che già in passato Trump, in barba al divieto impostogli, abbia ripetutamente attaccato il giudice definendolo “di parte” e “corrotto”, non predispone certo il magistrato alla benvolenza verso l'imputato.
La pospettiva del carcere sembra comunque piuttosto lontana, essendo anche prevista l'alternativa della libertà vigilata, sotto il controllo del Dipartimento di Polizia di New York, ma con la prospettiva di un arresto obbligatorio, se in futuro l'ex Presidente venisse riconosciuto colpevole di altri crimini. E come noto Trump è alle prese con altri processi.
Del tutto diverso è il problema politico: la strategia dell'ex Presidente era chiara qualunque fosse stato il verdetto. Vista la condanna, riprenderà la teoria del processo per motivi politici, già definito un complotto orchestrato da un'amministrazione ostile. Se assolto, l'ex Presidente avrebbe potuto giocare il registro del perseguitato innocente, tanto da essere uscito vincitore anche dalla cospirazione ordita contro di lui. Si può dire quindi che comunque dal processo Daniels, Trump esce se non vincitore, rafforzato presso il suo elettorato.
Ma c'è di più. Trump è in pectore il candidato repubblicano alle presidenziali, e l'appello contro un'eventuale condanna, prenderebbe mesi se non anni, mentre le elezioni presidenziali si terranno certamente il primo martedì di novembre 2024. In tal caso, anche se condannato, l'ex presidente rimarrebbe libero finché il ricorso non sarà esaminato. Questo metterebbe il Partito Repubblicano di fronte all'alternativa di sostenerne la rielezione o cercare un altro candidato. All'epoca del secondo impeachment, quello per l'assalto al Campidoglio, il capo gruppo repubblicano al Senato, M. McConnell, motivò il voto contrario del Partito con la necessità che fosse la giustizia ordinaria a giudicare il cittadino Trump. Adesso che la giustizia si è pronunciata, nel GOP potrebbe porsi la questione della candidabilità di Trump. Che da ogni punto di vista potrà certamente correre per la rielezione, e persino vincere, anche come indipendente. Per il vertice repubblicano, che già è stato messo sotto ricatto all'epoca del siluramento dello speaker della Camera dei Rappresentanti, si tratta di una decisione fra due ipotesi ad altissimo rischio. Schierarsi dietro al candidato Trump ferito dalla condanna, oppure averlo contro, rischiando di far finire il partito al terzo posto.
Gli avversari democratici continueranno ad essere il bersaglio di attacchi con toni da guerra fredda, ma la loro posizione non sarebbe cambiata di molto in caso di assoluzione di Trump. Al contrario, dopo la condanna, adesso anche un Presidente non al massimo della popolarità come J. Biden, ha un argomento molto forte per fare presa sull'elettorato moderato, affezionato al binomio "law and order", che mal sopporterebbe un Presidente pregiudicato.
Si pone poi la questione della possibilità stessa per un condannato - in primo grado, quindi tecnicamente un innocente - di essere eletto Presidente. Argomento per giuristi, ma considerando che i massimi giuristi americani, i membri della Corte Suprema, hanno negli ultimi anni dato prova di parzialità e rigido allineamento politico, è ben difficile che un eventuale inibizione passerebbe il vaglio della Corte ultra conservatrice che siede a Washington.