Trump vs Harris: le ricadute del dibattito televisivo

Come ha scritto correttamente Francesco Costa, è impossibile valutare se una frazioni cruciale dell'elettorato sia stata indotta a schierarsi dal dibattito televisivo fra D. Trump e K. Harris.  L'impressione generale è che un singolo dibattito difficilmente possa essere determinante, pur avendo coinvolto una platea ampia (67 milioni di spettatori, contro 51 del dibattito Biden/Trump del 27 giugno scorso). In un sondaggio rapido condotto dalla CNN appena finito lo show, i favorevoli a Trump sono rimasti invariati e Harris é stata beneficiata solo un leggero aumento di consenso. Poi si è diffusa la convinzione che Harris possa trarre qualche vantaggio dalla valanga di reazioni sui punti chiave del confronto, inondando Internet di clip.

Non si può dire che in assoluto i dibattiti televisivi appartengano al passato della comunicazione politica americana, perché proprio il confronto di giugno 2024 ha determinato l'uscita di scena di Joe Biden. Tuttavia continua a calare l'importanza cruciale del mezzo televisivo nella formazione del consenso elettorale.

Nel 1960 i dibattiti furono quattro, fra il 26 settembre e il 20 ottobre. Oltre alla novità assoluta, il numero delle emissioni e la vicinanza della scadenza elettorale, resero quei dibattiti decisivi per imporre l'immagine del giovane J. F. Kennedy e cancellare il vantaggio di R. M. Nixon, vice presidente in carica e politico di lungo corso. Ma poi non si sono mai più riprodotte quelle condizioni.

Da allora almeno due dibattiti televisivi hanno accompagnato tutte le successive elezioni presidenziali, ma l'esito dello scontro in video non è più stato determinante. Unica parziale eccezione, il confronto Reagan/Mondale del 1980, nel quale l'ex attore impose la sua capacità comunicativa prosciugando con una sola battuta, perfettamente recitata, i fiumi di inchiostro versati sulla sua età.

Dopo il confronto di Philadelphia fra Trump e Harris, i sondaggisti sono stati unanimi nel rilevare ancora una volta la polarizzazione dell'opinione pubblica americana, che si traduce in una sostanziale parità fra schieramenti conservatore e progressista (etichette di comodo). Proprio in forza di questa divisione netta, ogni occasione è buona per rinforzare le convinzioni dei cittadini già schierati, e così la formula del dibattito perde la precedente capacità di orientamento per gli indecisi.

Molto più divisi i giudizi dei commentatori americani e dei sondaggi sull'esito del dibattito: le testate multimediali apertamente schierate, hanno colto solo le positività del loro beniamino e le criticità del nemico. Così a destra i titoli del sito Breitbart sono stati: Il circo ABC ha teso una trappola a Donald - I moderatori contro Trump: erano 3 contro 1 - Lei ha eluso ogni argomento, dall'aborto al controllo delle armi - Harris ha usato molte notizie false - Un'imbarazzante Kamala Harris ha copiato gli slogan di Biden - Harris ha dovuto ammettere che stiamo peggio di quattro anni fa. Al contrario per New Republic, sito vicino alla sinistra liberal: Il dibattito è stato l'inizio della disfatta di Donald Trump - Harris ha teso le trappole e Trump ci è cascato stupidamente -  Harris è stata davvero brava, ma Trump era orribilmente scadente - Anche Donald Trump si è reso conto di aver perso contro Kamala Harris. Non si tratta solo di interpretazioni, ma di narrazioni completamente a senso unico.

Più interessanti le analisi che partono dai dati puramente quantitativi: Harris ha parlato di meno ( 37 minuti contro 43)  ) ma ha attaccato di più il rivale (17 minuti contro 12). Quanto ai temi toccati dai due candidati, questo il minutaggio:

Interessante notare che Harris ha ribaltato la strategia comunicativa di Biden insistendo molto di più su economia, aborto e democrazia, che il presidente aveva quasi omesso nel primo dibattito. Sembra che Harris abbia tre direttrici principali di comunicazione: parlare più del futuro che del passato, affrontare i temi concreti come quelli economici, sfumare le questioni identitarie.

In realtà a poche settimane dal voto l'unica certezza è che la corsa si deciderà stato per stato, e con distacchi irrisori, almeno stando ai sondaggi sugli stati ancora indecisi:

Arizona: Harris e Trump appaiati;

Florida: Trump con 3.3 punti di vantaggio;  

Michigan, avanti per 0.8 punti;

Nevada, ancora Harris per 0.2punti;

New Hampshire, Harris con 4.9 punti di vantaggio;

North Carolina: Harris con il minimo 0.1 di vantaggio;  

Pennsylvania: Harris 0.4 punti più di Trump;

Wisconsin: Harris con 3 punti di vantaggio.

Una situazione del tutto aperta, in cui un funzionario del partito democratico ha commentato "Mi sembra di aver già visto questo film, e il finale non mi era proprio piaciuto", con evidente riferimento alla campagna del 2016 di Hilary Clinton, che vinse largamente in termini di voti, ma finì battuta da Trump nel conteggio per stato dei grandi elettori. Qualche commentatore ha azzardato una previsione, indicando nell'Arizona lo stato decisivo: la candidatura Harris potrebbe, qui come altrove nella Sun Belt , avere consentito il ricompattarsi della coalizione democratica, che contesta a Trump il primato nel consenso degli "ungraduate", dell'elettorato latino.

Vedremo. I candidati intanto cercheranno nei pochi giorni rimasti di attirare consensi ed evitare scivoloni imbarazzanti, lasciando che siano argomenti identitari o motivazioni pratiche a orientare gli ultimi elettori dubbiosi.

https://www.cnn.com/2024/09/11/politics/election-poll-trump-harris-debate/index.html
https://www.nytimes.com/interactive/2024/09/10/us/elections/trump-harris-attacks-debate-tracker.html?
https://www.breitbart.com
https://www.amren.com/
https://newrepublic.com
https://apnews.com/article/harris-debate-prep-trump-haitian-migrants-campaign-ad