Elisabetta II: il Regno Unito fra Europa e Stati Uniti
In occasione della morte della Regina Elisabetta d'Inghilterra (1926-2022), la maggior parte dei commentatori ha messo l'accento sulla straordinaria durata del regno di Elisabetta. E' anche opportuno sottolineare un altro aspetto altrettanto straordinario: l'estensione planetaria dell'influenza di questo singolare capo di stato che per settanta anni "ha regnato ma non governato".
La prima area su cui la Regina ha esercitato la sua autorevolezza è stata quella del Commonwealth britannico. Erede di un impero coloniale che in disfacimento, Elisabetta ha contribuito al mantenimento del legame fra la madre patria ormai lontana anche politicamente e le ex colonie dell'epoca vittoriana. Se il Commonwealth esiste e coinvolge governi e popoli dal Canada alla Nuova Zelanda, è grazie al costante lavorio della corona. Il lungo viaggio inaugurale di quasi 6 mesi che seguì l'incoronazione nel 1952, segnò l'inizio di un legame ancor oggi fortissimo fra ex colonie e la persona della sovrana. Gli esempi di questo legame sarebbero infiniti, ne basti uno. Nel 1999 in Australia solo il 55% degli elettori si espresse contro la nomina di un capo di stato australiano eletto. Ma vent'anni dopo il leader repubblicano di Sidney ed ex primo ministro, Malcolm Turnbull, ammetteva con una punta di amarezza che "non è pensabile una nuova campagna per l'abolizione della monarchia sino alla fine del regno della Regina Elisabetta". Che è stata la personificazione non solo dell'istituzione monarchica, ma della sua ragion d'essere e sopravvivere nell'era democratica.
In Europa la Regina di Balmoral, per restare solo all'ultimo periodo, ha alimentato le illusioni di quanti sulle due sponde della Manica speravano che la Brexit non si realizzasse, dopo discorso del 12 marzo 2014 al Parlamento Europeo, in cui disse che "I fondatori della comunità europea non avevano immaginato un confortevole club a porte chiuse, ma una comunità competitiva nella quale ogni membro potesse esporre il suo punto di vista. Questo ha portato all'attuale dinamismo della comunità, che accetta nuovi membri mantenendo legami di amicizia e cooperazione con un mondo più ampio". Due anni dopo, l'opportunismo politico di David Cameron dilapidò questo patrimonio di lungimirante cooperazione, favorendo la Brexit.
Ma é nel rapporto con gli Stati Uniti che emerge il lato forse più peculiare della capacità di Elisabetta II di esercitare un peso politico e culturale, pur senza detenere alcuna leva di potere effettivo. Infatti, come ha scritto nell'editoriale del 9 settembre scorso "Le Monde", Elisabetta ha saputo "mettere in secondo piano l'anacronismo della monarchia, e anzi ha accresciuto la sua popolarità adattandola al presente pur salvaguardando l'illusione che sia immutabile". Nei confronti degli ex coloni ribelli di Washington l'opera di Elisabetta è stata la continuazione e il perfezionamento di quella di Giorgio VI, suo padre. All'inizio degli anni Trenta del secolo scorso la politica americana era in ogni senso distante da quella inglese: l'isolazionismo delle amministrazioni repubblicane succedute a quella di W. Wilson aveva il suo reciproco negli ultimi sprazzi della gloria dell'Impero coloniale britannico. L'abdicazione di quello che resta nella storia come il Duca di Windsor e la minaccia nazista, cambiarono radicalmente la situazione, portando nuovamente ex madre patria ed ex colonie ribelli a parlare la stessa lingua. I protagonisti assoluti furono da parte americana F. D. Roosevelt ed H. Hopkins, mentre da parte britannica se W. Churchill fece la parte del leone, Giorgio VI ebbe un ruolo decisivo nel contenere la fronda filo nazista dell'aristocrazia inglese e avvicinare le istituzioni di Westminster all'alleanza trans oceanica. Elisabetta ha rappresentato la continuità su questa direttrice, con discrezione e tatto, ma esercitando grazie al suo prestigio un'ispirazione inflessibile e coerente. Come ha scritto Politico all'indomani della scomparsa della Regina, Elisabetta è stata "l'arma non tanto segreta della special relationship" fra le due nazioni. Harold Macmillan, allora Primo Ministro, disse che Elisabetta aveva “seppellito Giorgio III per sempre”. E con lui le scorie della Rivoluzione Americana di due secoli prima. In un discorso tenuto a a Filadelfia il 6 luglio 1976, in occasione del bicentenario della Repubblica, la Regina disse "il Giorno dell'Indipendenza dovrebbe essere celebrato tanto in Gran Bretagna quanto in America, non per rallegrarci per la separazione delle colonie americane dalla Corona britannica, ma per esprimere sincera gratitudine ai Padri Fondatori di questa grande Repubblica per aver insegnato alla Gran Bretagna una lezione molto preziosa... Abbiamo imparato a rispettare il diritto degli altri a governarsi da soli modi. Senza quel grande atto per la causa della libertà, compiuto nell'Independence Hall duecento anni fa, non avremmo mai potuto trasformare un impero in un Commonwealth". Parole essenziali per stabilire una volta per tutte il legame irrinunciabile fra l'ex grande potenza coloniale e quella che sarebbe stata, sia pure per pochi anni, la sola super potenza planetaria. E che è parte di un legame che coinvolge tutta l'Europa, alla cui cultura gli Stati Uniti si sono ispirati in un dinamica che è ancora profondamente vitale.
Grazie a Elisabetta II, personificazione dell'istituzione monarchica, questa dinamica è risultata essenziale per compattare l'occidente e le democrazie liberali. Fra le tante incognite di questi anni travagliati in cui l'equilibrio internazionale conseguente all'ultima guerra mondiale è messo in discussione anche con le armi, dobbiamo chiederci se la monarchia britannica riuscirà ancora a nascondere la sua obsolescenza. E se come ha fatto mirabilmente Elisabetta, sarà in grado di mantenere l'unità nazionale di fronte all'ansia indipendentista scozzese, all'irrisolto nodo irlandese e all'inquietudine gallese. La macchina del tempo che Elisabetta II è riuscita a nascondere se non a fermare, potrebbe rimettersi in moto.
https://www.newyorker.com/magazine/2022/09/19/the-secret-to-the-queens-success