30 Ottobre 2020 L'importanza della corte suprema
Diario

30 Ottobre 2020 L'importanza della corte suprema

La Corte Suprema, è uno dei pilastri del sistema istituzionale previsto dalla Costituzione americana, e la sua importanza negli ultimi cento anni è diventata cruciale per accompagnare, modificare o impedire, l’evoluzione della società americana.

I nove giudici nominati a vita dal Presidente e confermati dal Senato, hanno il duplice compito di essere la corte di ultimo ricorso per le decisioni di tutte le giurisdizioni inferiori, e di provvedere al vaglio di costituzionalità (judicial review) delle leggi. Sino all’inizio di questo secolo la funzione della corte è stata essenzialmente di arbitro super partes, diventando un elemento della lotta politica partigiana solo negli anni della Presidenza di F. D. Roosevelt, la cui azione riformatrice venne definita sovversiva dagli avversari politici, e non di rado venne censurata dalle sentenze negative della Corte Suprema.

Negli ultimi venti anni la Corte è tornata al centro della battaglia politica, cessando di essere vista come “bipartisan” al punto che l’opinione pubblica, a prescindere dal formalismo giuridico, considera i giudici come rappresentanti della forza politica che li ha nominati. Pur basandosi su ragionamenti legali, e sull’interpretazione dei precedenti e delle leggi, prima fra tutte la Costituzione, i giudici finiscono per schierarsi troppo spesso in modo omogeneo con lo schieramento politico del presidente che li ha nominati. Un’analisi delle sentenze dell’ultima sessione della Corte dimostra che nel 93% dei casi la regola dello schieramento partitico è stata rigidamente rispettata.

Fonte: Scotusblog

Sempre negli ultimi venti anni, è arrivato poi a maturazione un vasto fenomeno di rigetto di molte delle nuove istituzioni sociali affermatesi nella seconda metà del novecento: i diritti dei neri d’America, il diritto di aborto, l’uguaglianza assoluta fra uomo e donna, i diritti dei consumatori, sono contestati da un movimento di opinione che se trova origine in ambiti minoritari del conservatorismo radicale, ha finito per coinvolgere una maggioranza di cittadini avidi di sicurezza sociale ed economica. Questa dinamica sociale e politica si riflette con precisione nella composizione della corte e nelle decisioni che questa prende orientando le successive scelte dei cittadini.

La storia della Corte Suprema non può essere ridotta a schemi cronologici, ma si può fissare al 1973 la fine, o l’inizio della fine, dell’epoca dell’arbitro imparziale, quando nel caso Wade contro Roe, la Corte sancì che l’aborto rappresenta un diritto personale relativo alla parte più intima della libera scelta individuale, e che ogni norma statale o federale che limiti tale diritto rappresenta un’ingerenza nella libertà personale. Come si vede, la Corte, sino allora generalmente rispettata come regolatore imparziale della legge, aveva in quel caso cercato un punto di equilibrio e convergenza fra la tradizione costituzionale e le aspettative della società. Questo presunto equilibrio ha poi scatenato una guerra ideologica che dura da cinquant’anni e coinvolge in modo attivo minoranze violente pronte a impedire con la forza l’esercizio del diritto di aborto, supportate da centri di potere economico conservatori pronti a finanziare ampie campagne di sostegno alla contestazione dell’interpretazione allora data dalla Corte suprema. Lo schema si è riprodotto nell’ambito di altre dispute che coinvolgono ampi strati della società: per tutti la questione del controllo della vendita di armi, sostenuto dalla destra conservatrice come diritto di libertà sancito dalla costituzione. Dopo decenni di polemiche, in una società martoriata da una criminalità diffusa, con una minoranza nera vessata, e ricorrenti eccidi dovuti al disinvolto sistema di vendita delle armi, nel 2008 la Corte Suprema dichiarò incostituzionale una legge del Distretto di Columbia che regolamentava la vendita delle armi. La Corte sanciva così il diritto assoluto dei cittadini a portare armi e insieme proibiva ogni limitazione a tale diritto, in forza del Secondo Emendamento della Costituzione americana, che recita: “Data la necessità di una milizia regolamentata per la sicurezza di uno Stato libero, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere limitato”. La teoria della prevalenza del senso originario della Costituzione venne interpretata con evidente parzialità dalla corte, che, secondo l’opinione di una consistente maggioranza di professori di diritto, si attenne solo al contenuto del secondo periodo dell’emendamento, omettendo di attribuire il giusto ruolo al riferimento alla “milizia”, che avrebbe invece consentito di regolare in modo concreto, e coerente con la costituzione, la vendita di armi. Anche in quel caso la decisione fu presa a maggioranza 5 giudici contro 4. Il controverso giudice Antonin Scalia nel testo dell’opinione di maggioranza spiegò le ragioni della decisione: «Siamo consapevoli del problema della violenza legata all’uso di armi da fuoco in questo Paese e prendiamo in seria considerazione le preoccupazioni dei molti amici che ritengono il divieto di possedere armi da fuoco una soluzione .... Ma la tutela dei diritti costituzionali inevitabilmente esclude alcune misure dal novero delle opzioni disponibili». Una capriola logica e morale che è costata migliaia di vittime, e dato profitti miliardari ai produttori di armi.

Come si vede non si tratta di astruse controversie giuridiche, comprensibili solo dagli addetti ai lavori, ma della carne viva della nazione americana. Analizzando il calendario delle questioni che saranno oggetto del giudizio della Corte Suprema nei prossimi tre mesi, emerge come le decisioni che saranno prese peseranno nella vita di milioni di americani e prima di tutto nel rapporto fra i cittadini e il governo federale.

Se si esaminano le parti in causa infatti, la schiacciante maggioranza delle questioni che la Corte ha già selezionato riguardano vertenze fra il governo e privati cittadini, con il corollario di due dispute fra governo da un lato e congresso e stati dall’altra. E’ la conferma della mai risolta dicotomia della vita pubblica americana fra eredi della tradizione rispettivamente di T. Jefferson e di A. Hamilton. I primi fautori della limitazione delle attribuzioni governative in favore della massima libertà da attribuire ai singoli cittadini, e della prevalenza della competenza statale su quella federale. I secondi assertori del ruolo del governo come stanza di compensazione degli interessi contrapposti e regolatore dell’evoluzione della società civile e politica.

GOVERNO vs PRIVATI 15
STATI vs PRIVATI  6
PRIVATI vs PRIVATI 5
CITTA' vs PRIVATI 2
GOVERNO vs CONGRESSO  1
GOVERNO vs STATI  1
STATI vs STATI  1

Se si guarda poi all’oggetto delle controversie che la Corte ha già programmato, in quanto meritevoli della sanzione di costituzionalità, il dato quantitativo indica che i diritti civili e le dispute sulla giurisdizione monopolizzano l’attività della corte. Ma dal punto di vista qualitativo le due cause sulla sanità, direttamente connesse alla riforma Obama, e le tre sul digitale, avranno un impatto immediato sulla maggioranza dei cittadini americani.

DIRITTI CIVILI 10
GIURISDIZIONE  10
DIGITALE   3
CONSUMATORI    2
IMMIGRAZIONE   2
SANITA'   2
ACQUE PUBBLICHE 1
SEQUESTRO PER DEBITI 1

Da notare che la Corte si sta occupando in modo diretto proprio del Presidente, in uno dei casi già inseriti nel calendario 2020: il Comitato Giudiziario della Camera dei Rappresentanti insiste infatti per ottenere il rapporto del Procuratore speciale Muller nella sua integralità, riempiendo gli omissis inseriti nel testo trasmesso dal Ministro della Giustizia Barr al Congresso. E come noto in gioco c’è qualcosa di più che non la legittimazione politica della vittoria di Trump nel 2016, ma la sua stessa buona fede. Perché se è vero che già molto è stato da più parti perdonato da Donald Trump, è anche vero che non potrebbe restare priva di conseguenze la prova di un diretto coinvolgimento dell’allora candidato Trump nelle operazioni sporche che furono condotte contro la sua rivale H. Clinton da hacker russi, appoggiati da pezzi dei servizi di intelligence americani. Il Partito Repubblicano per garantire la propria sopravvivenza rispetto all’irrompere del tycoon immobiliare ha già dovuto accettare i sistemi da reality televisivo del terzo millennio. E fatto cadere provvisoriamente il sipario su consolidate regole non scritte della politica americana che pretende assoluta trasparenza sui redditi dei candidati agli uffici pubblici: come noto D. Trump ha rifiutato, con motivazioni non sempre pregevoli, di rendere pubbliche le sue dichiarazioni dei redditi, aprendo una causa nei confronti dei suoi consulenti fiscali, la sede americana della multinazionale francese Mazars. Solo pochi mesi fa, maggio 2020, la Corte con una decisione pilatesca, ha rimandato il caso alla corte d’appello federale, specificando che gli argomenti di Trump erano lontani dalla Costituzione: “ Gli standard proposti dal presidente e dal procuratore generale - se applicati al di fuori del contesto delle informazioni privilegiate - rischierebbero di ostacolare seriamente il Congresso nell'espletamento delle proprie responsabilità ... “ ma anche che “L'approccio della Camera non tiene adeguatamente conto delle significative questioni di separazione dei poteri sollevate dal Presidente.” Il caso è quindi ancora aperto, e potrebbe tornare davanti alla Corte suprema, che però già nella sua composizione precedente non aveva certo aderito alle tesi estreme che avrebbero portato all’impeachment di Trump.

Un altro procedimento giudiziario si trova ad uno stato meno avanzato, ma riguarda un altro degli elementi nuovi introdotti dallo stile di D. Trump: il rifiuto di sottoporsi come tutti i cittadini alla giustizia ordinaria, non solo per le sue azioni come Presidente, ma anche per la sua attività privata svolta prima dell’elezione. In aggiunta Trump pretende che tale privilegio debba essere esteso anche alle sue aziende e ai suoi familiari, facendo tornare di moda dibattiti sulle prerogative semi regali della presidenza che non echeggiavano sulla stampa e al Congresso da due secoli. Anche in questo caso è probabile che la decisione della Corte competente, venga portata poi all’attenzione della Corte Suprema nei prossimi mesi, coinvolgendo l’intera nazione in un dibattito che non potrebbe essere indolore.

Ma il caso che più direttamente potrebbe coinvolgere il Presidente Trump è quello non impossibile di una controversia sul risultato elettorale: pur nella retorica del volere del popolo il sistema di elezione del Presidente degli Stati Uniti è complesso e non prevede che il vincitore sia il candidato che ha ottenuto più voti. I padri fondatori, rappresentanti dei tredici stati iniziali dell’unione, per preservare la parità di peso fra gli stati, furono indotti a prevedere un contrappeso al puro dato numerico della popolazione, e quindi il voto per i candidati alla presidenza si trasforma in nomina di un numero prestabilito di delegati per stato, che provvedono poi a trasformare in voto dello stato il voto popolare

Fonte: USA.gov

Di fatto è accaduto ripetutamente, e da ultimo nel 2000 e nel 2016, che un presidente sia stato eletto grazie alla maggioranza dei delegati, pur avendo ricevuto meno voti popolari del candidato sconfitto. E nel 2000 il margine anche fra i delegati fu talmente risicato, e circoscritto ad un solo stato, che la Corte Suprema fu investita del ruolo di arbitrare la disputa sul conteggio dei voti dello stato decisivo (Florida). Dopo una serie di rapide decisioni intermedie, la Corte a maggioranza 5 contro 4 annullò la decisione della Corte Suprema della Florida di procedere al riconteggio manuale selettivo delle schede elettorali in quello stato, assegnando di fatto i 25 voti (di allora) della Florida a George W. Bush.

In questo scorcio di campagna presidenziale i sondaggisti annunciano una competizione elettorale dall’esito incerto, malgrado le loro previsioni siano già state smentite clamorosamente quattro anni fa; il Presidente Trump in uno dei suoi consueti attacchi anti sistema ha denunciato il meccanismo di voto postale, tradizionalmente favorevole ai democratici; lo stesso Trump ha annunciato, con una certa ambiguità, di essere intenzionato a contestare la validità legale di un voto che non gli sia favorevole. Tutti elementi che fanno pensare che una corte orfana di R. B. Ginsburg, e ancor più nel caso in cui la giudice appena deceduta venisse rimpiazzata da un sesto (o più probabilmente una sesta) giudice di orientamento ultraconservatore, costituirebbe una contro assicurazione per Trump a fronte di una eventuale sconfitto di misura.

Non mancano certo i giuristi di valore nelle università americane, e i giudici competenti ed equi fra i banchi dei tribunali federali, per cui non è impossibile che qualunque sia il voto popolare il 3 novembre 2020, la Corte Suprema riesca a ritrovare il ruolo che gli è proprio di approfondita e imparziale valutazione delle lacerazioni della società americana. Ruolo che certamente ha rivestito per larga parte della sua storia bicentenaria.

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