Taiwan e Ucraina, test probanti per la dottrina Biden
A tre mesi dall'insediamento, si profila il primo momento in cui la politica estera di Joe Biden deve passare dalle parole ai fatti, e in contesti molto critici. I due principali obbiettivi delle parole dell'amministrazione in questi tre mesi, Cina e Russia, potrebbero infatti andare oltre i limiti sin qui definiti dallo status quo della politica internazionale, rispettivamente a Taiwan ed in Ucraina.
La questione di Taiwan appare inestricabile, dopo che la formula che venne adottata negli anni 70 nel trattato sino americano- due regimi, una sola nazione - è praticamente fallita a Hong Kong, dove proprio il 14 aprile il magnate dell'editoria Jimmy Lai, e il fondatore del Partito democratico di Hong Kong Martin Lee sono stati condannati al carcere insieme ad altri e sette ex membri del parlamento locale, per il loro ruolo nell'organizzazione di proteste non autorizzate nel 2019. Malgrado gli accordi firmati e le dichiarazioni di principio, è evidente il tentativo di Pechino di imporre una normalizzazione, rifiutata dagli abitanti dell'ex colonia inglese. L'ambigua formula politica escogitata nel 1999 dai diplomatici sulla base dell'idea iniziale di Deng Xiaoping, ha fatto il suo tempo, e non costituisce più un deterrente per la Cina di Xi Jinping, ormai nazione leader in campo economico, e con una accresciuta capacità militare. Questo impone agli Stati Uniti una riflessione strategica e l'identificazione di una politica priva di ambiguità, ma che sia sostenibile sul piano economico e militare oltre che politico. Le vendite forsennate di armi a Taiwan ai tempi dell'amministrazione Trump sono state un acceleratore di una illusoria sicurezza per la repubblica insulare, ma non hanno spostato in niente i termini della questione strategica: gli USA intendono difendere Taiwan in caso di invasione ? Questa è una domanda che non solo i responsabili dell'amministrazione Biden, ma qualunque analista teme di sentirsi fare, perché la risposta è completamente sconosciuta.
Non ci sono vincoli istituzionali, in quanto il Taiwan Relations Act del 1979 impone al Presidente di "fare qualsiasi sforzo per determinare il futuro di Taiwan con mezzi diversi da quelli pacifici, inclusi boicottaggi o embarghi" qualora nell'isola si sviluppi una minaccia per la pace e la sicurezza dell'area del Pacifico occidentale . L'amministrazione è autorizzata inoltre a intervenire in difesa di Taiwan con la fornitura degli armamenti necessari per la sua sicurezza. Ma nella legge non si dichiara in modo aperto che gli Stati Uniti interverranno in difesa di Taiwan. Una seconda ambiguità.
Il Segretario di stato A. Blinken si trova quindi a dover inventare una soluzione che, senza rischiare una guerra, permetta agli Stati Uniti di fare capire a Pechino che per l'eventuale invasione di Taiwan il prezzo da pagare sarebbe troppo alto. Non si tratta di dare una garanzia incondizionata di protezione dello status di Taiwan, quanto di coinvolgere la comunità internazionale in una comune pressione su Pechino. I mezzi di pressione possono essere molteplici, a livello di istituzioni multilaterali politiche (ONU) ed economiche (WTO). In particolare Xi Jinping, la cui relazione con l'ala radicale del partito non è chiara da quando ha assunto il comando diretto delle forze armate, non può permettersi di andare incontro ad una nuova battuta d'arresto per i piani di sviluppo economico, proprio quando cominciano ad esserci segnali che la locomotiva cinese è ripartita dopo la crisi dovuto alla pandemia.
La politica estera condotta da Taiwan in autonomia rischia poi di essere un ulteriore elemento di insicurezza: la presidente taiwanese Tsai Ing wen già nel corso del suo primo mandato ha agito in ogni direzione con spregiudicatezza per rendere difficile a chiunque abbandonare ad un destino di riunificazione la sua nazione. Malgrado la formale assenza di relazioni diplomatiche in omaggio a Pechino, Taiwan intrattiene relazioni sostanziali con 110 nazioni, ed è fornitrice essenziale di tecnologia a tutto l'occidente. Persino con la Cina la piccola repubblica ha aumentato l'interscambio di semi conduttori, giunto a un livello che, senza precludere un'eventuale rottura, porterebbe comunque un danno reciproco in caso di interruzione traumatica. Non è del tutto scontato che le politiche di Taipei siano sempre coerenti con gli interessi degli Stati Uniti, che sono comunque determinati a preservare la pace e la sicurezza della regione.
Il primo passo di Biden è stato di riprendere il dialogo con le potenze dell'area del Pacifico, trascurato da Trump, con l'obbiettivo di predisporre, senza attivarla subito, una cintura protettiva intorno alla Cina. Gli Stati Uniti avrebbero anche chiesto al Giappone di firmare una dichiarazione congiunta di sostegno a Taiwan nella recente visita del primo ministro Yoshihide Suga alla Casa Bianca. L'obiettivo strategico degli Stati Uniti di salvaguardare l'autonomia di Taiwan e mantenerla alleata senza provocare un attacco cinese è chiaro. Restano tutti da definire i mezzi per ottenere tale risultato.
L'irrisolta questione del Donbass dopo la guerra del 2014, è tornata ad agitare le cancellerie di tutto il mondo. Lo scorso 12 aprile le nazioni del G-7 hanno chiesto alla Russia di "allentare immediatamente le tensioni" e di cessare le sue "attività minacciose e destabilizzanti", dopo che, grazie anche alle informazioni diffuse sui social network, si è appreso che 80.000 soldati russi sono allineati alla frontiera Ucraina. La risposta del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov che il posizionamento delle truppe all'interno dei propri confini è una questione interna alla Russia, ben lungi dal tranquillizzare il governo ucraino e quelli occidentali, ha aumentato il timore di un'escalation nel sostegno della Russia ai separatisti filo-russi nella regione.
La domanda di adesione alla NATO dell'Ucraina è tuttora in attesa di risposta, proprio per evitare di fornire al governo Putin una motivazione supplementare per considerare come ostile la sola esistenza della repubblica ucraina, già oggetto delle politiche revansciste dell'attuale gruppo dirigente di Mosca. Il Presidente ucraino V. Zelensky, che dopo un inizio di mandato promettente non ha fatto molto per rimediare all'endemica corruzione che affligge Kiev, chiede con insistenza che il suo paese venga ammesso nella NATO, unica possibile assicurazione contro l'effetto combinato dell'opposizione interna e dell'espansionismo russo.
In questo quadro il 13 aprile c'è stato un colloquio telefonico fra il Presidente Biden e Vladimir Putin, nel quale, secondo il comunicato ufficiale della Casa Bianca, è stata confermata "l'intenzione di perseguire un dialogo di stabilità strategica.....e Biden ha sottolineato l'impegno incrollabile degli Stati Uniti per la sovranità e l'integrità territoriale dell'Ucraina. Il Presidente ha espresso preoccupazione per l'improvviso rafforzamento militare russo nella Crimea occupata e ai confini dell'Ucraina e ha invitato la Russia ad allentare le tensioni". Il presidente Biden non ha mancato di ricordare al suo omologo russo le azioni di disturbo di cui è accusata Mosca, come le intrusioni informatiche e le interferenze elettorali. Secondo fonti non ufficiali americane il Presidente Biden avrebbe proposto a Putin un vertice a due per affrontare e risolvere il problema ucraino, e insieme affrontare le altre aree critiche delle relazioni fra le due nazioni.
Di fatto il colloquio sembra non avere dato nuove indicazioni sulle intenzioni americane circa l'adesione dell'Ucraina alla NATO, o a forme alternative di dissuasione contro ulteriori possibili azioni espansive russe in territorio ucraino. Anche in questo campo le opzioni di Biden sono limitate: pur forte dell'appoggio europeo, concretato da un passo di A. Merkel su Putin, solo un aumento del livello di scontro militare potrebbe contenere nel lungo periodo la volontà russa di ricostruire un quadro strategico favorevole che le consenta maggiore pressione sull'UE. Il supporto degli europei alla politica di Biden è stato confermato al Segretario di stato Blinken nel corso del mini vertice del 14 aprile a Washington.
Nelle aree di competenza dei due principali avversari degli Stati Uniti si sta quindi giocando la prima partita concreta della Presidenza Biden, in situazioni in cui il confronto anche militare è molto vicino, e oltre alla sicurezza degli Stati Uniti sono in discussione preminenti interessi economici americani. Due test probanti per la politica di fermezza e coinvolgimento degli alleati annunciata da Biden. Un nuovo tassello della strategia di Biden verrà dalla missione dell'inviato speciale di Biden per il clima, J. Kerry, inviato in Cina proprio mentre l'esercito cinese tiene esercitazioni a fuoco al largo di Taiwan. Kerry ha avuto un incontro con il ministro degli esteri russo S. Lavrov, in una tappa intermedia in India. Le fonti ufficiali hanno messo la sordina sull'incontro, definito imprevisto e di pura cortesia vista la precedente conoscenza fra i due, ma il collegamento fra le due aree critiche è evidente, e molti analisti ritengono che l'incontro possa avere importanti ricadute politiche.
https://formiche.net/2021/04/social-ucraina-russia/
https://www.state.gov/secretary-blinkens-meeting-with-french-german-italian-and-uk-counterparts/