Mario Draghi, supremo burocrate fra Roma, la UE e Washington
I rapporti con gli Stati Uniti del neo presidente del Consiglio Italiano Mario Draghi vanno ben oltre la lusinghiera citazione fatta recentemente da Bruno Tabacci dell'opinione di Barak Obama sull'allora Presidente della BCE: "se avete un problema chiedete che ne pensa Draghi".
Per inquadrare le relazioni fra Draghi e Washington si deve tornare almeno all'intervento del 2012 di Draghi, molto citato in questi giorni, in cui, insieme alle fatidiche parole "BCE is ready to do whatever it takes to preserve the euro", paragonò l'euro a un calabrone, non dotato dalla natura della possibilità di volare, che pure vola. La valutazione americana della metafora è ben sintetizzata dal commento di allora di un commentatore indipendente come Paul Krugman: "...nel lungo periodo l’euro potrà funzionare solo se l’Unione Europea assumerà le caratteristiche di un Paese unificato...L’acquisto di bond non è una cosa semplice". In un momento storico in cui la Germania e l'Inghilterra bloccavano ogni ipotesi di aumento dell’inflazione, gli USA erano compatti nel guardare con favore ad un contenimento della dottrina Draghi. Nel giro di alcuni anni il neo isolazionismo anti atlantico di Trump, la Brexit e la pandemia, hanno completamente cambiato la situazione.
Nel 2021 la storia, tutt'altro che finita, sta dando un nuovo giro di manovella: una ritrovata concordia accomuna le principali nazioni UE, mentre l'era Merkel si chiude con una inedita sintonia fra governo tedesco e commissione europea, e a Washington la presidenza Biden riapre la dinamica positiva fra interessi strategici americani ed europei.
In questo quadro la Presidenza Draghi sembra avere la duplice, concomitante, missione di salvare l'Italia, un altro calabrone, e l'area dell'Euro. Perché il titanico sforzo finanziario della UE potrebbe essere vanificato se una componente essenziale dell'unione come l'Italia dovesse fallire nel piano di rilancio.
Come ha ammonito Manuela Moschella da Chatham House, esiste il serio rischio che la luna di miele di Draghi, accolto con quasi unanime entusiasmo, possa rivelarsi breve. Ci sono forze politiche non secondarie, in Italia e in Europa, che non sono interessate a un successo pieno dell'esperienza del governo tecnico/politico inaugurata il 13 febbraio. In Italia l'opposizione delle estreme cercherà di trarre profitto dall'identità "tecnica" del nuovo governo, con la narrativa dei poteri forti già ampiamente usata, con successo, contro Mario Monti. Ma anche fra le forze che nominalmente sostengono il governo Draghi, inevitabilmente ci saranno settori che lavoreranno per accelerare il ritorno ad un governo partitico, previo passaggio elettorale anticipato. In Europa gli estimatori dell'ex Presidente della BCE sono tanti quanti i suoi detrattori, che vanno dai nazionalisti tedeschi e olandesi, ai sovranisti dell'Est. In genere tutti i coloro che sono interessati a massimizzare il profitto nella loro partecipazione alla UE, minimizzando i trasferimenti di sovranità alle istituzioni comunitarie. E ansiosi di mantenere aperta la porta ad un rapporto con sapore di passato con la Russia di Putin, le cui ansie revansciste passano per una preoccupante tendenza all'egemonia. Con la variabile cinese incombente, alla ricerca della supremazia commerciale globale, contro gli Stati Uniti e a danno dell'Europa.
Dal punto di vista strettamente localistico della nostra penisola, il governo Draghi conferma la trentennale instabilità della terza Repubblica. Per la terza volta le formazioni politiche italiane, che tranne una rifiutano ormai di essere etichettate come "partiti", rinunciano alla loro missione di dare un governo alla nazione, affidandola ad un "papa straniero". Che per la seconda volta viene scelto nei ranghi dell'alta burocrazia, quell'elite che intrattiene un rapporto malsano con il potere politico. Mai disposta come contro potere, la nostra burocrazia guadagna sempre maggiore spazio di manovra grazie alla progressiva perdita di competenza della classe politica, iniziata con i kit di immagine di Berlusconi e continuata dalla formula "uno vale uno" di Grillo.
Con tutto il rispetto per le sue incontestabili professionalità e fedeltà alle istituzioni, Mario Draghi a Palazzo Chigi è fuori ruolo. E' come un allenatore calcistico che non ha mai giocato a pallone in vita sua, che si alza dalla panchina, per essere improvvisamente schierato al centro dell'attacco. Noi tifosi, beninteso, speriamo che segni gol a grappoli, ma quando fra pochi o tanti mesi, dovesse passare alla squadra del Quirinale, come tutti preconizzano, la squadra Italia si ritroverà nuovamente alle prese con una classe politica inadeguata.
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