Primo bilancio della presidenza di Joe Biden, un anno dopo
Voci dall'America

Primo bilancio della presidenza di Joe Biden, un anno dopo

Fra le tante teorie sull’origine della crisi in Ucraina ricorre l’ipotesi che il Presidente americano Joe Biden abbia bisogno di un nemico esterno che gli permetta di recuperare credibilità dopo un difficile primo anno di governo ed in vista delle elezioni di mid term di novembre 2022.

Premesso che queste semplificazioni non tengono a fronte della complessità della macchina politica americana, e che difficilmente i presidenti USA aumentano di popolarità quando aumentano le vittime fra i soldati USA all’estero, l’occasione è comunque utile per fare un bilancio del primo anno del mandato del più anziano presidente eletto negli Stati Uniti.

Malgrado il sistema presidenziale attribuisca all’inquilino della Casa Bianca un potere incontestabile, nessun capo di stato moderno può prescindere da un gruppo di ministri e assistenti efficiente e competente. Il gabinetto di Biden è stato costruito pescando largamente fra i reduci dell’amministrazione Obama e ridando fiducia alla burocrazia di Washington, demoralizzata dal breve periodo di Trump. Biden non ha dato molto spazio alla sinistra del Partito Democratico, che reclama maggiore incisività in economia e nella società americana. Manovrando insieme al Ministro del Tesoro Janet Yellen, il Presidente ha ottenuto alcuni risultati economici, con un piano di rilancio che ha dato ottimi risultati in termini di impiego e produzione industriale, e con un sufficiente controllo dell’inflazione, almeno sino ad ora. La pandemia non ha dato tregua, ma l’amministrazione ha dimostrato di riuscire a dare una risposta tempestiva in particolare ai settori più deboli della società americana.

In politica interna non c’è stato il rovesciamento temuto dalla destra conservatrice in materia di tensioni razziali ed immigrazione, due criticità in cui Biden si esposto poco, ma non è stato nemmeno troppo criticato. Analogamente per la questione della regolamentazione delle piattaforme digitali Biden ha delegato interamente la gestione del dossier al Ministro della Giustizia Merrik Garland, che si è mosso in sincronia con molti procuratori democratici ed in continuità con le iniziative assunte nel quadriennio precedente.

Pur essendo più volte intervenuto pubblicamente ed avendo preso un’iniziativa importante sulla riforma della Corte Suprema, ancora Biden non è intervenuto per riportare la massima sede giudiziaria ad un equilibrio, dopo la man bassa fatta dal Partito Repubblicano negli ultimi cinque anni. Biden avrà l’opportunità di nominare un giudice al posto di Stephen Breyer, dimissionario per motivi di salute. L’intenzione di Biden è di scegliere un profilo che possa ottenere l’approvazione della Commissione giudiziaria del Senato senza incorrere nell’opposizione pregiudiziale dei repubblicani. Si tratterebbe del primo segnale di vera discontinuità dopo gli ultimi anni di feroce divisione fra i due partiti.

In politica estera Biden è rimasto a metà del guado, ottenendo alcuni mezzi successi, pareggiati da altrettanti mezzi insuccessi. Con un Segretario di Stato attivo quanto discreto, e il rinnovato appoggio della diplomazia apertamente osteggiata da Trump, il Presidente ha ottenuto il rinnovo del Trattato START con la Russia, ciò che non ha impedito momenti di tensione con Putin sino all’attuale confronto sull’Ucraina. Le relazioni con l’Unione Europea sono riprese nel solco della tradizionale cooperazione, ma alla prova dei fatti sui dossier di AUKUS e della regolamentazione digitale, ancora non sono stati raggiunti risultati concreti. Nella competizione con la Cina, riprendendo il posto abbandonato da Trump nelle assise commerciali internazionali, l’amministrazione americana ha ottenuto qualche risultato. Tuttavia, le conseguenze della pandemia sulla crescita cinese e sulla disponibilità di materie prime non hanno né permesso di capire se la politica di Biden sia davvero quella giusta, né di togliere pressione dall’economia americana. I mezzi insuccessi si sono registrati nella cattiva gestione del ritiro delle truppe dall’Afghanistan, lo stallo dei negoziati con l’Iran per il rinnovo degli accordi sul nucleare e sul pasticcio della fornitura di sottomarini all’Australia (AUKUS) che se ha rinforzato l’alleanza sul teatro strategico orientale, ha creato una frattura ancora non ricomposta con la Francia, che si è vista scippare una commessa già definita.

La disastrosa eredità di Trump in politica estera (per Emma Ashford di Foreign Affairs “nessun presidente potrà mai essere più incompetente di Trump in politica estera”) non basta a giustificare questo magro bilancio. Biden deve necessariamente, ottenere successi pieni e convincenti. Per far questo deve  concretizzare quanto aveva preconizzato a marzo 2021 nella National Security Strategic Guidance della sua amministrazione: "Questo momento ci invita a sporgerci in avanti, non a tirarci indietro, a impegnarci coraggiosamente nel mondo per mantenere gli americani al sicuro, prosperi e liberi".

Le elezioni di novembre rischiano di far perdere al Partito del Presidente anche il parziale controllo del Congresso ottenuto un anno fa. Il Partito Repubblicano si dibatte fra la fedeltà a Donald Trump (e ai suoi apparentemente illimitati finanziamenti), e la necessità di far riprendere alla nazione la tradizionale dinamica positiva propria delle istituzioni americane. Ma anche il Partito Democratico, sia pure con minor clamore, è combattuto fra la conferma di una linea moderata e le spinte radicali della sinistra liberal. I parlamentari democratici uscenti hanno un drammatico bisogno di risultati da presentare agli elettori, e Biden restano solo otto mesi per fornirli.

E’ vero che la risicata maggioranza al Senato non ha dato a Biden la libertà di azione che sarebbe servita per affrontare questioni decisive da troppo tempo irrisolte come quella del controllo delle armi. Ma è altrettanto vero che da “anatra zoppa”, imbrigliato da una possibile maggioranza repubblicana in entrambe le camere, anche la consumata capacità di manovra di Biden non sarebbe sufficiente per ottenere i risultati che l’America e il mondo attendono dalla sua Presidenza.

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