Biden e il cambiamento climatico, la sfida più difficile
Voci dall'America

Biden e il cambiamento climatico, la sfida più difficile

Il ripristino dell'adesione al Trattato di Parigi sul clima è stato uno dei primi provvedimenti del Presidente Biden dopo l'insediamento. Già durante la campagna elettorale, l'allora candidato Biden, aveva considerato il cambiamento climatico come elemento trasversale della nuova strategia nazionale tanto in politica interna che in politica estera. Nel preambolo del documento, Biden aveva enfatizzato i danni dell'approccio anti scientifico della  presidenza Trump proprio "mentre la scienza ci avverte che non sono più possibili ritardi nell'affrontare il cambiamento climatico". Non secondario il richiamo al mondo scientifico, che pure si divide spesso su tutto, ma in materia ambientale sembra concordare  su tre semplici concetti (David Victor, UCSD):

  • la temperatura media della Terra sta aumentando a un ritmo senza precedenti;
  • le attività umane, vale a dire l'uso di combustibili fossili - carbone, petrolio e gas naturale - sono i motori principali di questo rapido riscaldamento e cambiamento climatico;
  • è prevedibile che il riscaldamento avrà effetti dannosi in tutto il mondo.

La questione è ormai ineludibile per ogni governo, e la pandemia non ha fatto che allargare la questione anche alla sanità, mentre le misure concordate ad esempio per la riduzione dell'emissioni di gas serra, sono risultate insufficienti e la quantità di anidride carbonica nell'atmosfera continua ad aumentare. Va ricordato che la ricerca di un accordo comune grazie alla diplomazia multilaterale ha avuto diversi passaggi:
1987 - Protocollo di Montreal: primo storico accordo ambientale di carattere non generale, diventato successivamente un modello, verteva sull'arresto della produzione di sostanze che danneggiano lo strato di ozono, come i clorofluorocarburi (CFC). Il protocollo è riuscito ad eliminare quasi il 99% di queste sostanze che riducono lo strato di ozono. Nel 2016, le parti hanno concordato tramite l'emendamento di Kigali di ridurre anche la loro produzione di idrofluorocarburi (HFC);
1992 - Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), Ratificata da 197 paesi, inclusi gli Stati Uniti, è stato il primo trattato globale ad affrontare esplicitamente il cambiamento climatico, ha istituito un forum annuale (COP) per discussioni internazionali volte a stabilizzare la concentrazione di gas a effetto serra nell'atmosfera. Questi incontri hanno prodotto il Protocollo di Kyoto e l'Accordo di Parigi.
2005 - Protocollo di Kyoto, adottato nel 1997 ed entrato in vigore nel 2005, è stato il primo trattato legalmente vincolante sul clima. Ha richiesto ai paesi sviluppati di ridurre le emissioni in media del 5% rispetto ai livelli del 1990 e ha istituito un sistema per monitorare i progressi dei paesi. Ma il trattato non obbligava i paesi in via di sviluppo, compresi i principali emettitori di carbonio Cina e India, ad agire. Gli Stati Uniti hanno firmato l'accordo nel 1998 ma non l'hanno mai ratificato e successivamente hanno ritirato la firma.
2015 - Accordo di Parigi. L'accordo globale sul clima più significativo fino ad oggi, l'accordo di Parigi richiede a tutti i paesi di stabilire impegni di riduzione delle emissioni. I governi fissano obiettivi, noti come contributi determinati a livello nazionale, con l'obiettivo di impedire che la temperatura media globale aumenti di 2 ° C (3,6 ° F) sopra i livelli preindustriali e perseguire gli sforzi per mantenerla al di sotto di 1,5 ° C (2,7 ° F). Mira inoltre a raggiungere le emissioni globali nette zero, dove la quantità di gas serra emessa è uguale alla quantità rimossa dall'atmosfera, nella seconda metà del secolo. Oltre agli USA, dopo che Trump ha cancellato l'adesione nel Novembre 2020 alla vigilia della sconfitta elettorale, solo Angola, Eritrea, Iran, Iraq, Libya, Sud Sudan, Turchia e Yemen non hanno ancora formalmente approvato l'accordo.

L'importanza della partecipazione degli Stati Uniti a questo movimento globale è evidente, ma ne vanno sottolineate due implicazioni: coordinando impegni ambientali e politica bilaterale nei confronti della Cina, il principale responsabile di emissioni negli ultimi decenni, gli USA possono ottenere vantaggi superiori a qualsiasi rigidità tariffaria. Inoltre l'accentuata sensibilità ambientale che attraversa tutto il mondo, può essere un ottimo argomento per rafforzare la leadership degli Stati Uniti.

Biden intende ridare all'America un ruolo trainante in questo movimento globale, e per fare questo ha promesso durante la campagna elettorale uno sforzo nazionale volto a creare i posti di lavoro necessari per costruire un'infrastruttura moderna e sostenibile ora e fornire un futuro di energia pulita. L'investimento previsto sarà di $ 2 trilioni, con un piano per distribuire quelle risorse nel suo primo mandato, prendendo una rotta irreversibile che soddisfi gli ambiziosi obbiettivi climatici che la scienza richiede.

Il piano annunciato da Biden se realizzato potrebbe costituire una svolta per gli Stati Uniti ma anche per per le economie collegate, perché oltre a investimenti di vasta portata sulle infrastrutture, e in generale gli edifici, favorendo un grande piano di ristrutturazioni, intende dare una scossa all'industria automobilistica. Questo settore trainante dell'industria americana, si è visto quasi sorpassato dalla concorrenza cinese, ma Biden intende invertire la tendenza sfruttando il potere degli appalti federali per aumentare la domanda di veicoli puliti di fabbricazione americana, incoraggiando i consumatori a scegliere prodotti climaticamente compatibili. Nel contempo un grande supporto è previsto per l'innovazione delle tecnologie energetiche, a cominciare dalle batterie per auto, che potrà avere anche ricadute commerciali fuori dagli USA.
In materia di trasporti Biden si propone di innescare la seconda grande rivoluzione ferroviaria, con l'obbiettivo di fornire all'America un sistema ferroviario più pulito, sicuro e veloce. Ma anche rivoluzionare tutte le reti di trasporti municipali, supportando le comunità in ogni angolo del paese in modo che nessuno venga lasciato indietro o tagliato fuori. A questo fine Biden ha fissato l'obiettivo che le comunità svantaggiate ricevano il 40% dei benefici complessivi della spesa nei settori dell'energia pulita e della diffusione dell'efficienza energetica.
Anche in agricoltura, Biden intende mobilitare la prossima generazione di lavoratori per la conservazione dell'ambiente e la resistenza ai consumi sfrenati e illogici, attraverso un Civilian Climate Corps: una nuova generazione di americani patriottici al lavoro per preservare le terre pubbliche, rafforzare la resilienza della comunità e affrontare il cambiamento climatico.

Dopo quattro anni di disimpegno degli Stati Uniti di Donald Trump, Biden si è impegnato non solo a ripristinare la leadership climatica degli Stati Uniti, ma anche ad accelerare la decarbonizzazione degli Stati Uniti e delle economie globali. La determinazione di Biden di mettere "il cambiamento climatico all'ordine del giorno nella sala delle decisioni"  è positiva, ma la politica ambientale globale di Biden non può essere limitata al cambiamento climatico, perché l'emergenza ecologica del pianeta non si limita al riscaldamento globale. Il mondo sta vivendo un drastico declino delle specie e degli ecosistemi, mettendo a repentaglio gli innumerevoli servizi che il mondo naturale ci fornisce e che spesso diamo per scontati. Questi benefici vanno dall'ossigeno che respiriamo e l'acqua pulita che beviamo, agli insetti che impollinano le nostre colture, ai microrganismi che arricchiscono i nostri terreni, ai prodotti farmaceutici che otteniamo dagli organismi, alle barriere coralline che sostengono una sana pesca e molto altro ancora.

Biden garantisce che con gli investimenti proposti sarà possibile fare interventi coordinati in questi settori, ed allo stesso tempo che si creeranno posti di lavoro stabili e trasparenti. Questi consentirà di espandere e difendere la classe media, e riavviare la mobilità sociale bloccata da troppo tempo per la disparità nelle opportunità economiche.

Un vero e proprio libro dei sogni sulla cui pratica attuabilità due domande sorgono spontanee: ammesso che il governo USA riesca a mobilitare le risorse finanziarie necessarie, come verrà realizzata operativamente la massa di provvedimenti necessari per mettere in pratica le indicazioni qui elencate ? E più di tutto: sapendo che l'amministrazione Biden dispone di una risicata maggioranza (1 voto al Senato grazie al vicepresidente Harris, 11 alla Camera) riuscirà Biden a produrre lo sforzo organizzativo necessario senza rischiare di essere attaccato dall'opposizione repubblicana per avere messo in piedi una struttura burocratica di tipo socialista ? Si intende socialista nel senso in cui questo termine viene usato in America: l'intervento federale che supplisce alla libera iniziativa per raggiungere obbiettivi di interesse nazionale.  Perché senza una sovrastruttura che ricordi la NRA di Roosevelt, appare arduo poter stimolare e coordinare il sistema imprenditoriale perché lavori secondo gli obbiettivi posti dal governo.

L'amministrazione Biden, pur forte della maggioranza in entrambe le camere,  conta di poter dialogare con il GOP per rendere la legislazione in materia durevole qualunque cosa avvenga nel 2024. Il primo passo di questo dialogo è stato fatto con l'approvazione bipartisan a fine dicemebre 2020 del Relief Bill con le misure di sostegno a fronte della pandemia. Grazie all'accordo fra i due partiti sono state approvate in quel provvedimento anche tre norme dirette alla riduzione significativa dei gas serra: promuovendo tecnologie per "catturare" e immagazzinare l'anidride carbonica prodotta da centrali elettriche e impianti di produzione; riducendo le emissioni diesel di autobus e altre categorie speciali di veicoli; autorizzando una riduzione su 15 anni degli idrofluorocarburi, o HFC, che vengono utilizzati in diversi prodotti, dalle automobili ai condizionatori d'aria.

Secondo gli osservatori (A. Hill,  M. Babin - Center of Foreign Relations) nominando John Kerry come responsabile speciale del piano ambientale, il neo Presidente ha mandato tre chiari segnali: in primo luogo, che gli Stati Uniti sono tornati in gioco a livello internazionale in materia di cambiamento climatico. In secondo luogo, si dimostra l'intenzione dell'amministrazione Biden di far sì che gli Stati Uniti riassumano il ruolo della leadership globale sul clima, rafforzando anche l'impegno degli Stati Uniti per la diplomazia climatica. In terzo luogo, indica che il governo degli Stati Uniti tratterà il cambiamento climatico non solo come una sfida ambientale, ma anche come una crescente minaccia alla sicurezza nazionale. La garanzia dell'impegno americano è data inoltre dalla precedente attività di Kerry, quando come responsabile della Commissione esteri del Senato aveva messo il cambiamento climatico al centro dell'agenda senatoriale. E ancor più perché da segretario di stato di Obama, Kerry è stato protagonista e firmatario del Trattato di Parigi. Kerry potrà contribuire a tutte le decisioni di Biden, e così facendo darà anche un contributo essenziale ad una rinnovata credibilità degli Stati Uniti a livello internazionale.

Se le aspettative sono alte, l'ala più liberal, estremamente motivata sul tema, mostra qualche timore, scottata da troppe precedenti esperienze negative. In generale i progressisti temono che la ricerca di compromessi con il Partito Repubblicano finisca per snaturare l'agenda legislativa di Biden. Inoltre hanno ben presente l'esperienza del 2015 degli ambientalisti in Canada, dapprima sollevati quando il leader liberale Justin Trudeau ha sconfitto il primo ministro conservatore Stephen Harper, dovendo poi sperimentare che un'amministrazione progressista, non comporta l'automatica fine della pressione contro le politiche attive sul cambiamento climatico.

Ma soprattutto, come osserva Daniel Quiggin del londinese Institute of Foreign Affairs, siamo ormai all'ultima chiamata, in quanto "è imperativo che le società di tutto il mondo chiedano ai propri governi di rendere conto ora - non in futuro - di come intendono esattamente raggiungere obiettivi climatici ambiziosi. In caso contrario, si verificheranno rischi climatici che superano di gran lunga gli impatti della pandemia globale del 2020". Anche per questo la sfida climatica appare come la più complessa e decisiva, perché come ha detto Biden nel discorso inaugurale: "Pochi nella storia della nostra nazione, sono stati messi alla prova maggiormente o affrontato un'epoca più o difficile".

https://joebiden.com/clean-energy/
https://www.worldpoliticsreview.com/articles/29252/biden-s-environmental-agenda-must-go-beyond-climate-change
https://www.cfr.org/in-brief/biden-climate-change-policy-why-climate-envoy-matters
https://newrepublic.com/article/160709/joe-biden-betray-climate-movement-like-justin-trudeau
https://www.chathamhouse.org/2020/12/climate-ambitions-will-fail-without-decarbonization-now
https://apnews.com/article/technology-climate-climate-change-john-barrasso-legislation-7e1db709dc1fa91ce6516f27459cdf93
https://www.cfr.org/backgrounder/paris-global-climate-change-agreements
https://foreignpolicy.com/2021/01/19/america-biden-climate-change-global-leadership/?utm_source=PostUp&utm_medium=email&utm_campaign=29423&utm_term=Morning Brief OC&?tpcc=29423

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