Biden prudente nella difficile crisi in Medio oriente
L'amministrazione Biden ha scelto il basso profilo di fronte alla fiammata bellica fra Hamas e Israele. Il Presidente ha limitato le dichiarazioni a generici richiami alla necessità di pacificare la regione, e il Segretario di Stato Blinken ha mandato due missioni nell'area. Il fine sembra essere di riportare l'orologio alla fine del 2016, per riannodare il filo della soluzione condivisa.
Alla fine del 2016, l'amministrazione Obama cercò di smorzare il conflitto israelo-palestinese in modo permanente. Invece di bloccare una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che condannasse l'espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania e Gerusalemme est, gli Stati Uniti si astennero. Il Segretario di Stato John Kerry nel suo discorso di addio segnalò che la possibilità della soluzione "due stati - due popoli" era resa difficile se i coloni israeliani si fossero avvicinati ulteriormente alla terra dei palestinesi. "Non possiamo difendere e proteggere adeguatamente Israele se permettiamo che una soluzione praticabile a due stati venga distrutta sotto i nostri occhi", disse Kerry.
Nei quattro anni successivi, il presidente Donald Trump, affidando la gestione dell'area al genero Jared Kushner, scelse di appoggiare senza condizioni Israele sugli insediamenti e sul conflitto in generale. Trump ha considerato Benjamin Netanyahu uno dei alleati preferiti, e appoggiato concretamente l'espansione di Israele nel territorio detenuto dai palestinesi.
L'eredità di Trump ha complicato il compito del Presidente Biden, che si trova di fronte alla necessità di decidere fra una continuità che non sembra permettere sbocchi condivisi, e una discontinuità difficile da realizzare. Finora, Biden ha evitato di farsi coinvolgere direttamente nel conflitto, limitando i suoi interventi a generici inviti alla pacificazione, e restando equidistante di fronte all'escalation della tensione dopo che Hamas è passata dalle proteste al lancio di razzi sul territorio israeliano, e Israele si è affidata alla reazione militare nelle ultime settimane.
"La mia aspettativa e speranza è che questo finirà prima o poi, ma Israele ha il diritto di difendersi quando vede migliaia di razzi volano nel suo territorio", ha detto Biden, misurando attentamente le parole.
Alle Nazioni Unite, gli Stati Uniti hanno bloccato l'approvazione delle risoluzioni che chiedevano un cessate il fuoco immediato. Da allora, il bilancio delle vittime palestinesi è drammaticamente con centinaia di morti, inclusi oltre 50 bambini, dopo che Israele ha raso al suolo l'edificio che ospitava gli uffici dei media, attirando la condanna internazionale. In una conversazione telefonica con Netanyahu, Biden ha espresso per la prima volta il sostegno a un cessate il fuoco, ma ha evitato di chiedere la fine della campagna di bombardamenti israeliani a Gaza e del lancio di razzi di Hamas da Gaza verso Israele.
Lara Friedman, presidente della Fondazione per la pace in Medio Oriente, ha affermato che per i sostenitori dei diritti dei palestinesi, l'approccio di Biden ha fatto ben poco: "Il senso di delusione e tradimento è palpabile e le parole di Biden sono lette chiaramente dal governo israeliano come un semaforo verde", ha detto, riferendosi alla dichiarazione pubblica di Biden la scorsa settimana.
Durante gli anni di Trump, forse la dimostrazione più evidente di sostegno all'espansione israeliana nel territorio detenuto dai palestinesi è stata l'annuncio, nel 2017, che gli Stati Uniti avrebbero spostato la loro ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendo la città santa contestata come capitale di Israele. Abitata da un misto di musulmani, ebrei e cristiani, Gerusalemme riveste un ruolo di rilievo in qualsiasi potenziale negoziato su una soluzione a due stati. I sostenitori dello stato palestinese hanno a lungo definito il controllo di Gerusalemme est non negoziabile. Nel 1995, il Congresso approvò una legge - votata da Biden, allora senatore - che riconosceva Gerusalemme come capitale di Israele, ma nessun presidente degli Stati Uniti aveva preso provvedimenti per trasferire lì l'ambasciata. Durante la campagna elettorale, Biden aveva definito la mossa Trump "miope" , ma non ha mai detto che sarebbe tornato indietro.
Di fronte all'escalation militare sembra impossibile tornare a parlare di una "soluzione a due stati" anche secondo Yousef Munayyer, scrittore e analista politico palestinese-americano dell'Arab Center di Washington: "l'amministrazione Trump aveva sostanzialmente seppellito la prospettiva dei due stati e la nuova amministrazione non ha ancora articolato un percorso per il futuro".
Anche la questione del Golan sembra procedere fra prove di forza e la politica del fatto compiuto: nel marzo 2019, Trump aveva riconosciuto ufficialmente la sovranità di Israele sulle alture del Golan, un altopiano contestato di cui Israele ha assunto il controllo nel 1967 a spese della Siria, e che la maggior parte dei principali alleati americani continua a considerare illegalmente "occupato" da Israele. La mossa di Trump aveva suscitato la condanna del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, nonché di eminenti politici democratici, che l'hanno definita una violazione del diritto internazionale. Ma la politica congiunta di Netanyahu e Mike Pompeo, l'ultimo Segretario di Stato di Trump, sembravano trasformare la violazione in principio, perché secondo Friedman "riconoscendo l'acquisizione del Golan gli Stati Uniti hanno stabilito un nuovo principio di diritto internazionale, secondo il quale una nazione può mantenere la terra che ha acquisito in una guerra difensiva, e quel principio consentirebbe a Israele di mantenere anche la Cisgiordania".
L'amministrazione di Biden è estremamente cauta nell'affrontare la riscrittura della politica statunitense. Il Segretario di Stato Antony Blinken ha affermato a febbraio che il controllo della regione del Golan "rimane di reale importanza per la sicurezza di Israele" dando così la sensazione di non avere piani immediati per rivedere la politica dell'amministrazione Trump, che aveva anche autorizzato il proprio ambasciatore israeliano a visitare Ariel, un insediamento in Cisgiordania. La visita ruppe il tradizionale riserbo sulla questione, per non legittimare l'espansione, e venne criticata anche da J Street, un gruppo di lobbismo ebraico di sinistra, in quanto rappresentava superamento di "una linea rossa importante e di lunga data della politica bipartisan degli Stati Uniti". Biden ha condannato gli insediamenti in Cisgiordania - che i palestinesi considerano territorio essenziale del loro futuro stato - ma non ha indicato che intende prendere misure significative per fermarli. Nel frattempo, il governo israeliano ha gettato le basi per ulteriori invasioni, compresi grandi investimenti nelle infrastrutture degli insediamenti.
Yousef Munayyer, sostiene che senza una discontinuità, l'amministrazione Biden rischia di appoggiare tacitamente l'espansione israeliana in terra palestinese. "la politica americana, a prescindere dall'amministrazione - Clinton, Bush, Obama, Trump - ha contribuito a incentivare una corsa a destra nella politica israeliana, assicurando che non ci siano conseguenze per quanto viene fatto".
L'amministrazione Trump aveva interrotto il sostegno americano al programma di aiuti delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi e altre forme di sostegno ai residenti dei territori palestinesi. Biden si è impegnato a riprendere a inviare milioni di dollari in assistenza. Un'agenzia delle Nazioni Unite fornisce assistenza sanitaria a più di tre milioni di palestinesi, assistenza scolastica e altri aiuti; ad aprile, l'amministrazione Biden ha detto che avrebbe inviato 150 milioni di dollari all'agenzia, oltre a stanziare 85 milioni di dollari in aiuti diretti ai palestinesi.
Ma la realizzazione di questi progetti necessità del ripristino di un piano politico diretto alla soluzione "due stati", perché il Congresso è legato dal Taylor Force Act del 2018, che limita gli aiuti fino a quando i palestinesi non avranno accettato determinate condizioni. Biden sta per questo lavorando per riaprire i canali diplomatici con l'Organizzazione per la liberazione della Palestina. Nel 2018, Trump aveva chiuso la missione OLP a Washington, chiudendo così ogni canale di dialogo diplomatico con la regione, ad eccezione di Israele. Biden si è impegnato a riaprire la missione OLP, ma anche in questo deve districarsi da un'altra trappola di Trump: il predecessore di Biden aveva firmato una legge che, in contrasto con una sentenza della Corte Suprema, rendeva OLP vulnerabile di fronte a vertenze legali per risarcimento dei danni provocati dalle azioni militari palestinesi.
La prudenza di Biden è quindi motivata da almeno tre fattori: l'oggettiva difficoltà di trovare una soluzione all'ormai secolare questione palestinese, la politica israeliana del fatto compiuto e l'eredità di Trump. La diplomazia americana è al lavoro dietro le quinte, come ha detto il portavoce del Dipartimento di Stato: con "60 colloqui telefonici la scorsa settimana, che includono il Presidente, il Segretario, altri alti dirigenti in Israele, l'Autorità Palestinese e in tutta la regione. Gli Stati Uniti continueranno a rimanere impegnati con alti funzionari israeliani, leadership palestinese e partner nella regione." Un'attività che lascia sperare che con il supporto americano presto si possa giungere ad una fase nuova che renda vivibile il Medio Oriente.