Le elezioni presidenziali USA: prevedere l'imprevedibile
Voci dall'America

Le elezioni presidenziali USA: prevedere l'imprevedibile

Il 21 novembre 2021 su questo blog si pubblicava un post intitolato "Il futuro di Joe Biden è Kamala Harris". Era farina del sacco del "Royal Institute of International Affairs", meglio noto come Chatam House. Non un tentativo di prevedere il futuro, operazione sempre ardita, ma un'analisi politica sulla vicepresidenza Harris, vista come un punto di svolta per la politica americana. Lo studio ammoniva sulle difficoltà che Harris avrebbe incontrato, essendo percepita come continuatrice dell'operato di Biden, con una sguardo scettico sul voto afro americano, insufficiente per non dire inutile per portare Harris alla Presidenza. Quel che i ricercatori inglesi intuivano del potenziale di Harris era il suo profilo inclusivo, che avrebbe potuto portare nuovi supporti a sostegno del partito, tranquillizzando i settori conservatori moderati e realizzando novanta anni dopo Roosevelt una nuova alleanza politica trasversale alla società americana.

A quasi due anni di distanza ci sono possibilità che quella valutazione di da Chatam House si concretizzi ? La risposta non è facile, anche perché comporta un pronostico sull'esito del voto del 5 novembre, appeso alle scelte degli elettori americani. L'impressione generale è che la corsa di Trump abbia ripreso vigore dopo un momento di appannamento e malgrado la fatica che il quasi ottantenne ex presidente sembra fare per mantenere il suo ruolo di guascone spaccamontagne. In realtà abbiamo assistito ad almeno due diverse campagne di Trump, coerenti quanto diverse: una focalizzata sulla personalità istrionica del candidato e l'altra sapientemente guidata dai suoi consulenti attraverso centinaia di spot televisivi. Se la prima ha cementato l'elettorato consolidato di Trump, l'altra era diretta a scuotere gli indecisi.

Per contro lo slancio di cui Harris ha beneficiato nell'immediatezza del ritiro di Biden sembra essersi esaurito all'inizio di ottobre, con la candidata democratica bloccata nei sondaggi per settimane, in particolare negli stati chiave e nei segmenti dell'elettorato più ostili alla sua candidatura, come i maschi afro americani della classe media. Harris sconta l'handicap di una campagna breve e priva di rincorsa, a causa del tardivo ritiro di Biden, e in generale un passato politico privo di risultati eclatanti.  Harris non è riuscita a definire in modo chiaro la sua proposta politica, e ha sofferto le conseguenze di attacchi violenti dai fondamentalisti di ogni tipo. Per fare un esempio leader di alcuni movimenti nazionalisti cristiani affermano che Harris è sotto l'influenza dello "spirito di Jezebel". Il termine fa riferimento alla biblica regina Jezebel, che perseguitò i profeti e fu uccisa e martoriata dagli avversari. La parola "Jezebel" è stata in passata usata negli USA per designare le schiave nere, suggerendo che fosser influenzate da demoni. Può sembrare un argomento secondario e quasi frivolo, se non fosse che lo stesso termine era stato usato contro Nancy Pelosi, avendo come conseguenza l'insurrezione del 6 gennaio 2021, e il tentato assassinio del marito dell'ex speaker della Camera. Harris ha mantenuto l'impostazione sorridente sfoggiata all'atto della nomination, alla ricerca di una difficile rimonta con un elettorato diviso e bloccato, ma senza acuti politici. Quattro anni fa, Harris era vista come la divisiva ideologa progressista e Biden come il moderato inclusivo. Paradossalmente oggi le parti si sono ribaltate, e Harris insiste su alcune misure chiave per la classe media come il supporto finanzario ai nuovi proprietari di casa, e il sollievo alla "generazione sandwich" su cui grava l'assistenza agli anziani senza il sussidio di Medicare. La sua ricerca di una convergenza bipartisan su aborto e sicurezza dei confini sembra dover restare nel libro dei sogni democratici.

L'elettorato di Trump appare stabile, anche guardando i risultati sulle mappe delle passate elezioni (https://www.270towin.com/): fra il 2016 e il 2020 il candidato repubblicano aveva perso cinque degli stati incerti (Georgia, Wisconsin, Michigan, Pennsylvania e Iowa). Dando per scontata la ripetizione del risultato 2020 nei 45 altri stati, anche se Harris vincesse in tre di questi stati incerti, avrebbe meno possibilità di vittoria di Trump. Infatti, le simulazioni sulle possibili combinazioni in relazione al numero di voti elettorali, accreditano Trump in vantaggio nella maggioranza delle ipotesi fatte.

Alla vigilia del voto, più che azzardare una previsione su chi vincerà, è meglio forse cercare di capire quello che il 47° Presidente non potrà non fare: che vinca Trump o Harris ad esempio sarà difficile abbandonare al loro destino Ucraina e Israele. Al di là delle ripercussioni di politica interna vista l'importanza delle due comunità, e malgrado alcuni proclami di Trump, gli Stati Uniti non possono rischiare un nuovo isolazionismo, ritirandosi nel loro emisfero, a pena di affrontare incognite drammatiche sul futuro non del loro presunto impero, ma dell'economia americana stessa. In stretta connessione, il 47° Presidente non potrà ridurre le spese militari: del resto, per restare agli ultimi 25 anni, dal 2000 la spesa militare americana secondo i dati dell'istituto "Macrotrends", è sempre cresciuta tranne che per un solo anno sugli otto della  presidenza Obama (2015) , e ormai supera largamente la somma della spesa militare del resto delle nazioni aderenti alla World Bank (che significa escluse Cina, Russia e Corea del Nord). Al momento non si vede come sia possibile rendere compatibile la presenza planetaria di interessi  diretti USA con una riduzione della spesa militare. Inoltre, il 47° presidente dovrà affrontare l'impatto del cambiamento climatico, e se vincerà Trump questo vale anche per lui, perché gli uragani disastrosi e gli altri effetti estremi del climat change, continueranno nei prossimi anni. Certo, non saranno quattro anni di progresso su questo fronte se un Trump uscito vittorioso dalle urne manterrà quanto ha promesso: uscire dagli Accordi di Parigi cancellare tutti i programmi energetici di Biden, eliminare i sussidi alle energie alternative al carburante fossile, e le normative che "impediscono agli americani di acquistare lampadine a incandescenza, fornelli a gas, lavastoviglie". Infine il 47° Presidente non potrà eludere il peso del debito pubblico americano, forse la sfida più importante. Il debito federale ha raggiunto l'impronunciabile cifra di 26 trilioni di dollari, che corrispondono a un più comprensibile ammontare di 200.000 dollari per ogni nucleo familiare della nazione (fonte Cato Institute). Anche rispetto alle dimensioni e alla dinamicità dell'economia americana è un elemento che potrebbe innescare una crisi finanziaria, la cui scintilla può essere data da fattori, imprevedibili e apparentemente innnocui. Gli Stati Uniti, come quasi tutte le altre economie occidentali, vivono il dramma dell'esigenza di tagliare il bilancio, e dell'impossibilità di farlo senza pesanti ricadute sociali. Ma come in un volo aereo è meglio affrontare un atterraggio di emergenza controllato che una caduta libera che non può concludersi altro che con uno schianto.

Comunque vada, si tratterà di un'elezione storica, ma per motivi ben diversi da quelli apocalittici addotti dai radicali presenti nei due schieramenti. Certo sembra che la vittoria di Trump all'improvviso faccia paura un pò ovunque anche ai campioni dello schieramento conservatore anche in Europa. Giuliano Ferrara ha usato toni apocalittici giovedì 17 ottobre sul Foglio: "Trump è un'imitazione del modello politico di Berlusconi, in una versione truce senza doppiopetto e mi consenta", confessione imbarazzante per uno dei più strenui difensori (e beneficiati) del berlusconismo. Più moderato sul Financial Times, Gideon Rachman ha scritto:  "per molti governi a fare la diffferenza fra Trump ed Harris non è l'ideologia ma il temperamento. Un'amministrazione Harris previdibilmente sarebbe stabile e prevedibile. Trump si è già dimostrato portatore di impetuosità e volubilità".

I due candidati hanno certamente visioni opposte dell'America, ma la vittoria dell'uno o dell'altra non concellerà la visione dello sconfitto. Le elezioni  sono un antidoto contro la tentazione autoritaria, particolarmente forte nelle stagioni di demagogia e populismo. Per questo la democrazia americana sopravviverà al 5 novembre 2024, e chiunque sia il vincitore si potrà parlare di vittoria storica. Se vincerà Trump, il buffo tycoon avrà conseguito lo storico risultato di essere il secondo presidente che ottiene due mandati non consecutivi, dopo Grover Cleveland. Harris vincendo si guadagnerebbe il ruolo storico di primo Presidente appartenente all'altra metà del cielo.

L'impressione generale è però che l'America non sia pronta per un presidente donna. Ma questo potrebbe essere un involontario riflesso maschilista. Nemmeno i conservatori più reazionari possono però negare che sarebbe straordinario vivere nei prossimi anni le interrelazioni fra una Harris Presidente e personalità del versante opposto della scena pubblica americana come il campione del conservatorismo in versione digitale Elon Musk, il senatore estremista Lindsay Graham, l'attore bombarolo Jon Voight o il magnate della stampa di destra Rupert Murdoch. Per non parlare, sul versante estero, di cosa rappresenterebbero in termini di novità e potenzialità, nei vertici e nei rapporti diplomatici, le relazioni fra Harris e il Presidente russo Vladimir Putin, la guida suprema dell'Iran l'Ayatollah Ali Khamenei, o il presidente nord coreano Kim Jong-un. Qualche volta il futuro, nella sua imprevedibilità, può essere attraente.

https://www.macrotrends.net/global-metrics/countries/USA/united-states/military-spending-defense-budget
https://www.cato.org/blog/presidential-candidates-spending

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