Stati Uniti: tornano gli scioperi
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Stati Uniti: tornano gli scioperi

Nella dinamica sociale americana lo sciopero è mai stato raramente un fattore cruciale. Storicamente il ricorso a quella forma di pressione da parte delle organizzazioni sindacali è piuttosto raro, per due ordini di motivi. In primo luogo la più ampia facoltà dei datori di lavoro di punire un dipendente che sciopera arrivando sino al licenziamento. Inoltre il conflitto sociale americano, che è forse più violento del nostro dal punto di vista sostanziale, paradossalmente avviene con minori occasioni di scontro diretto.  La difesa del diritto di sciopero è talmente debole che persino i fondi pubblici che venivano erogati per studi destinati monitorare il fenomeno a istituti come la Cornell  University, tagliati negli anni 80 da R. Reagan, non sono mai stati riassegnati .

La prestigiosa università di Ithaca pubblica nuovamente solo da due anni un rapporto (https://www.ilr.cornell.edu/faculty-and-research/labor-action-tracker-2022) , registrando nel un aumento del ricorso agli scioperi del  52%.  Circa 224.000 lavoratori nel 2022 sono stati coinvolti in 424 interruzioni del lavoro (417 scioperi e 7 serrate); erano state 279 nel 2021. Fra i più noti negli anni scorsi, gli scioperi del settore alimentare (Starbucks) e dell’istruzione. Un dato significativo é che, secondo il rapporto, circa un terzo degli scioperi nel 2022 sono stati organizzati da lavoratori non sindacalizzati.

Nelle ultime settimane però abbiamo assistito a tre ondate di scioperi con forte risonanza mediatica in settori molto diversi: hanno cominciato gli sceneggiatori cinematografici, che hanno messo in subbuglio l'industria del cinema, o quel che ne resta. Li hanno seguiti i lavoratori dell'auto di Detroit, bloccando la produzione di tre delle quattro maggiori case automibilistiche che ancora fanno definire la città del Michigan "motor city", la capitale americana del'auto.

Adesso in California tocca agli infermieri di una delle più grandi catene di cliniche e case di riposo: gli 85.000 dipendenti della Kaiser Permanente dal 3 ottobre hanno iniziato un un massiccio sciopero che sta mettendo in difficoltà gli ospedali che servono quasi 13 milioni di pazienti. Kaiser opera in 9 stati con 300 ospedali e cliniche che occupano oltre 300.000 dipendenti, di cui 87.000 medici e infermieri. Tutto il settore sanitario è sotto stress per le diatribe politiche sull'assicurazione sanitaria e per i pesanti carichi di lavoro, esacerbati dagli anni della pandemia. I sindacati nello scorso agosto hanno chiesto alla Kaiser un salario minimo orario di 25 dollari al giorno, nonché aumenti del 7% ogni anno nei primi due anni e del 6,25% ogni anno nei due anni successivi.

A livello federale il sindacato americano é potente e ricco di iscritti e fondi, anche se le norme poste a tutela del lavoro sono meno vincolanti di quelle nostrane, e non sfugge alla diminuzione del ruolo di rappresentanza dei lavoratori che si registra  in tutto l'occidente. Ma resiste, ad esempio usando i media, con propria rete via cavo e siti internet che riportano mappe interattive con le azioni sindacali in corso in tutti gli USA (https://aflcio.org/strike-map).

I rapporti fra datori di lavoro e dipendenti negli Stati Uniti danno per scontata la posizione predominante dei datori di lavoro, e sono considerati sostanzialmente buoni. Malgrado l'aumento degli scioperi non ci sono segnali forti di inversione di questa tendenza, nè di peggiormento delle relazioni industriali. Ma una volta definita nel bene o nel male questa vertenza, nel settore resterà il problema di definire numerosi livelli di servizio minimi, a partire dal rapporto infermieri/pazienti, oltre a quozienti salariali adeguati. Il welfare americano è un complesso meccanismo di concerto fra intervento pubblico ed iniziativa privata, e lo stesso ormai può dirsi di molti comparti industriali.

Gli scioperi di questi mesi fanno suonare un campanello d'allarme, piccolo ma certo, che l'ingranaggio delle istituzioni americane non funziona più senza attriti.

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