"America First" da Lindbergh a Trump
Voci dall'America

"America First" da Lindbergh a Trump

Lo slogan "America First" è stato coniato ormai 80 anni fa, nel 1940, nel periodo in cui l'America di F. D. Roosevelt si stava avviando all'entrata in guerra. Roosevelt è stato un uomo, un politico e un Presidente capace di dividere come pochi altri. Secondo le biografie più amichevoli, Roosevelt avrebbe prima salvato gli Stati uniti dalla depressione causata dalle politiche economiche sbagliate di quattro successive amministrazioni repubblicane, e poi il mondo occidentale guidando la coalizione delle potenze alleate contro i totalitarismi. Ognuna di queste affermazioni viene contestata e anzi conduce i critici del 32° Presidente americano, a conclusioni diametralmente opposte. Per i detrattori, infatti, la personalità egocentrica di FDR avrebbe costretto gli USA a subire il dramma di una guerra per nascondere il fallimento della sua politica economica, e violato in ogni modo la costituzione instaurando un regime autocratico a tendenza socialista, in cui riuscì a farsi eleggere quattro volte alla massima carica.

Nel valutare queste due posizioni estreme, la prospettiva storica può trarre in inganno, perché l'esito della Guerra mondiale potrebbe spingere l'osservatore ad essere indulgente con l'uomo che più di ogni altro contribuito ad allontanare lo spettro di un'Europa dominata dalla barbarie nazista. Cercando di analizzare gli avvenimenti con equilibrio, non si può negare che nel 1939 la grande depressione era tutt'altro che superata, e che qualche divisione affiorava fra i sostenitori del New Deal e gli stessi collaboratori di Roosevelt. Le due situazioni critiche vennero superate nel periodo bellico, quando la macchina industriale americana funzionò a pieno regime prima per diventare "l'arsenale delle democrazie", poi per entrare direttamente nel conflitto, e infine per imporre al mondo intero il nuovo ordine americano a guerra finita. L'elettorato non tolse mai la fiducia a Roosevelt, premiando con tre rielezioni gli sforzi fatti per alleviare la crisi economica e le disparità sociali. Non venne mai meno l'opposizione ferrea non solo del Partito Repubblicano, ma dell'America conservatrice delle elites economiche, di cui Roosevelt era un prodotto, che non gli perdonò mai le riforme sociali che introdussero forme di welfare pubblico, per quanto blande, almeno secondo gli standard europei,   L'argomento maggiormente divisivo riguardava la politica internazionale: Roosevelt riteneva che il  nazismo costituisse una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti, e che per questo fosse necessario aiutare tutti i nemici europei dei nazisti, persino gli odiati sovietici.

Il fronte contrario a Roosevelt era composito: gli isolazionisti tradizionali, schierati principalmente, ma non esclusivamente nel Partito Repubblicano, i nostalgici della Dottrina Monroe che avevano mal digerito anche il primo Roosevelt quarant'anni prima, i nemici giurati dei democratici e del loro presidente. E certamente anche alcuni settori delle religioni protestanti, che avevano mal digerito la preminenza dei cattolici di ascendenza irlandese fra i sostenitori di Roosevelt, e l'attivazione di un canale diplomatico con il Papa di Roma all'inizio del 1940. Questa coalizione conservatrice piuttosto tradizionale, fu supportata dalla nascita di associazioni più radicali, come il Comitato per la Difesa dell'America per gli Alleati (CDAAA), guidato dall'editore del Kansas e convinto repubblicano, William Allen White.

All'estrema destra di questo schieramento si pose l'America First Committee (AFC), fondato il 4 Settembre 1940, da un gruppo di studenti di Princeton e Yale, animato e finanziato da R. Douglas Stuart Jr., erede dell'impero della Quaker Oats Company, che guiderà dal 1966 al 1981, prima di essere nominato Ambasciatore USA in Norvegia nel 1984. Lo slogan riprendeva la campagna condotta da William Randolph Hearst contro l'intervento degli USA nel 1917. Il collante per il gruppo fu sin dall'inizio la ferma opposizione all'intervento bellico degli USA nella seconda guerra mondiale e la critica nei confronti dell'amministrazione Roosevelt, accusata di una gestione ideologica dell'economia e di volere la guerra per mascherare i suoi insuccessi. Il comitato attirò numerose personalità di spicco: Robert E. Wood, al vertice del grande gruppo industriale Sears Roebuck ed ex capo dell'esercito degli Stati Uniti; il Colonnello Charles Lindbergh, celeberrimo aviatore; Alice Roosevelt Longworth, figlia di Theodore Roosevelt; Robert Hutchins, presidente dell'Università di Chicago. La presenza di queste personalità attirò molti giovani destinati a importanti carriere politiche, fra loro i futuri ​​presidente Gerald Ford; giudice della Corte suprema, Potter Stewart; capo dei Peace Corps, Sargent Shriver; romanziere liberal, Gore Vidal; presidente di Yale, Kingman Brewster.

La popolarità di Lindbergh e la sua capacità di coinvolgere il pubblico con l'oratoria appassionata, ne fecero il leader più apprezzato ma anche più esposto del Comitato. Testimoniando di fronte alla Commissione del senato per le relazioni estere Lindbergh rifiutò di fare una distinzione tra l'Asse e gli Alleati. "Non voglio che nessuna delle due parti vinca", finendo per assimilare la sua posizione a quella di Hitler, attribuendo la responsabilità della guerra in Europa tre fattori "gli inglesi, gli ebrei e l'amministrazione Roosevelt". Il suo fervente anticomunismo lo rese cieco di fronte ad ogni efferatezza nazista (Lepore).

Molti americani diedero fiducia all'eroe della moderna aviazione che difendeva lo stile di vita americano con gesti plateali come le dimissioni dalla Guardia Nazionale e uno stile oratorio retorico quanto incisivo: "Siamo condotti verso la guerra da una minoranza del nostro popolo. Questa minoranza ha il potere. Ha influenza. Ha una voce forte. Ma non rappresenta il popolo americano. Negli ultimi anni ho attraversato questo paese da un'estremità all'altra. Ho parlato con molte centinaia di uomini e donne e ho lettere di altre decine di migliaia, che la pensano come me e te. Per questo é stato formato l'America First Committee - per dare voce alle persone che non hanno giornali, cinegiornali o stazioni radio al loro comando; alle persone che devono pagare, combattere e morire se questo paese entra in guerra". Come si vede gli argomenti non sono dissimili da quelli che, ottanta anni dopo, sono stati usati regolarmente nella narrazione populista dell'America del terzo millennio. In questa visione conservatrice e reazionaria, a prescindere dalle elezioni, il popolo è sempre ostaggio di elites che utilizzano la stampa e gli intellettuali per sottrarre il governo alla vera maggioranza. Una costante è che questa visione venga fatta propria e propagandata sempre dai detentori del potere economico finanziario e dai loro corifei, ansiosi di arrestare o almeno ritardare ogni forma di cambiamento sociale che minacci le loro rendite di posizione.

Nel giro di pochi mesi il Comitato raggiunse 800.000 aderenti, e sembrò poter diventare una forza rilevante nel panorama politico americano, ma crollò bruscamente per effetto di tre fattori: l'eccessiva radicalizzazione della figura di Lindberg come avversario di Roosevelt, la deriva antisemita che rese inevitabile l'accusa di vicinanza con il nazismo, e l'attacco Giapponese a Pearl Harbour il 7 dicembre 1941, che compattò la nazione dietro al Presidente.

Personalità pur notoriamente antisemite come Henry Ford e Avery Brundage, del Comitato Olimpico degli Stati Uniti, non attirarono l'ondata di riprovazione causata da Lindbergh con il discorso a Des Moines nello Iowa, l'11 settembre 1941. Affrontando la questione dell'immigrazione negli USA di ebrei in fuga dall'Europa,  con un complicato artificio retorico Lindbergh, premessa una certa solidarietà con gli ebri per le persecuzioni, attaccò gli immigrati ebrei, mettendone in dubbio l'attaccamento all'interesse americano per il loro appoggio all'ipotesi che gli Stati Uniti entrassero in guerra. "Invece di agitarsi per la guerra, i gruppi ebraici in questo paese dovrebbero opporsi in ogni modo possibile perché saranno tra i primi a sentirne le conseguenze", disse in quella occasione Lindbergh. E ancora, “Alcuni ebrei lungimiranti si oppongono all'intervento. Ma la maggioranza ancora non lo fa. Il loro più grande pericolo per questo paese risiede nella loro grande proprietà e influenza sui nostri film, la nostra stampa, la nostra radio e il nostro governo".

Pur giustificandosi dicendo di non volere "attaccare né il popolo ebraico né quello britannico", Lindbergh subì feroci critiche da tutta la stampa che lo accusò di simpatie filonaziste. Furono ripresi gli articoli di giornale e le voci in proposito risalenti ad un viaggio dell'aviatore in Germania nel 1936. In quell'occasione oltre a visitare fabbriche di aerei e aeroporti, Lindbergh fu ricevuto da diversi gerarchi nazisti, e premiato con una medaglia da parte di H.Goering. Per la questione ebraica il Comitato era ancora al centro di un vero scandalo politico, quando il 7 dicembre il Giappone aprì le ostilità con gli Stati Uniti, interrompendo senza preavviso il lungo negoziato diplomatico fra le due nazioni.

Solo tre giorni dopo l'attacco giapponese a Pearl Harbor, l'AFC si sciolse il 10 dicembre 1941 , e l'immagine pubblica di Lindbergh non recuperò mai il prestigio guadagnato con la sua impresa aviatoria, al punto che durante la guerra il governo respinse la sua richiesta di entrare in servizio nell'aereonautica militare.

Lo slogan "America First" è poi periodicamente riemerso all'interno dell'estrema destra repubblicana: Pat Buchanan, dopo essere stato consigliere di R. Nixon e R. Reagan, tentò di farne la base per la corsa presidenziale nel 2000, come indipendente del Partito riformista. Buchanan non riuscì ad emergere, anche per le posizioni a dir poco controverse assunte, fra cui la definizione della Seconda guerra mondiale "guerra non necessaria", o il rifiuto del libero scambio. Lo slogan deve essere piaciuto all'esordiente Donald Trump, che all'epoca fece concorrenza a Buchanan per la nomination al Partito riformista. Trump all'epoca definì il suo avversario "un amante di Hitler".

Nel 2016 Trump ha utilizzato lo slogan America First per sintetizzare i temi populisti di più facile presa sull'elettorato, in particolare delle aree rurali lontane dalle grandi città, mediamente accreditato di minore preparazione culturale e politica. Trump ha parlato alla pancia della gente, preoccupata per l'immigrazione di lavoratori sotto qualificati, l'emigrazione di aziende americane verso economie a bassissimo costo del lavoro e la globalizzazione in generale, con il suo carico di innovazione tecnologica e necessità di cambiare. Trump è riuscito ad arrivare alla presidenza scandendo "America first" ma evitando di essere attirato dal cono d'ombra del passato dello slogan. Che ha poi aggiornato con l'acronimo MAGA (Make America Great Again), che ha fatto balenare nuove possibilità di riscatto per milioni di americani, principalmente piccoli imprenditori e lavoratori autonomi, fiaccati dalla concorrenza cinese e in cerca di un'identità sociale.

Per venire ai giorni nostri, nel 2020 Trump, ben prima che le urne sancissero la sua sconfitta, aveva iniziato a ripetere che se avesse perso sarebbe stato a causa di brogli elettorali, perché la maggioranza degli americani era con lui, malgrado il cartello formato dai suoi avversari con in testa giornalisiti e intellettuali. Da ogni punto di vista una ripetizione delle argomentazioni di 80 anni prima di Lindbergh, ma si deve sperare che non sia necessaria un'altra Pearl Harbour per fare giustizia di questa deriva populista.

Materiali

https://www.theatlantic.com/politics/archive/2017/01/trump-america-first/514037/

https://www.americanyawp.com/reader/24-world-war-ii/charles-a-lindbergh-america-first-1941/

https://www.heritage.org/defense/commentary/the-truth-about-the-america-first-movement

https://www.cfr.org/blog/history-lessons-america-first-committee-forms

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