Guerra in Ucraina: le ambizioni russe e la risposta occidentale

Il conflitto aperto dall’invasione russa dell’Ucraina si trascina con un carico insopportabile di morte e distruzione, senza che iniziative diplomatiche e contro misure di guerra economica arrivino a limitarlo. Anzi ogni giorno si deve registrare con preoccupazione un aumento delle minacce di nuovi attacchi e nuove ritorsioni, anche militari, senza escludere il ricorso all’arma atomica.

Cercando di analizzare gli obbiettivi del regime di Vladimir Putin, senza dimenticare il sangue che scorre ogni minuto sulla linea del fronte, due sono le direttrici di lungo periodo su cui muove la Russia: il ripristino della propria potenza anche territoriale e il riordino del sistema internazionale uscito dalla Seconda guerra mondiale.

Le ambizioni russe non sono una novità, tanto da essere state anticipate ed analizzate nel 2016 nell’analisi in chiave storica di Stephen Kotkin, professore di Storia delle Relazioni Internazionali alla Princeton University.

Per cinque secoli, la politica estera dei diversi regimi succedutisi a Mosca è stata caratterizzata da ambizioni che eccedevano le reali capacità della nazione russa. Dall’epoca di Ivan il Terribile (XVI secolo), la Russia riuscì a espandersi sino a diventare all’inizio del ‘900 la quinta potenza industriale del mondo e il più grande produttore agricolo in Europa, ma con un prodotto lordo pro capite largamente inferiore a quello di Gran Bretagna e Germania, e un’aspettativa di vita di soli 30 anni, quando mediamente in Europa era intorno ai 50 anni.

Per tre volte nella storia la Russia fu vittoriosa all’estero: con Pietro il Grande su Carlo XII di Svezia all'inizio del 1700, fondando la base del potere russo nel Mar Baltico e nel nord Europa; con il ruolo di Alessandro I nella sconfitta di Napoleone nel 1813/1815, che inserì stabilmente la Russia nel novero delle grandi potenze; con la partecipazione del regime sovietico diretto da Josif Stalin all’alleanza vincente che nel 1939/1945 disegnò il sistema internazionale oggi attaccato.

In questo lungo periodo si verificarono gravi passi falsi per le ambizioni dei regimi succedutisi a Mosca: la sconfitta in Crimea nel 1853-56, che oltre a confinare all’est la forza russa, ebbe gravi ripercussioni interne, come l’emancipazione dei contadini dall’aristocrazia; la sconfitta contro il Giappone nel 1904/1905, che segnò invece il cambio di dimensione dell’impero nipponico e l'ingresso degli Stati Uniti come mediatori e arbitri della politica mondiale; la sconfitta nella Grande guerra 1914/1917, che fu insieme causa ed effetto del crollo del regime imperiale. Per non parlare della sconfitta nella  Guerra Fredda, che fece coincidere lo sgretolamento del regime sovietico con la parcellizzazione del territorio che gli era appartenuto, e la fine della sfera di influenza russa sull’Europa dell’Est decisa nel 1945 a Yalta. Il tracollo ideologico e politico del comunismo russo comportò per la Russia la perdita di un territorio grande quanto l’attuale Unione Europea, limitando la sovranità di Mosca a un’area pari a quella dei tempi di Caterina la Grande.

Il ritorno ad una dimensione imperiale, e le ambizioni di Vladimir Putin, si inseriscono in questa storia secolare, che nel cambio di attori e apparati ideologici, vede il costante permanere di un potere centrale che a Mosca si fa regime autocratico. L’apparato centrale del Cremlino esercita la sua sovranità su tutte le Russie con un sistema poliziesco mal sopportato oggi da strati crescenti della popolazione, inviso e avversario dell’occidente, in particolare del sinora egemone blocco euramericano. Sei anni fa, subito dopo l’annessione della Crimea, lo studioso di Princeton invitava ad una politica di pazienza, permettendo che il tempo e la debolezza interna del sistema russo condizionassero Vladimir Putin, ma l’ultraventennale inquilino del Cremlino ha reso vana questa illusione.

Sotto l’aspetto della revisione dell’ordine mondiale, è stato esemplare il dibattito tenutosi questa settimana al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che ha discusso tre diverse bozze di risoluzione relative alla guerra in Ucraina:

1) Francia – Messico: richiede un immediato cessate il fuoco per ragioni umanitarie, attribuendo la responsabilità della situazione all’invasione del territorio ucraino da parte della Russia;

2) Russia: richiede l’attuazione di misure umanitarie per preservare i civili dalle conseguenze delle operazioni militari;

3) Sud Africa: sostanzialmente adatta il testo franco-messicano, stralciando l'attribuzione della responsabilità alla Russia. L’ambasciatore di Pretoria ha ricordato l’inutilità di attribuire la crisi umanitaria alla Russia in questa risoluzione poiché l'Assemblea generale delle Nazioni Unite aveva già approvato il 3 marzo una risoluzione che condannava la Russia per la sua aggressione contro l'Ucraina e ne chiedeva il ritiro.

Fra queste tre posizioni, tutte bocciate, è risultata determinante, e in parte illuminante, la posizione della Cina, che condivide con la Russia l’intenzione di cambiare le regole del gioco internazionale. Il rappresentante di Pechino all’ONU, Zhang Jun, al di là delle affermazioni di prammatica sulla situazione umanitaria e sul ruolo del Consiglio di sicurezza internazionali, è stato chiaro, per quanto possa esserlo un diplomatico. Zhang ha spiegato, infatti, che la politica cinese si basa oltre che sul rispetto della sovranità di tutti i paesi, su due capi saldi: l'abbandono della "mentalità da guerra fredda" e la fine degli "scontri di blocco".

In sostanza la Cina, oltre l’aspetto umanitario, ritiene che per fermare il conflitto sia da un lato garantita l’indipendenza ucraina, e dall’altro vengano accolte le preoccupazioni del governo russo per l’eventuale adesione dI Kiev alla NATO.  Ma più di tutto la Cina chiede che l’ordine internazionale si ricostituisca secondo un modello in cui gli Stati Uniti non siano più la potenza egemone, e il dollaro la moneta forte del pianeta.

C’è un margine di trattativa fra le parti su questi nodi da sciogliere ? Per le ambizioni russe da molte parti si invoca un ritorno alla politica del containement (vedi su questo Blog il post "Joe Biden e il nuovo "containement" in Europa" del 26/02/2022), sostenendo che le pressioni esterne possono essere sufficienti in attesa del crollo dell’attuale regime di Mosca. Ma questa politica, seguita dopo l’annessione Russa della Crimea,  si è già rivelata una trappola per il fronte liberal democratico, permettendo peraltro il ritorno allo status di superpotenza di una Russia che rimane debole nelle sue strutture politiche ed economiche.

Qaunto all’ordine internazionale, l’invasione dell’Ucraina ha ridotto drammaticamente i tempi a disposizione dei governi, perché la Russia afferma ormai apertamente l’ambizione di una presiedere una nuova sfera di influenza eurasiatica, che nella propaganda, e forse nell’intima convinzione, del regime moscovita coincide con l’identità nazionale russa. Il confronto militare ha fatto tornare la pura potenza al centro delle relazioni internazionali, e oggi il governo russo non intende venire a patti con l’Occidente, per imporre invece manu militari la sua dottrina su una regione che si estenda da Vladivostok a Lisbona. Ipotesi che oltre a non essere gradita agli europei, suscita le apprensioni degli Stati Uniti.

L’apparente unità dell’Occidente espressa nel corso della visita a Bruxelles del Presidente Biden non ha permesso di identificare obbiettivi altrettanto chiari sul fronte euramericano, e per questo il conflitto in Ucraina potrebbe durare ancora a lungo. Per usare una metafora scacchistica, mentre Russia e Cina muovono alfieri e torri, l’Occidente sta ancora predisponendo i pedoni. Intanto in Ucraina si continua a morire.

https://www.un.org/press/en/2022/sc14838.doc.htm

https://www.dailymaverick.co.za/article/2022-03-22-south-africa-drafts-a-un-resolution-on-humanitarian-aid-to-ukraine-without-mentioning-russia/

https://www.foreignaffairs.com/articles/ukraine/2016-04-18/russias-perpetual-geopolitics