Putin, il diritto internazionale e la memoria del pesce rosso

Come nella maggioranza delle analisi, su questo blog sino all'ultimo momento era stato giudicata improbabile un'aggressione russa all'Ucraina, perché razionalmente lontana da un successo degli interessi del regime di Vladimir Putin. In molti abbiamo sbagliato. Un errore che ha precedenti illustri che coinvolgono ancor più illustri personaggi storici: l'ambasciatore francese Maurice Paleologue ricorda come il 23 luglio 1914 lo Zar Nicola II Romanov in un colloquio a due gli abbia espresso la convinzione che Guglielmo II Hoenzollern fosse troppo razionale per coinvolgere il suo paese in una guerra europea, dopo l'attentato di Sarajevo.  Sappiamo tutti come andò a finire. La razionalità è quindi un criterio certamente necessario per analizzare le evoluzioni della politica internazionale, ma che va sempre commisurata alle circostanze ed alle interpretazioni proprie dei singoli responsabili politici.

Tralasciando la razionalità, ci sono tre elementi, tutti collegati al diritto, che sono stati trascurati se non dimenticati, nella pluralità di opinioni ed emozioni che si sono scatenate da quando l'esercito russo ha invaso l'Ucraina: la Carta delle Nazioni Unite, il diritto bellico e il diritto dei trattati.

La Carta delle Nazioni Unite prevede all'articolo 33 che, con l'eccezione del caso di autodifesa, “Le parti di qualsiasi controversia, il cui perdurare possa mettere in pericolo il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, cercano innanzitutto una soluzione mediante negoziazione, istruttoria, mediazione, conciliazione, arbitrato, composizione giudiziaria, ricorso ad agenzie regionali o accordi o altri mezzi pacifici di loro scelta." La Russia di Putin ha violato questo principio, mettendosi fuori dal sistema, come ha accusato l'ambasciatore ucraino presso l'ONU, Sergiy Kuslytsya nel corso della riunione d'emergenza del Consiglio di sicurezza il 25 Febbraio.

Vladimir Putin ha sostenuto, e i suoi ambasciatori hanno ribadito in ogni sede, due motivi che hanno spinto la Russia a un intervento militare in Ucraina: difendere la minoranza russa in Ucraina ed evitare che il governo eletto a Kiev si schierasse a fianco della NATO. Quel che si dimentica è che l'esistenza della minoranza russa in Ucraina è dovuta alle immigrazioni forzate decise dalla Russia sovietica negli anni 1929/1933, che portò a deportare gli ucraini nell'estremo est sovietico, e radicare in Ucraina nuovi cittadini, con il risultato di una carestia che fece più di un milione di morti. Per chi si volesse documentare, è utile la lettura di "Lettere da Kharkov", pubblicato da Einaudi nel 1991, che contiene le relazioni del consolato d'Italia in quella città dell'Ucraina orientale. Pertanto  le motivazioni addotte dal presidente Putin, di per sè strumentali, in ultima analisi si rivelano create nel corso dei decenni per responsabilità della stessa Russia.

Il secondo aspetto poco approfondito è davvero singolare: Vladimir Putin ha ordinato all'esercito russo l'invasione dell'Ucraina non come una "guerra" ma come una "operazione militare speciale", fattispecie assente dal vocabolario del diritto bellico. Nel fare questo non ha inviato alcun ultimatum, non ha informato l'ambasciatore ucraino accreditato presso il Cremlino, nè ha richiamato l'ambasciatore russo accreditato presso il presidente Volodymyr Zelensky. Con il paradossale effetto di agire militarmente contro un presidente di cui riconosce formalmente la legittimità, e presso cui ha un rappresentante entro il sistema legale del diritto internazionale.

Infine la violazione dei Trattati, non solo del Trattato di Minsk del 2015, che ha riconosciuto lo status quo dopo l'annessione russa della Crimea, ma anche di un accordo ben più vecchio e significativo, che implica anche la questione delle armi nucleari, oggetto di una cinica minaccia di Putin in questi giorni. Abbiamo dimenticato che quando l'Ucraina divenne indipendente nel 1993, era la terza potenza nucleare più grande del mondo in quanto negli anni della guerra fredda migliaia di armi nucleari erano state disclocate sul suo suolo dal governo di Mosca. Negli anni che seguirono il crollo del regime sovietico, l'Ucraina, d'intesa con Mosca e con la comunità internazionale, prese la decisione di denuclearizzare completamente il suo territorio, ottenendo in cambio, una garanzia di sicurezza da Stati Uniti, Regno Unito e Russia, nota come Budapest Memorandum (5 dicembre 1994). In quell'accordo le tre potenze si impegnarono a "rispettare l'indipendenza, la sovranità ei confini esistenti dell'Ucraina" e "ad astenersi dalla minaccia o dall'uso della forza" contro il paese. Tali assicurazioni hanno svolto un ruolo chiave nel persuadere il governo ucraino a Kiev a rinunciare a quello che equivaleva al terzo arsenale nucleare più grande del mondo, composto da circa 1.900 testate nucleari strategiche. Il Presidente Putin ha quindi violato consapevolmente quell'accordo anche prima di dare l'ordine di invasione, quando ha chiesto la demilitarizzazione dell'Ucraina.

Non facciamoci illusioni, il diritto stabilisce regole, che gli uomini, e gli stati, poi possono decidere di violare. Oggi la Russia per le violazioni commesse si è posta fuori dal diritto, seguendo in modo inquietante la strategia della Germania nel 1938, e perseguendo un disegno imperiale revanscista che rischia di portare ad un conflitto generale, reso drammatico dall'opzione nucleare.

Oggi è impossibile dire quale sarà la sorte del libero stato ucraino, e ancor più difficile prevedere se e dove Vladimir Putin si fermerà. Altrettanto impossibile prevedere e un nuovo ordine mondiale possa essere fondato sulla forza dei carri armati, la violazione del diritto e il ricatto energetico. E' possibile però dire che se l'azione della Federazione Russa non rientrerà nell'alveo del diritto internazionale, sarà inevitabile lo scontro fra autoritarismo e democrazia.

M. Paleologue - La Russie des Tsars - Plon 1938
https://ukraine.mid.ru
https://legal.un.org/repertory
https://www.nato.int/cps/en/natohq/official_texts_17120.htm?selectedLocale=it