Gli Stati Uniti devono avere una politica estera ?
Voci dall'America

Gli Stati Uniti devono avere una politica estera ?

"Does america need a foreign policy? Towards a diplomacy for the 21st century" è il titolo di un saggio di Henry Kissinger pubblicato venti anni fa nel 2001, poco prima che l'attacco alle Twin Towers introducesse l'argomento della lotta al terrorismo fra le priorità di ogni governo di Washington, e la questione della sicurezza nazionale avesse per la prima volta nella storia americana un carattere anche difensivo dei confini nazionali. Indubbiamente le riflessioni dell'ex professore di Harvard prestato alla politica e divenuto ascoltato consulente di molti governi, facevano riferimento a una situazione in cui la fine della guerra fredda, e insieme la teoria allora seducente della fine della storia (Fukuyama), sembravano aprire scelte facili e tutte vincenti ai governanti USA. La storia è invece andata avanti, seguendo percorsi completamente inattesi. Negli ultimi venti anni la posizione degli Stati Uniti come unica super potenza è stata incrinata dalle azioni militari anti terrorismo e dalla concorrenza economica e strategica della Cina, e persino F. Fukuyama ha dovuto rettificare la visione apocalittica del suo saggio campione di incassi. E' perciò interessante confrontarsi oggi con la vecchia analisi di Kissinger, uno scienziato della politica che per oltre dieci anni è stato il decision maker della politica estera americana, per poi condizionare e consigliare sino ad oggi presidenti e ministri degli esteri, per non parlare dell'opinione pubblica e dei capitani d'industria clienti della sua Kissinger Associates.

Riprendendo le vesti dello studioso, ma consapevole del ruolo della sua voce critica nel dibattito politico americano, Kissinger in quel saggio ripercorse l'evoluzione della posizione degli Stati Uniti all'interno della società internazionale, da quando il neo costituito stato nazionale si trovò a muovere i primi passi in un mondo ancora retto dai principi del Trattato di Westphalia del 1648. Libertà religiosa degli stati, mantenimento dell'equilibrio fra le potenze, rispetto della sovranità nazionale e non interferenza negli affari interni degli stati, furono gli assiomi stabiliti in quell'occasione, che sarebbero poi stati profondamente modificati nell'Ottocento, dopo il ventennio di turbolenza intercorso fra la rivoluzione francese e la restaurazione del 1815.  I principi moraleggianti della giovane repubblica americana ben si accordavano con questo sistema, e la conseguente Dottrina Monroe, delimitando l'interesse di Washington all'emisfero americano, ebbe come conseguenza uno scarso interesse per la politica estera nella politica USA. Quando nella prima metà dell'ottocento la presidenza Jackson plasmò l'America moderna, questa visione restò intatta, e influenza ancora oggi un'area politica ben precisa: quella che Kissinger definì dei Jaksoniani.

Dovettero passare cento anni perché il corollario di T. Roosevelt e la successiva partecipazione alla guerra mondiale nel 1917 dessero sbocco politico alla pressione verso lo sviluppo all'estero imposto dalla dirompente crescita dell'economia americana. La nuova dottrina, che avrebbe dominato la politica estera americana per tutto il XX secolo, venne codificata da W. Wilson: la missione degli Stati Uniti era di trasmettere la democrazia a tutto il mondo, in base all'eccezionalità dell'esperimento americano ed alla sua presunta superiorità morale sulle altre nazioni. Politici e accademici USA che hanno seguito questa dottrina sono chiamati da Kissinger i "wilsoniani", una categoria che attraversa lo schieramento politico tradizionale, trovando sostenitori fra repubblicani e democratici.

Ad ispirare parzialmente entrambi gli schieramenti le idee di uno dei padri fondatori degli USA, A. Hamilton, che non fu mai al vertice dello stato, e tuttavia diede un contributo teorico fondamentale. Per Hamilton la politica estera era un mezzo per garantire le condizioni ottimali per lo sviluppo del commercio, e quindi facilitare l'affermazione degli Stati Uniti di cui aveva intuito il formidabile potenziale di crescita. Chi si riallaccia a questi insegnamenti viene definito da Kissinger, "hamiltoniano".  

Nell'apparente assoluta diversità, nel recente passato non si sono discostate da queste linee le amministrazioni Clinton, con il multilateralismo flessibile, Bush jr che cercava di riaffermare un ordine economico internazionale fondato sulla potenza americana, Obama, votato a un sistema internazionale liberale assediato dal nazionalismo e dal terrorismo, e in qualunque modo persino Trump, che ignorava qualunque idea di struttura internazionale e puntava tutto sull'unilateralismo targato America.

Dopo la presidenza Trump  e la ventata di neo isolazionismo che ha comportato, sei mesi di amministrazione Biden sono stati orientati a ristabilire la funzione di guida degli Stati Uniti negli affari internazionali, ma senza la possibilità di ricreare una qualunque forma egemonica.

Il problema centrale per gli Stati Uniti è quello di perven‍ire, o almeno tendere, ad un sistema di sicurezza collettiva mondiale, che non va confuso con i sistemi di alleanze militari; Kissinger definisce con chiarezza la differenza fra un'alleanza ed un sistema di sicurezza. L'alleanza riunisce un certo numero di stati che difendono un territorio o un principio, e che a questo fine stabilisce come condurre la missione che l'alleanza si è data, anche con meccanismo automatici di intervento. Il sistema di sicurezza collettiva è un concetto giuridico, un insieme di accordi orientati alla sicurezza collettiva che intervengono per risolvere situazioni contingenti che impattano con la tutela dei partecipanti al sistema. La sicurezza in questo senso non è solo militare ma anche, come ci insegnano le crisi globali che stiamo vivendo, climatica, sanitaria, alimentare ed economica. In particolare si è confuso il globalismo economico con il globalismo tout court, mentre la globalizzazione commerciale degli ultimi decenni è stata solo una componente dell'instabilità internazionale.

Non ci si deve illudere che la NATO possa evolvere, come da alcune parti si richiede, da alleanza militare a sistema di sicurezza collettiva, troppo limitato il suo campo d'azione, ristretto al nord atlantico, e troppo militare la sua struttura e filosofia di intervento. Ciò non toglie che la NATO possa essere un modello per la soluzione di nuove situazioni di instabilità, contingenti, limitate e parziali.

Henry Kissinger, come si comprendeva sin dal sottotitolo, che correggeva il titolo, dava una complessa risposta alla domanda retorica posta sulla opportunità per gli Stati Uniti di avere una politica estera. Una risposta largamente positiva, ma che va adattata alle circostanze della situazione internazionale. Furono necessari quasi due secoli perché i grandi imperi Indiano e Cinese venissero sovrastati dalle potenze occidentali, grazie alla superiorità tecnologica e militare. Con la velocità che il cambiamento ha assunto nella nostra epoca, è stato sufficiente qualche lustro per riportare a competere in ogni senso la grande democrazia indiana e l'ibrido intreccio di capitalismo e liberismo che spinge la Cina, sempre aspettando l'Africa.

L'occidente ha però nel frattempo maturato l'offerta politica di un sistema basato sulla democrazia e sulla forza della legge (nel preciso senso di rule of law), basi culturali e politiche che definiscono l'Occidente rispetto alle offerte politiche come quella della Cina, e sono il contrario dell'imperialismo militare, del colonialismo ma anche del cinismo opportunista, che apre la porta alla xenofobia che si insinua nelle nostre società.

Con queste promesse il governo di Washington è chiamato a riformulare in ogni epoca la dottrina di politica estera americana, per cui, in particolare in un sistema internazionale globalizzato come quello attuale, è impossibile per gli Stati Uniti ritirarsi dal mondo. E come Kissinger preconizzava, "è nell'interesse americano che l'Europa diventi parte più attiva nella gestione degli affari mondiali, ma non è interesse degli Stati Uniti che questo avvenga in opposizione all'America".

Il libro

Il Libro

Euramerica

Di Gianfranco Pascazio
Edizioni l'Ornitorinco

Acquistalo ora su: