Crisi Ucraina: radici strappate e un futuro avvolto nella nebbia
Voci dall'Europa

Crisi Ucraina: radici strappate e un futuro avvolto nella nebbia

Il grigiore di una mattinata milanese, insieme alle notizie che arrivano dall'Ucraina che descrivono come possibile e imminente uno scontro militare nella fotografia che accompagna simbolicamente il post: le radici di un albero quasi secolare strappato dalla forza del vento, e la nebbia che avvolge uno dei templi della finanza italiana (Generali), ma anche europea (Allianz) e americana (Price Waterhouse).

Sembra che il Presidente Russo V. Putin, dopo 22 anni di potere, voglia definitivamente strappare le radici del sistema internazionale che dal 1945 governa le relazioni internazionali. Il tutto con il silenzioso e interessato assenso della Cina, che sul piano economico ha lanciato la medesima sfida. Fiona Hill, esperta di quetioni russe, già collaboratrice, ma non fedelissima, di D. Trump, sostiene che nella psicologia di Putin qualunque soggetto, umano e politico, ha un prezzo. Questa convinzione sarebbe stata recentemente ribadita nei colloqui con i leader europei, cui Putin si è detto certo di poter dividere il campo occidentale, comprandosi consenso per la prova di forza a Kiev, e nuovi alleati. Che si andrebbero ad aggiungere al per ora prezioso alleato cinese, che nella crisi ucraina svolge un ruolo esterno, ma certamente non ostile alla linea del Cremlino. Dopo che la pandemia ha rallentato la corsa della macchina industriale cinese, il gruppo dirigente di Pechino si prepara dal canto suo a dare l'assalto finale alla cittadella del potere economico occidentale, cominciando dal World Trade Organization. Per poi chiudere definitivamente il novecento riconquistando dopo Honk Kong anche Taiwan, la cui esistenza continua ad essere di ostacolo alla compiute realizzazione della potenza cinese, per motivi più di immagine e prestigio che non sostanziali.

Può essere che, come sostenuto nella narrazione di Xi, l'occidente sia in declino e l'oriente in ascesa, e persino che l'ordine internazionale uscito dai trattati che hanno chiuso l'ultimo conflitto mondiale siano stati imposti nell'interesse della potenza egemone, gli Stati Uniti, e dei suoi alleati/vassalli. Ma il vero nodo del presente e del futuro sta nei criteri su cui si ebba fondare l'ordinamento della comunità internazionale. Nel 1945, dopo aver conosciuto l'ascesa di totalitarismi intenzionati a imporre il potere di ristrette minoranze autoreferenziali, sono stati definiti tre criteri base: democrazia, legalità internazionale, libero commercio. Con alcuni corollari presto messi in secondo piano, come quello dei diritti umani. L'attuazione di questi criteri è stata certamente condotta sia pure nei precipui interessi americani, ma più che il potere imperiale di Washington, Russia e Cina, non ne condividono la sostanza. Apertamente, al contrario, le potenze eurasiatiche contestano il principio democratico, fondando i loro istituti e il potere interno su forme politiche uscite direttamente dall'esperienza leninista. Inoltre nel migliore dei casi Russia e Cina aggirano le regole della comunità internazionale, basti pensare alla sorte dei brevetti nelle mani delle aziende cinesi, ed ai monopoli dei boiardi della corte di Putin per la gestione delle risorse naturali russe. Non che americani ed europei siano tutti angioletti, beninteso, ma almeno non sono strutturalemnte orientati alla violazione delle regole date.

La ricerca di un nuovo apparato ordinamentale internazionale per gli occidentali continua ad essere ancorata a questi tre principi inderogbili, mentre viene identificata solo con il potere brutale  per le due potenze eurasiatiche. Il mondo sembra sempre più dividersi fra sistema politico e sociale euramericano, in concorrenza e possibile collisione con quello eurasiatico.

L'Europa da sola non può che restare esposta al dirompente revanscismo imperiale della Russia, ed alla più pervasisva e insidiosa invasione delle aziende cinesi, che già si sono assicurate un ruolo nella logitiche che può essere determinante in caso di conflitto. Ancor meno possono, da soli, i singoli leader occidentali, rinchiusi in logiche di piccolo potere locale, come è ormai ogni potere nazionale, e incapaci di qualunque iniziativa comune.

Non c'è dubbio che oggi gli europei raccolgano il pessimo risultato di cattive scelte del passato, quando hanno consentito alla Russia nel 2015 di ledere l'integrità territoriale dell'Ucraina, e alla Cina di violare senza alcun ritegno i trattati sulla gestione di Honk Kong. Ma come già avvenuto nella storia dell'occidente, può essere arrivato il momento della necessaria unità. Non si vedono, a dire il vero, leader politici in grado di coalizzare i sostenitori della democrazia, oltretutto in crisi profonda. Ma il progetto politico sociale eurasiatico appare inadeguato per regolare la comunità internazionale, e destinato a non produrre effetti positivi globali.

Sembra poi pericoloso il torpore della pubblica opinione occidentale, anestetizzata dal benessere e dalla pandemia, e vittima dell'incapacità di mobilitazione del partiti politici. Sotto questo profilo c'è la possibilità, e la responsabilità, di suscitare un dibattito orientato alla definizione di un pensiero comune occidentale.

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