Trump e i social: martire o manipolatore ?
Voci dall'America

Trump e i social: martire o manipolatore ?

Un nuovo fronte si è aperto nella vasta gamma di argomenti che compongono le relazioni fra big tech e mondo politico: il blocco degli account del presidente uscente, deciso dalle piattaforme dopo la drammatica giornata del 6 gennaio e l'assalto al Congresso annunciato proprio dalle comunicazioni di Trump. Questa misura estrema ha fatto seguito a settimane di  avvertimenti pubblicati in calce ai messaggi presidenziali, definiti "non provati" quando non "falsi". Come ha scritto sul NYT Lisa Lerer "Per quattro anni, il presidente Trump ha intimidito via Twitter amici e nemici, e gestito la politica internazionale e quella interna con le armi della disinformazione". Improvvisamente il 7 gennaio Trump si è ritrovato privo dell'abituale strumento di propaganda, proprio nel momento in cui la sua complessa personalità è sottoposta alla prova più dura per un narcisista che odia perdere: far fronte ad una sconfitta ormai ineludibile, cercando di salvaguardare in qualche modo il proprio prestigio personale e il controllo via etere di un'armata digitale.

La reazione delle truppe dello sconfitto sono state articolate: i supporter normali, i gruppi come Women for Trump, sono state turbate dalla sconfitta e dalle accuse di brogli. Altri, come gli adepti del culto di QAnon, hanno cercato di inserire anche la sconfitta nel "piano" della cabala di Democratici pedofili che costituisce il centro della loro credenza. Infine gli estremisti, suprematisti bianchi e membri di gruppi o milizie antigovernative, che hanno usato a lungo la retorica della violenza, hanno dato prova di un rinnovato attivismo sovversivo.

Questi tre gruppi, confusi e uniti, erano stati protagonisti nel corso del 2020 di manifestazioni contro le chiusure per la pandemia davanti al Campidoglio della capitale e di numerosi stati. Alcune di quelle manifestazioni, in particolare nel Michigan, erano diventate violente, anticipando quella del 6 gennaio 2021.

Con la chiusura degli account su tutti i social network, il Presidente ha perso il contatto immediato con quasi tutti questi gruppi. Il suo staff si è opposto al trasferimento della comunicazione di Trump su siti del dark internet, che avrebbe significato delimitare all'area estremista l'audience del Presidente uscente, e caratterizzarsi come capo di uno schieramento potenzialmente eversivo.

La censura totale imposta a Trump dai social, dopo mesi di utilizzo di blande forme di sottolineatura delle fake news propalate dal primo cittadino, ha scatenato una serie di polemiche in tutto il mondo. I commenti si sono distribuiti fra tre indirizzi di pensiero principali:

  • la censura è sempre e comunque contraria alla libertà di espressione;
  • non si possono usare le libertà individuali per distruggere le libertà comuni;
  • occorre stabilire un confine controllabile  e non limitato alla stretta legalità, alla totale libertà esistente nelle comunicazioni sui social.

Fra questi tre dati modi di pensare, si sono intrecciate le prese di posizione oscillanti dalla condanna per l'eccesso di potere delle compagnie big tech, alla messa in guardia sull'uso sovversivo dei social da parte dei leaders populisti con tendenze autoritarie come Narendra Modi in India, Rodrigo Duterte nelle Fillipine, e Jair Bolsonaro in Brasile.

A seguito di questa censura, D. Trump si è presentato come martire della persecuzione delle grandi corporation, ma si tratta dell'ennesima manipolazione della realtà. Nel 2016 Trump ha costruito il suo successo sull'uso disinvolto, e condito di bugie e minacce, in particolare di Twitter e Facebook, che sono diventati  i veicoli principali della sua propaganda. Per incapacità, indecisione o opportunismo, le corporations non hanno inizialmente frapposto ostacoli, ma si sono ben presto ritrovate sotto attacco da parte dell'opposizione e dell'opinione pubblica. Le udienze parlamentari del 2018/2019 e le indagini anti trust della Federal Trade Commission, hanno spinto big tech a cambiare strategia. Quando hanno cercato di riprendere una certa libertà di manovra mettendo qualche paletto allo sfrenato impiego di fake news e violenza verbale sulle loro piattaforme, le corporation sono però state ricattate da Trump. Con cinismo il Presidente ha minacciato di emendare la normativa Internet (Communications Decency Act), che nella sezione 230 prevede che gli editori di siti web non siano civilmente responsabili per i contenuti forniti da terze parti. La prospettiva di perdere, con la Sezione 230, la garanzia di poter operare senza rischi, ha portato big tech a schierarsi apertamente contro Trump nel momento in cui la sconfitta elettorale lo ha indebolito.  Non si può dubitare che con un Presidente in carica nessuno dei manager si sarebbe arrischiato a prendere la decisione di censurare il capo del governo.
Questo però fornisce ancora una volta al miliardario, speculatore socialite e mondano uomo d'affari, di presentarsi come ciò che non è: il difensore della working class, portatore delle istanze popolari contro le elites e il profitto personale. Che in realtà è al centro della sua azione politica.

Un altro capitolo della storia della manipolazione della realtà, che caratterizza la politica dell'occidente dalla fine della prima guerra mondiale.

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