Sandro Gerbi racconta Lisa Sergio tra Firenze, Roma e Washington
La storiografia non accademica ci ha presentato negli ultimi mesi i ritratti di due donne nella tempesta del fascismo: in primavera aveva suscitato dibattiti la rilettura originale della vita di Claretta Petacci per la firma di Mirella Serri; dopo l'estate i lettori hanno potuto scoprire la biografia della meno nota Lisa Sergio, scritta da Sandro Gerbi, giornalista e storico, noto soprattutto come studioso dello spezzone prettamente milanese della cultura laica e liberale del novecento.
Interessa, in questa sede, il racconto che Gerbi fa della controversa storia della Sergio, giornalista moderna e in anticipo sui tempi, che iniziò la carriera a Firenze negli anni venti per finirla a Washington, quarant'anni dopo. Dopo gli esordi nel piccolo mondo cosmopolita dei giornali dedicati alla colonia anglosassone, la Sergio arrivò nel 1933 alla nascente radio fascista (UIR poi EIAR) su segnalazione di Guglielmo Marconi, dopo un'intervista allo scienziato per conto del suo giornale anglofilo. In poco tempo divenne la voce ufficiale in lingua inglese del regime, guadagnandosi in Italia una discreta popolarità fra addetti ai lavori e specialisti, e nel contempo si fece conoscere all'estero. La Sergio per la qualità naturale di una voce adatta a quello che allora sembrava il mezzo di comunicazione e propaganda del futuro, riuscì ad imporsi in un ambiente non solo maschilista ma sostanzialmente misogino, come quello del regime fascista. Non mancavano alla Sergio le capacità e l'intelligenza per destreggiarsi fra il mondo della cultura e quello della politica, che il regime fascista aveva in larga parte riunito sotto il controllo teoricamente totale di sottosegretari e ministri addetti alla propaganda, sempre in bilico fra il ridicolo e il tragico. Si può dire che la Sergio abbia avuto il ruolo che ai giorni nostri è detenuto dalle conduttrici televisive, che hanno riprodotto sotto l'occhio indiscreto della telecamera i salotti di tempi meno tecnologici. Sarebbe interessante una macchina del tempo che ci consentisse di vedere all'opera oggi personalità complesse e votate al narcisismo, come ad esempio quelle di Curzio Malaparte o di Galeazzo Ciano.
Proprio una probabile liaison con Ciano fu all'origine del brusco allontanamento nel 1937 di Lisa Sergio dalla radio fascista, cui l'allora trentaduenne giornalista reagì con un immediato trasferimento negli Stati Uniti, dove per oltre dieci anni riprese a commentare la politica europea prima, su presentazione ancora di Marconi, per la NBC, una delle major, e poi per l'emittente privata WQXR, di cui divenne poi azionista il New York Times. Il precedente coinvolgimento con il regime fascista rese controversa la figura della Sergio, la cui conversione alla democrazia venne giudicata ambigua e poco credibile dai settori più conservatori della classe politica americana. I tempi erano difficili a causa dell'attività di spionaggio condotta sul territorio americano principalmente da tedeschi e giapponesi, ma anche da parte di elementi fascisti, come nel caso eclatante dell'espulsione dell'addetto militare italiano a Washington ammiraglio A. Lais nel 1941.
Finita la guerra paradossalmente ripresero le difficoltà per Lisa Sergio, nel segno della caccia alle streghe. A partire dal 1944 la Sergio fu controllata e schedata dal FBI di H. Hoover come sospetta comunista, e questa etichetta finì per renderle impossibile continuare il lavoro radiofonico, per l'ostilità di una parte della classe dirigente americana. Ancora una volta le doti personali della Sergio consentirono una nuova trasformazione: adottata dall'amica Ann Batchelder nel 1941 e naturalizzata americana nel 1943, ben introdotta nei circoli liberal della capitale, l'ex voce di Mussolini divenne, sino alla morte nel 1989, apprezzata animatrice culturale e conferenziere e non le mancò talvolta il sostegno ufficiale del governo americano, tanto che svolse numerose missioni culturali all'estero per conto del Dipartimento di stato.
La tradizionale dicotomia della politica americana, sempre giocata nella divisione fra progressisti e conservatori, esercita un influsso che può risultare drammatico sulla vita degli individui, come emerge chiaramene nel caso di Lisa Sergio. La dinamica fra i due opposti poli, genera una sintesi benefica per l'insieme della nazione, ma con costi personali per i singoli, che possono risultare molto pesanti.
L'itinerario personale della Sergio si compì all'interno di uno dei capitoli più scabrosi del Novecento: la propaganda, dall'uso che ne fecero i regimi totalitari europei, alla società dell'informazione che ha contrassegnato il dopo guerra. I singoli attori del sistema della propaganda sono stati protagonisti e vittime di quella che è stata definita "la zona oscura dove le opinioni si dissolvono, dove l'opinione della massa diventa un amalgama inestricabile di illusione e realtà" (J. Diggins). La manipolazione dell'informazione fra ascesa e caduta dei regimi nazi fascisti è stata oggetto di studi ampi e approfonditi, per tutti quelli di Susan Sontag ( Fascinating fascism ) e George L. Mosse (Nazism: Historical and Comparative Analysis of National Socialism, e L'uomo e le masse). Una problematica che l'era digitale che viviamo non ha fatto che complicare e rendere ancor più oscura e complessa.
La sorte di Lisa Sergio fu comunque meno drammatica di quella di altre voci celebri della propaganda nazi fascista. Il caso forse più eclatante riguarda William Joyce, che fece in senso inverso alla Sergio la traversata dell'Atlantico da New York a Londra, divenendo la voce della British Union of Fascists, il partito di sir Oswald Mosley. Alla vigilia del conflitto Joyce scelse di trasferirsi in Germania e parlando da radio Berlino, finì col personificare la propaganda nazista in Gran Bretagna, e venne per questo condannato per alto tradimento e giustiziato nel 1946.
Non è escluso che in futuro possano emergere dal segreto e dall'oblio degli archivi nuove informazioni che permettano di rileggere l'avventura umana di Lisa Sergio fra Italia e Stati Uniti , ma per il momento la rievocazione di Sandro Gerbi, impreziosita da un apparato ragionato di note e approfondimenti, offre un quadro intrigante e stimolante della sua vita, che suggerisce riflessioni più ampie sui rapporti fra cultura, propaganda e regimi politici.