Padri fondatori 1: furono ipocriti schiavisti o avveduti liberali ?
Voci dall'America

Padri fondatori 1: furono ipocriti schiavisti o avveduti liberali ?

Pur limitando la loro storia a poco meno di 250 anni, gli americani riescono a dilaniarsi sull'interpretazione del loro passato più e meglio di popoli di maggiore tradizione. Negli ultimi anni una vera e propria controversia di filologia storica ha coinvolto politici e accademici, e di riflesso la società civile, sui criteri di valutazione complessiva della storia americana, e sulla modalità con cui viene insegnata nelle scuole pubbliche.

Dopo il mai morto dibattito sull'evoluzionismo, di cui il "Monkey Trial" è stato l'episodio più clamoroso, negli ultimi anni si sono fronteggiate due articolate operazioni culturali frammiste alla politica: da una parte quella lanciata dal New York Times con il "1619 Project" un'iniziativa lanciata nell'agosto 2019, nel 400° anniversario dell'inizio della schiavitù americana, con il proposito dichiarato di "riformulare la storia del paese ponendo le conseguenze della schiavitù e i contributi dei neri americani al centro della nostra narrativa nazionale". La premessa dell'operazione è che è impossibile raccontare sinceramente la storia americana senza una chiara visione di quanto sia stato disumano e immorale il trattamento riservato nel tempo ai neri americani. Riconoscendo questa storia vergognosa, sforzandosi di comprendere la sua potente influenza sul presente, gli americani possono preparare un futuro più giusto. Un grande operazione culturale, dal sapore antico di moralismo puritano rigido sino all'intolleranza, più che una pragmatica presa d'atto che l'evoluzione della storia può partire anche da livelli molto bassi, che non ha trovato il completo sostegno dell'anima liberal della società americana, contribuendo cos' alla radicalizzazione del dissenso sull'argomento.

Dalla parte opposta, l'amministrazione Trump ha portato con la "1776 commission" un attacco radicale al pensiero e all'attivismo progressista, negando che la tragica storia della schiavitù abbia contaminato la purezza del pensiero liberale. Con un'espressione forse riduttiva, il rapporto definisce la realtà della schiavitù negli Stati Uniti come una sfortunata realtà comune a tutto il mondo che, secondo i 18 storici non accademici  della commissione, è stata spazzata via proprio dalle forze scatenate dalla Rivoluzione americana, che portò "un drammatico cambiamento epocale nella sensibilità morale". Gli estensori del rapporto denunciano come falsa l'accusa di ipocrisia mossa ai fondatori americani che predicavano l'uguaglianza anche se nello stesso tempo codificavano la schiavitù e detenevano schiavi essi stessi.  La parte più discussa, e fortemente discutibile, del rapporto è quella in cui gli estensori danno un'interpretazione restrittiva del Primo emendamento, che laddove pone a base della libertà la "separazione tra chiesa e stato" non comporterebbe una completa separazione tra religione e politica, bensì fondare la politica sulla religione. Un'interpretazione forzata e fuorviante, secondo cui i fondatori non intendevano cancellare la religione dalla vita politica, ma al contrario fare spazio al credo religioso come espressione di libertà. Ciò che implicherebbe imporre una "libera religione di stato", con le aberranti conseguenze cui tale istituzione avrebbe portato, cancellando la differenza basilare fra la Repubblica americana e ogni altra istituzione teocratica vista nella storia passata e recente. Un argomento buono per ravvivare il fuoco delle passioni conservatrici dell'estrema destra, ma molto pericoloso in un mondo in cui non mancano i nemici degli Stati Uniti pronti a proclamare la loro crociata anti americana in nome del loro dio. Interrotta l'operazione politica dalla fine della presidenza Trump, l'operato della commissione non ha smesso di influenzare la cultura, e le sub culture, della destra conservatrice, che pur essendo storicamente parte integrante della liberazione dalla schiavitù - A. Lincoln era repubblicano - è oggi caratterizzata in modo significativo dal pregiudizio razziale.

La reciproca accusa di fascismo è stata il corollario comune ai due teoremi. In epoca di "me too", di "black lives matters" e di abbattimento di statue poste a ricordo del passato è difficile cercare di ragionare su argomenti che una maggioranza di persone giudica frettolosamente secondo canoni e criteri anacronistici e istintivi. Vale la pena, però,  di avventurarsi in questo terreno difficoltoso, cercando di rispettare un criterio metodologico: situare teorie e fatti nel loro tempo, cercando di non osservare i fatti storici secondo le regole di oggi, e viceversa. Questi modi di procedere impediscono tanto la giusta comprensione del passato che il corretto orientamento dei nostri pensieri ed azioni nel presente. Occorre ricordare e non abbattere, perché distruggere un monumento storico, così come un fatto storico, significa distruggere un'opportunità di apprendimento.

E' noto che dopo aver solennemente dichiarato il 4 luglio 1776 che "tutti gli uomini sono uguali", nella loro vita privata i Padri Fondatori continuarono a essere proprietari di schiavi, mentre nella vita pubblica rinviarono il momento della verità sulla schiavitù mediante un compromesso: la parola "schiavitù" non compare nella Costituzione, perché avrebbe moralmente inficiato il documento. Tuttavia, ci sono nella Costituzione importanti riferimenti alla schiavitù: la famigerata clausola dei tre quinti - che contava i tre quinti della popolazione schiava nella ripartizione della rappresentanza - dava al Sud una rappresentanza extra alla Camera e voti extra nel Collegio Elettorale. Inoltre, la Costituzione ha anche vietato al Congresso di modificare lo status quo per vent'anni, e previsto la clausola dello schiavo fuggitivo e conferito al governo federale il potere di reprimere le ribellioni interne, comprese le insurrezioni degli schiavi. Il compromesso venne rinnovato nel 1820 al momento dell'adesione del Missouri all'Unione, quando su proposta di H. Clay venne limitata la schiavitù al di sotto del 36º parallelo (confine meridionale del Missouri), inventando nel contempo uno stato - il Maine - per riequilibrare le forze fra abolizionisti e schiavisti. Compromesso che venne debolmente riproposto nel 1850 con due misure che si rivelarono inadatte ad evitare che la situazione precipitasse: l'abolizione del commercio di schiavi pur lasciando intatta la possibilità di possederne e la riforma della legge sugli schiavi fuggiaschi (Fugitive Slave Act). Pochi anni dopo la secessione degli stati schiavisti avrebbe portato alla carneficina della guerra civile, che ufficialmente pose fine alla schiavitù, ma non risolse il problema razziale, che si trasformò in segregazione.

Pur nell'inevitabile evoluzione dovuta al progresso economico e sociale, la questione razziale rimase inalterato in termini di segregazione violenta per un altro secolo sino al Civil Rights Act del 1964, firmato da di Lyndon Johnson un presidente originario del Texas, uno degli stati americani in cui la cultura della segregazione era ed è maggiormente presente.

Oggettivamente oggi i fatti dicono che la minoranza nera pur essendo completamente integrata nella società americana, è ancora un soggetto sociale svantaggiato quando non emarginato: gli afro americani costituiscono il 38% della popolazione carceraria negli USA, pur rappresentando solo il 12,1 % del totale secondo il Censimento del 2010, un dato che nasconde troppe diverse realtà che in diversa misura contribuiscono a mantenere uno stato di segregazione latente. Il minore accesso all'educazione in generale ed all'educazione di qualità in particolare, è l'inevitabile premessa per uno squilibrio sociale che, acuito dalle due crisi succedutesi fra il 2009 e la pandemia, ha portato il reddito medio delle famigli afro americane a crescere sì mediamente del 20%, ma restando lontanissimo dal reddito medio delle famiglie bianche. Inoltre il reddito degli afro americani è fortemente squilibrato fra sacche di povertà nelle grandi aree metropolitane e maggiore benessere nelle città medie e medio piccole.

Oltre ai fatti economici, si è ormai radicata una duplice cultura radicale: da un lato è sempre consistente la parte della popolazione bianca che crede nella diversità razziale dei concittadini di colore, e dall'altra la stessa cultura afro americana che rifiuta l'integrazione resta una costante minoritaria ma ineliminabile in quella fascia della popolazione americana, ben sintetizzata dalle recenti parole di Corey Bush, religiosa e Rappresentante del Missouri alla Camera: "Quando dicono che il 4 luglio riguarda la libertà americana, ricordiamo che la libertà a cui si riferiscono è per i bianchi. Questa terra è terra rubata e i neri che vi abitano non sono ancora liberi".

In questo ambito si è sviluppata la teoria critica della razza - Critical Race Theory,  - che esamina l'aspetto della razza e del razzismo attraverso tutte le modalità di espressione culturale dominante. Adottando questo approccio, gli studiosi della CRT tentano di comprendere come la popolazione vittima del razzismo sistemico sia influenzata dalle percezioni culturali della razza, e come siano diffusi i pregiudizi che dimostrebbero come gli Stati Uniti sono stati creati da "membri di una particolare razza o sesso per opprimere membri di un'altra razza o sesso". L'approccio CRT viene utilizzato in modo spregiudicato e totalizzante rispetto ad ogni modalità di espressione culturale, e  include molto di più della semplice identificazione di razza. Piuttosto, sottolinea l'importanza di esaminare e tentare di comprendere le forze socio-culturali che modellano il modo in cui noi e gli altri percepiamo, sperimentiamo e rispondiamo al razzismo. Chi aderisce a questa teoria finisce per trattare ogni opera culturale come prova dei valori e delle credenze collettive della cultura americana. In tal modo, il razzismo viene definito come una duplice teoria politica e storica che colpisce tutti i membri di una comunità indipendentemente dalle loro affiliazioni o identificazioni politiche e culturali.

Lo scontro ha come terreno primario la scuola, con aspre battaglie politiche per la definizione della linea che gli insegnanti devono seguire nel trattare la scuola americana. Come nel già menzionato caso del "Monkey Trial" la politica affida ai docenti di base il compito di trasmettere i valori culturali fondanti della comunità, sui quali c'è però forte divergenza di vedute, pertanto gli insegnanti sono indirizzati nei diversi stati in modo coerente con le maggioranze politiche locali. Così ai docenti in Idaho, è vietato affermare che "gli individui, in virtù della loro razza, sesso, religione, etnia o colore sono intrinsecamente responsabili di azioni commesse in passato da persone della stessa razza, sesso, etnia o colore”. Mentre nella Carolina del Nord, agli insegnanti non è permesso insegnare che gli Stati Uniti sono stati creati da "membri di una determinata razza o sesso per opprimere membri di un'altra razza. o di un altro sesso". E nello stato di Rhode Island, un disegno di legge sostenuto da funzionari repubblicani di minoranza cerca di vietare che nelle aule scolastiche risuonino le affermazioni secondo cui gli Stati Uniti sono "fondamentalmente razzisti o sessisti".

Per noi europei non è facile capire ed evitare apprezzamenti altezzosi su argomenti che non viviamo se non da un punto di vista teorico e cronachistico, ma di osservare cercando di capirli senza esprimere giudizi di valore. Certo sarebbe bello riuscire a prevedere l'evoluzione futura di questo cruciale problema della società americana. Ci provò Alexis De Tocqueville nel decimo capitolo della sua magistrale opera del 1835, "La democrazia in America", in cui dissezionò gli Stati Uniti in assoluta libertà rispetto alla propria personale cultura aristocratica e conservatrice. Tocqueville indovinò perfettamente alcune previsioni ("i mezzi termini mi sembrano portare prima o poi alla più orribile di tutte le guerre civili"), ne sbagliò completamente altre ("l'Unione attuale durerà solo fintanto che tutti gli stati che la compongono continueranno a volerne far parte"). Ne lasciò aperta una inquietante, che tale rimane ancora oggi: "non credo che la razza bianca e la negra possano mai vivere su un piede di eguaglianza da nessuna parte, ma credo che la difficoltà sarebbe ben più grande negli Stati Uniti".  

Al di là degli scenari futuri, dovrebbe essere un principio condiviso comunque e fondante di ogni comunità, che le idee che oggi stanno alla base delle nostre comunità, in particolare in materia di diritti civili o rapporti fra i sessi, si sono formate nel corso dei decenni e dei secoli, ed erano del tutto inaccessibili ai nostri antenati, che non possiamo oggi criticare per non essere stati figli di un tempo che non era ancora arrivato. E che noi giudichiamo, a torto, migliore del passato.

MATERIALI E APPROFONDIMENTI

https://www.nytimes.com/interactive/2019/08/14/magazine/1619-america-slavery.html

https://f.hubspotusercontent10.net/hubfs/397762/The President’s Advisory 1776 Commission - Final Report.pdf

https://foreignpolicy.com/2020/06/30/tearing-down-confederate-lenin-east-germany-hungary-statues-wont-undo-history/

https://www.census.gov/quickfacts/fact/table/US/PST045219

https://www.pewresearch.org/fact-tank/2020/05/06/share-of-black-white-hispanic-americans-in-prison-2018-vs-2006/

https://www.brookings.edu/blog/the-avenue/2019/10/03/black-household-income-is-rising-across-the-united-states/

https://owl.purdue.edu/owl/subject_specific_writing/writing_in_literature/literary_theory_and_schools_of_criticism/critical_race_theory.html

https://www.lemonde.fr/idees/article/2021/07/02/la-crt-ou-critical-race-theory-nouvel-avatar-de-la-guerre-culturelle-aux-etats-unis_6086634_3232.html

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