Putin, l'etica internazionale e il pensiero di Stanley Hoffmann
La società occidentale, e quella europea in particolare, ha subito un trauma per il ritorno della guerra nel "cortile di casa", accompagnato dall'esasperata disinformazione che rende difficile distinguere non solo il vero dal falso, ma anche l'amico dal nemico . Il dramma che ci unisce alle sofferenze delle popolazioni colpite dalla guerra, è complicato dalla difficoltà orientarsi fra verità apparente e artifici informativi circa azioni e intenzioni di Vladimir Putin, il protagonista assoluto, a prescindere da ogni valutazione, di queste giornate buie.
C'è la necessità di recuperare al più presto una bussola più o meno cosciente e razionale sul nostro domani, e per questo si può far ricorso agli studi della situazione internazionale nell'epoca definita della guerra fredda e dall'arma nucleare, a metà fra la scienza della politica e delle relazioni internazionali. Della prima generazioni di accademici occidentali di questa materia, sentiamo profondamente oggi la mancanza della voce di Stanley Hoffmann, morto nel 2015, dopo essere stati uno dei più autorevoli studiosi delle relazioni internazionali della seconda parte del novecento. Il suo parere sarebbe stato illuminante prima di tutto perché Hoffmann aveva vissuto direttamente l'orrore della guerra: nato nel 1928 a Vienna, visse gli anni del secondo conflitto mondiale fra Nizza e Parigi, con la madre, mentre il padre era emigrato negli Stati Uniti. L'esperienza dell'occupazione tedesca all'epoca di Vichy segnò la formazione del politologo, che dopo gli studi in Francia scelse come sede della sua attività Harvard, dove animò per 26 anni il Centro studi europei. Erano gli anni in cui l'ateneo del Massachussetts era la sede in cui dialogavano e collaboravano studiosi poi prestati alla politica, come McGeorge Bundy, Henry Kissinger e Zbigniew Brzezinski. In piena guerra fredda, nel 1981, Hoffmann scrisse quello che è forse il suo contributo più importante allo stduio delle relazioni internazionali: Duties Beyond Borders: On the Limits and Possibilities of Ethical International Politics.
Hoffmann, seguiva un approccio scientifico allo studio del sistema delle relazioni internazionali, che si potrebbe definire positivista. L'analisi doveva prendere atto con neutralità della realtà esistente ("prendere il mondo per ciò che è, come punto di partenza su cui lavorare"). In questo senso con questo testo Hoffmann si inserisce fra gli studiosi che da Hugo De Groot (De iure belli ac pacis), hanno studiato leggi e regolarità, che definiscono l'etica delle relazioni fra nazioni. Con realismo Hoffmann dichiara che in politica i giudizi morali sono prima di tutto giudizi storici, definiti dagli avvenimenti. Respinta la teoria di Max Weber sulla responsabilità dei capi di stato, Hoffmann analizza i tre criteri che a suo giudizio muovono i leader politici: fini, mezzi e moderazione. L'analisi di Hoffmann su fini e mezzi ripercorre le teorie politiche della guerra giusta, della guerra difensiva e della dissuasione ed i vari machiavellismi nella relazione fra mezzi e fini, per giungere a mettere in rilievo il terzo criterio, la moderazione. Hoffmann constata con la già citata neutralità che viviamo in un'era in cui è impossibile garantire alla popolazione civile l'immunità in tempo in guerra. Inoltre malgrado l'innovazione tecnologica, l'escalation è inevitabile e una volta oltrepassato il limite fra pace e guerra niente può assicurare che non si alzi progressivamente il livello dello scontro. In particolare per lo statista dell'era nucleare la moderazione è ineludibile, perché se è vero che il ricorso alla forza è al centro di qualunque sistema di relazioni internazionali, è anche vero che se una nazione percepisce come dominante il proprio interesse, la moderazione nel perseguirlo diventa l'unica forza che può evitare lo scontro definitivo fra grandi potenze o fra sistemi di alleanze. In questo quadro, scrive Hoffmann, "la salvaguardia dell'indipendenza politica delle nazioni e della loro integrità territoriale contro attacchi esterni è la pietra angolare della comunità internazionale".
Considerando poi la tentazione permanente all'auto assoluzione nell'interpretazione dei fini, la moderazione diviene l'unico vincolo morale contro l'uso della forza e contro il progressivo innalzamento del livello dello scontro. Scrive ancora Hoffmann che è essenziale per la moderazione che gli stati "evitino quella paccottiglia di machiavellismo che prostituisce la nozione di sicurezza nazionale per giustificare interventi esterni miserabili e illusori". Frasi scritte nel 1981, avendo probabilmente in testa alcune derive assunte dall'egemonia americana fra il 1960 e il 1980, ma che si possono applicare con disarmante evidenza alla situazione attuale.
Nell'impossibilità di ascoltare oggi come Stanley Hoffmann applicherebbe questi suoi schemi, e senza in alcun modo voler far parlare oggi arbitrariamente le opere del professore di Harvard, sulla base della sua opera teorica, si può tentare una duplice interpretazione sugli effetti di lungo periodo della guerra in Ucraina , che implica una serie di opzioni.
A applicando un filtro politico: venir meno del regime attaccante
applicando il filtro dei sistemi politici, contrariamente alle democrazie, gli stati autoritari ed i dittatori, quando superano il limite della moderazione, sembrano sempre invincibili e inamovibili; la storia però dice che questo dura sino a quando non sono sconfitti e rimossi, per cause che possono essere diversissime, interne o esterne. In questo schema si potrà arrivare ad una fase di moderazione solo alla caduta di Vladimir Putin e del suo regime, qualunque ne sia la causa.
B analisi assolutamente neutrale: ritorno alla moderazione
se assumiamo una improbabile neutralità assoluta da laboratorio rispetto all'evoluzione del sistema internazionale di cui l'invasione sanguinosa dell'Ucraina sarebbe una premessa, ci sono due possibili percorsi di moderazione, a loro volta articolati su alcune variabili:
B1 moderazione nella dissuasione
anche la dissuasione è una forma di guerra, che per Hoffmann "può essere altrettanto immorale della guerra", come dimostra la cinica teoria della reciproca distruzione; tocca pertanto allo schieramento accusato di un eccesso di dissuasione, in questo caso la NATO e l'ucraina, convincere il rivale di avere ridefinito i propri mezzi e fini; percorrere questa ipotesi non implica certo l'adesione alla risibile giustifcazione di Vladimir Putin per la decisione di invadere l'Ucraina e sparare indiscriminatamente sulla popolazione civile, ma consente di riflettere su come la moderazione possa rientrare come regola base del sistema internazionale;
B2 moderazione nell'uso della forza alcuni analisti scrivono in questi giorni, che V. Putin non si fermerà sino a quando non avrà cambiato la carta d'Europa, ripristinando un impero russo, non più sovietico. Qualunque sia il disegno di Putin, il regime di Mosca potrà pervenire a una moderazione dei mezzi attualmente usati, per scelta:
B.2.1 propria, per aver raggiunto i suoi obbiettivi;
B.2.2 obbligata, a seguito di una sconfitta militare;
B.2.3 obbligata, a seguito di un rivolgimento interno;
B.2.4 mediata, da una o più fonti autorevoli.
Con disillusione e un pò di sconforto, al 5 marzo 2022, quasi tutte queste opzioni sembrano improbabili, per motivi opinabili e troppo lunghi per essere qui dettagliati, tranne due: o i fini di Putin trovano una sorta di moderazione intrinseca (recuperare il Donbass - cambiare regime a Kiev) e l'autocrate del Cremlino darà l'ordine di fermare la strage, oppure solo una mediazione comunque organizzata potrà dapprima ottenere il cessate il fuoco e poi l'ennesima sistemazione dell'Ucraina a spese della sua indipendenza e in ultima analisi del suo popolo.