Morto un papa se ne fa un altro: e se fosse americano ?

La morte di Papa Bergoglio è destinata a produrre cambiamenti in mezzo mondo, non solo nell'area cattolica. Il potere diretto o indiretto del capo della Chiesa Cattolica è difficile da definire e misurare: noi italiani, cattolici e no, tendiamo forse a sopravvalutarlo. Nella storia qualcuno lo ha pesantemente sottovalutato, come Josef Stalin cui è stata attribuita la celebre frase ironica pronunciata a Yalta sulle "divisioni del papa".  Il cambiamento inizierà con il nuovo Papa, per la regola inflessibile richiamata nel titolo, che qualcuno ritiene volgare, ma è solo reale. Inizierà adesso la ridda di voci su schieramenti e alleanze all'interno della Chiesa e del Conclave, che i vaticanisti tendono a ignorare nella certezza che, Spirito Santo o no, è solo nella Sistina che si chiudono i giochi dell'elezione.

La Chiesa americana guarda a questo futuro prossimo anche con la speranza che il prossimo Vescovo di Roma possa dialogare in modo costruttivo con il governo americano. Meglio di come sembra abbia fatto l'attuale amministrazione, molto lontana da Bergolglio nei contenuti e nei toni, come dimostrato anche nella visita del Vice Presidente USA, J. D. Vance, solo la scorsa settimana.    

Certo la chiesa cattolica americana non è un monolite, e come non aveva una posizione unica rispetto al riformismo di Bergloglio, non ha nemmeno una posizione unitaria nei confronti delle politiche del Presidente Trump. La pattuglia americana nel prossimo Conclave sarà del resto divisa fra ratzingeriani e bergliani, conservatori e riformatori:  

Già nel 2016 il Cardinale di Boston Sean P. O'Malley aveva espresso le sue preoccupazioni per l'effetto di moltiplicatore delle divisioni fra americani che avrebbe avuto la presidenza Trump. Oltre a non cessare di ammonire contro l'inutilità di cercare di risolvere con ricette semplicistiche i complessi problemi della società americana, proprio della proposta politica di Trump. Ciò non gli ha impedito di guidare un movimento nazionale di condanna della violenza politica proprio in occasione dell'attentato contro lo stesso Trump nel 2024.

Nelle settimane seguite alla seconda inaugurazione di Trump, l'episcopato americano ha reagito con estrema cautela. Formalmente il 22 gennaio 2025, l'arcivescovo Timothy Broglio, capo della Conferenza episcopale (USCCB), ha definito alcuni ordini esecutivi "profondamente preoccupanti per il trattamento riservato a immigrati e rifugiati, la cancellazione degli aiuti allo sviluppo, il ritorno della pena di morte e la scarsa considerazione per tutto quanto riguiarda l'ambiente". Sull'immigrazione la conferenza episcopale è arrivata a citare in tribunale il governo federale con l'intento almeno di rallentare la messa in pratica del programma di deportazione, e già operativo dopo le minacce di ritorsioni verso nazioni come Venezuela, Panama e Messico. La gerarchia cattolica appare invece più in sintonia con l'orientamento dell'amministrazione Trump per il radicale approccio sulla politica binaria di genere.

I cardinali americani si sono poi divisi dopo le dichiarazioni a sostegno di Trump del porporato tedesco Gerhard Müller, già Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, nominato cardinale da Francesco. L'influente cardinale tedesco, in continuità con le sue battaglie contro la rinuncia alla messa in latino, il liberalismo ed il relativismo nella chiesa, si è proposto come punto di riferimento di un  blocco conservatore, che negli USA trova alleati e oppositori. Il cardinale di New York, Timothy Dolan, senza appoggiare direttamente Trump, ha ostentato rapporti amichevoli con il Presidente, elogiando l'esordio della sua seconda amministrazione in sintonia con la destra repubblicana su argomenti come l'aborto e la parità di genere. Sulla stessa linea il cardinale conservatore Raymond Burke, da sempre critico di Papa Francesco sui diritti LGBTQ+, sul dialogo interreligioso e sulle questioni di giustizia sociale, su cui è invece contiguo al movimento trumpiano.

Sul fronte opposto spicca il cardinale Robert McElroy, elevato alla porpora da Francesco nel 2022, con l'esplicita intenzione di riorientare la Chiesa americana, allontanandola dal nazionalismo conservatore. Proprio McElroy ha ispirato le critiche di parte della gerarchia americana per  le posizioni e le azioni di Trump sull'immigrazione e la divisione razziale, con l'intento di definire una strategia cattolica più indirizzata all'inclusione sociale e alla giustizia economica. La preoccupazione del vescovo di San Diego è che con un elettorato sempre più conservatore, possa aumentare quel 56% di cattolici che, secondo le analisi, avrebbe votato per Trump alle ultime presidenziali.

Nel solco di una tradizionale equidistanza, il Cardinale di Newark, Joseph W. Tobin, ha ricordato che il programma democratico tendeva a rimuovere i diritti dei nascituri dal dibattito politico, ma ricordato ai fedeli che l'essenziale è votare per preservare la democrazia.

Il Cardinale di Chicago, Blase J. Cupich, dopo che la nuova amministrazione ha sospeso tutti gli aiuti umanitari verso l'estero, ha criticato il governo per aver generato il caos nella rete di enti di beneficenza che amministrano gli aiuti umanitari dei cattolici americani. Secondo il Cardinal Cupich, oltre a violare la Costituzione degli Stati Uniti, questa misura ha un costo umano, perché aumenta la sofferenza delle persone che muoiono di fame, sono senza casa e sono minacciate dalle malattie. E danneggia nel lungo periodo la capacità di salvare vite umane da parte di gruppi umanitari immuni da partigianeria politica.

La continuità rispetto al pontificato di Francesco sembra impersonata dal Cardinale Kevin Farrell. Nato a Dublino e naturalizzato americano, attuale Camerlengo dopo essere stato Prefetto della cruciale Congregazione per i Laici la famiglia e la vita, ha supportato Bergoglio nella ricerca di un equilibrio interno alla chiesa e nel segno del dialogo con ogni componente della società civile. Sfiorato dal sospetto di aver omesso i dovuti controlli nello scandalo per abusi sessuali che coivolse l’ex Cardinale Theodore E McCarrick, oggi ridotto allo stato laicale, Farrell si è difeso con una discrezione e misura che non sono state apprezzate dalla parte più conservatrice della chiesa americana. Il Cardinale nel 2018 aveva poi criticato apertamente gli eccessi della polizia nel caso Floyd, e aveva colto l'occasione per esortare i cattolici americani a non chiudere gli occhi di fronte al razzismo e alla discriminazione. Mantenendo comunque la sua esortazione sul piano puramente religioso, schivando ogni possibile implicazione politica. Farrell si è rivelato negli anni uno dei più importanti sostenitori di Bergoglio: convinto che la riforma della Curia romana fosse una delle missioni che Francesco si era dato, Farrell giudica oggi l'istituzione profondamente rinnovata, nel suo insieme e nei suoi singoli uffici sotto una guida tutt'altro che autocratica, che garantisce l'espressione di posizioni e opinioni. Secondo Farrell l'internazionalizzazione della Curia proseguita da Francesco, e l'eterogeneità dei collaboratori del Papa, permettono alla chiesa di affrontare il futuro senza dover temere le numerose incognite che la modernità pone.

Considerando che il collegio cardinalizio che dovrà procedere alla nomina del successore di Bergoglio sarà composto in larga prevalenza da cardinali nominati proprio dal Papa Bergoglio (a fine marzo 110 su 138) qualcuno affaccia l'ipotesi di una possibile convergenza di consensi proprio su Kevin Farrell, nel segno di una continuità moderata. E che consenta la transizione verso un futuro che, dal punto di vista dei cattolici americani, sarà comunque condizionato dal disinvolto pragmatismo del Presidente Trump. Sarebbe una ripetizione della successione a Woytila, quando venne eletto l'allora Camerlengo J. Ratzinger, ma al momento sembra più un prodotto del wishful thinking che di reali opzioni di politica ecclesiastica.

https://www.americamagazine.org/faith/2023/03/28/cardinal-farrell-pope-francis-curia-244978 https://www.vatican.va/roman_curia/cardinals/index_it.htm