Il Vaticano di Bergoglio e gli Stati Uniti d'America
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Il Vaticano di Bergoglio e gli Stati Uniti d'America

Il Vaticano è una città stato che dal 1870 non annovera più tutti gli elementi che definiscono una nazione in senso stretto (popolazione/territorio/sistema giuridico) tuttavia nell'ambito delle relazioni internazionali assume un ruolo unico grazie alla possibilità di rappresentare e orientare i cattolici di tutti i continenti.

Per questo la diplomazia pontificia, più antica della stessa diplomazia statuale, è da sempre seguita con grande attenzione per comprendere l'evoluzione della politica internazionale. L'unione delle colonie britanniche nel nuovo mondo, nata anche per sfuggire all'oppressiva politica ecclesiastica della corona britannica, dopo avere inserito l'assoluta libertà religiosa nella propria costituzione, ha guardato per oltre un secolo con distacco alle questioni della politica europea. E con ancor maggiore circospezione i rapporti con la Santa Sede, per i risvolti che la questione religiosa comportava nella politica interna. Dopo lo stabilimento di relazioni consolari nel 1797, il rapporto subì un'involuzione quando gli Stati Uniti nel 1867 interruppero le relazioni con la Santa Sede. Il diffuso pregiudizio anticattolico era stato all'epoca acuito dalla condanna e dall'esecuzione di Mary Surratt, la donna cattolica ritenuta complice di J. W. Booth nell'assassinio del presidente A. Lincoln. Il primo incontro fra un Presidente USA e un Papa avvenne nel 1919, quando un W. Wilson desideroso di trovare appoggi al suo internazionalismo, fece visita in Vaticano a Benedetto XV, senza però provocare particolari ripercussioni nelle relazioni bilaterali.

Quindici anni dopo, nel 1936 , F. D. Roosevelt alla vigilia della prima rielezione, contemplò la possibilità di un'apertura verso il Vaticano, sia per il ruolo decisivo dell'elettorato cattolica nel sostegno al New Deal, che per le prime preoccupazioni che l'ondata di totalirismo in Europa potesse avere ripercussioni anche sul suolo americano. Di qui una serie di contatti fra la Casa Bianca e Pio XII, che portarono dapprima all'incontro fra il Papa ed il Ministro americano delle Poste James Farley, sostenitore di Roosevelt e collettore del voto cattolico, tanto che anche una volta lasciata la politica fece parte della delegazione ufficiale per l'incoronazione di Paolo VI. Poi nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, Roosevelt decise l'invio a Roma di Myron Taylor come suo rappresentate personale permanente. La missione di Taylor ebbe grande rilievo incidendo sia sull'esito della guerra che sul successivo nuovo corso che la politca mondiale avrebbe assunto. Malgrado il ruolo determinante che poi il Vaticano ebbe nel corso della Guerra Fredda in funzione anti sovietica, nessun cambiamento formale intervenne nel rapporto bilaterale.  Il presidente H. S. Truman nel 1952 dovette rinunciare a nominare il Generale M. Clark per il perdurante pregiudizio anticattolico, che venne meno solo quando con Kennedy il primo cattolico conquistò la Presidenza. Poi la storia delle relazioni fra le due entità venne sconvolta dall'irruzione di Giovanni Paolo II. Già nel corso del primo viaggio negli Stati Uniti, infatti, forte del rapporto personale con il Presidente Carter, Woytila intavolò veri e propri negoziati politici con il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Z. Brzezinski, che arrivò a dire che "il Presidente Carter sembra più simile a un leader religioso, mentre il Papa sembra più uno statista di fama mondiale". L'approdo di questa nuova relazione fu lo stabilimento di relazioni diplomatiche il 10 gennaio 1984, fra il presidente Ronald Reagan e Papa Giovanni Paolo II, e l'apertura dell'Ambasciata degli USA a Roma il 9 aprile 1984.

Il mondo è poi cambiato, e con esso le relazioni fra Stati Uniti e Vaticano. Sembra intercorso un secolo fra l'episodio del 1963, quando durante la visita del Presidente J. F. Kennedy al neo eletto Paolo VI le Guardie Svizzere impedirono l'accesso all'udienza alla segretaria del presidente, E. Lincoln, perché non vestita in modo conveniente, e il presente del 2025, in cui la legazione USA a Roma è guidata da due donne, funzionarie di carriera del Dipartimento di Stato: Laura L. Hocla, incaricato d'affari e Sara Greengrass, Vice capo missione. Segnali deboli di una trasformazione radicale.

Venendo a Papa Francesco, secondo "Foreign Affairs", il pontificato di Bergoglio  "ha tracciato una rotta diplomatica indipendente dalle capitali occidentali, promosso leader cattolici in Paesi che non avevano mai fatto parte del governo della Chiesa e perfezionando un metodo diplomatico che è al tempo stesso pragmatico e ambizioso".
Bergoglio ha decisamente invertito la rotta rispetto a Ratzinger, promuovendo il riavvicinamento con le nazioni a maggioranza musulmana, simbolizzato dalla visita alla Moschea Istiqlal di Jakarta. Il Collegio Cardinalizio disegnato da Bergoglio è il meno eurocentrico di sempre con la nomina di 25 cardinali provenienti da nazioni  mai premiate dalla berretta cardinalizia come Papua Nuova Guinea, Singapore, e Timor Est.

Agli interlocutori negli Stati Uniti alcune posizioni diplomatiche di Bergoglio sono apparse eccessive, come all'epoca delle critiche da parte dell'allora Segretario di Stato di Trump, Mike Pompeo, a fronte delle aperture ecclesiastiche del Vaticano verso la Cina, nel pieno della guerra commerciale della prima amministrazione Trump. Poi per tutta la durata della guerra in Ucraina la ferma posizione di Francesco centrata sulla priorità della pace non é stata gradita a Washington, nemmeno negli anni del cattolico Joe Biden. Anche in Medio Oriente, il costante richiamo alla pace "preventiva" si è concretizzato nelle nomine in Siria di Mario Zenari (19 novembre 2016) e a Gerusalemme, di Pierbattista Pizzaballa (30 settembre 2023), ora candidato a diventare il successore di Francesco, un binomio diplomatico ed ecclesiastico decisamente divergente dalla politica filo israeliana del governo americano.

Per quanto riguarda le relazioni dirette con gli Stati Uniti, c'è stata una notevole distanza fra il clima della visita pastorale del 2015 e quello della lettera alla Conferenza episcopale americana del 10 Febbraio 2025. Il Papa che si affacciava negli USA nel 2015 era stato percepito dal fronte conservatore quasi come un sovversivo, per il suo tono oltre che per le sue posizioni sulla questione omosessuale. Ma come ha detto Joe Donnelly, ex senatore democratico dell'Indiana, ambasciatore presso la Santa Sede di Joe Biden "ha reso la chiesa un luogo più accogliente, perché per gli americani di ogni ceto economico, per gli americani divorziati, praticamente per tutti nel nostro Paese, le sue braccia erano sempre aperte".
La comunicazione anche con i governi più conservatori non si è mai interrotta, come nelle migliori tradizioni della diplomazia pontificia, e se ne è avuta dimostrazione con la partecipazione ai funerali di Bergoglio del Presidente più duro della storia su immigrazione e diritti gay, come Donald Trump.  La popolarità di Francesco era stata però rafforzata oltre oceano dalla fermezza con cui era stata trattata la questione del Cardinale Theodore E. McCarrick, sospeso dal sacro collegio e dalle funzioni per il coinvolgimento in uno scandalo sessuale. Nel 2025 è sembrato più accorato e propriamente sinodale il pur drastico accento messo da Francesco sulla natura drammaticamente umana del fenomeno migratorio, in cui Bergoglio esortava i "fratelli vescovi americani" a distinguere nettamente il lato umano del problema da quello economico e politico. Anche in questo Bergoglio ha saputo orientare in modo equilibrato la comunità cattolica americana, come nella natura della funzione della Santa Sede, durante le diversissime amministrazioni di tre Presidenti, Obama, Biden e Trump, facendole guadagnare prestigio e contrastando il processo di secolarizzazione  in atto nella società.

Alla vigilia del Conclave, si può dare per certo che le relazioni bilaterali fra USA e Vaticano resteranno stabili nell'avvicendarsi di papi e presidenti, ma l'interrogativo é se il nuovo Papa riuscirà a beneficiare dell'eredità di Francesco per rimettere negli Stati Uniti come altrove al centro delle relazioni internazionali della Chiesa cattolica le priorità ecclesiatiche, principalmente solidarietà, giustizia e pace.

https://www.nytimes.com/2025/04/27/opinion/brzezinski-pope-john-paul-ii-poland.html

https://history.state.gov/historicaldocuments/frus1952-54v06p2/d927
https://www.foreignaffairs.com/europe/popes-foreign-policy?
https://www.nytimes.com/2025/04/21/us/pope-francis-legacy-us.html
https://www.vatican.va/content/francesco/en/letters/2025/documents/20250210-lettera-vescovi-usa.html

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Di Gianfranco Pascazio
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