G7 - forma e sostanza, un coro di applausi, ma Piketty dissente
Voci dall'America

G7 - forma e sostanza, un coro di applausi, ma Piketty dissente

I lavori del G7 che si è riunito in Cornovaglia nello scorso fine settimana, aprono una fase nuova nella politica internazionale. Probabilmente è presto per dire con quali risultati immediati, ma si deve cominciare col prendere atto della situazione post vertice. A questo fine un buon punto di partenza è il comunicato emesso dai 7 "grandi" al termine dei lavori, nel quale non è sempre agevole distinguere la forma diplomatica dalla sostanza politica.

Il preambolo si occupa di chiudere l'era Trump, laddove i leaders del G7 dichiarano che "guidati dai nostri ideali ed in quanto società libere ed aperte, e con il nostro impegno per il multilateralismo, abbiamo concordato di condividere l'agenda per un'azione globale". Quindi, ritorno al multilateralismo per affermare senza retorica ma senza cedimenti, il primato delle società democratiche di stampo occidentale, allineate dietro gli Stati uniti di Biden.

Nel merito, dopo avere ricordato lo sforzo sanitario, logistico ed economico fatto per superare la pandemia, con accenti che saranno piaciuti a Mario Draghi (continueremo a sostenere le nostre economie per tutto il tempo necessario) i leaders hanno ribadito il sostegno alla proposta Biden di una minum tax al 15% per le multinazionali. L'impegno comune, limitato a enunciare principi generali, si è esteso anche ad una futura, ma ancora vaga, riforma delle regole del WTO. Sulla questione digitale, confermata l'intenzione di regolare in comune l'evoluzione dei sistemi, e l'opposizione al loro uso anti democratico, il gruppo ha proposto un'agenda di lavoro che porti al "Future Tech Forum" previsto nel settembre di quest'anno in ambito OECD-OCSE. L'intenzione è di tradurre finalmente in pratica le intenzioni già manifestate nei precedenti G7 in Canada e Francia nel 2018 e 2019, coinvolgendo i privati nella gestione del cambiamento. Sul capitolo climatico, una volta riaffermato il ritorno di tutti i membri del G7 all'accordo di Parigi, sono stati anche confermati gli obbiettivi di riduzione dell'uso del carbone entro il 2030, che si avvicina rapidamente. E' stato adottato il "G7 2020 Nature Compact"  che contiene quattro impegni specifici, con qualche indicazione concreta: - rendere operative azioni in favore della biodiversità che assicurino la conservazione di almeno il 30% della terra e del 30% degli oceani, - supportare la transizione verso una gestione sostenibile delle risorse naturali combattendo le attività non sostenibili e illegali in particolare limitando l'inquinamento da plastica degli oceani -    aumentare gli investimenti per la protezione, conservazione e il ripristino dell'ambiente naturale - rendere una priorità per tutti i membri il controllo periodico dei risultati del Compact e dell'implementazione delle misura concordate.

Gli impegni sulla parità di genere sono stati ripetuti senza troppe misure concrete, ad eccezione della decisione di stanziare 2,75 miliardi di dollari per il programma "Global Partnership for Education"destinati a sostenere iniziative volte alla riduzione delle ineguaglianze.

Quanto alla politica, secondo alcuni osservatori sulla Cina c'è stato nel corso del summit un certo disaccordo tra gli alleati. Mentre Biden spingeva per un approccio coordinato più aggressivo nei confronti della Cina, ricevendo pieno appoggio di Regno Unito, Canada e Francia, più moderati i vertici Ue, Italia e Germania hanno proposto una forma di relazione più collaborativa con Pechino. Nel comunicato finale sulla Cina c'è però spazio solo per la posizione pro Biden, che indica a Pechino  i limiti invalicabili su diritti umani, escalation militare e concorrenza commerciale illegale, ma allo stesso tempo  impegna le democrazie del G7 a: "continuare a consultarsi su approcci collettivi per sfidare politiche e pratiche non di mercato che minano il funzionamento equo e trasparente dell'economia globale”, Analogamente, nel lungo paragrafo finale dedicato a "Responsabilità Globale e Azione Internazionale", il G7 si è interamente allineato alla politica dell'amministrazione Biden su tutti gli scenari geopolitici. Che contiene forse la nuova e più sostanziale sfida che Biden lancia alla Cina, sull'Africa: se i paesi del G7 faranno seguire i fatti alle parole, l'occidente potrebbe tornare ad agire politicamente in Africa, dopo un quinquennio di abbandono della regione al tentativo di egemonia cinese.

Nel coro piuttosto unanime di consensi occidentali per i risultati del vertice in Cornovaglia, spicca dissonante la voce di Thomas Piketty, l'economista francese autore di alcuni dei più importanti best seller economici dell'ultimo decennio, che su "Le Monde" ha pubblicato un'articolata contestazione della "minimum tax", che è qui interamente riproposta:

"Lo scorso fine settimana i ministri del G7 hanno annunciato l'intenzione di applicare un'aliquota minima del 15% sui profitti offshore delle multinazionali. Intendiamoci: se lasciamo le cose a questo, non è niente di più e niente di meno che la formalizzazione di una vera e propria licenza di evadere rilasciata ai più ricchi. Per le piccole e medie imprese, così come per le classi lavoratrici, è impossibile creare una filiale per trasferire i propri profitti o il proprio reddito in un paradiso fiscale. Per tutti questi contribuenti non c'è altra scelta che pagare le tasse ordinarie. Tuttavia, se sommiamo le tasse sul reddito e sugli utili e i contributi previdenziali, sia i dipendenti che i piccoli e medi autonomi si trovano a pagare aliquote in tutti i paesi del G7 ben superiori al 15%: almeno il 20-30%, e spesso 40-50%, o anche di più.

La risoluzione del G7 inopportuna come dimostra il sito web proPublica che ha appena pubblicato un vasto sondaggio che conferma quanto i ricercatori avevano già dimostrato: i miliardari americani non pagano quasi nessuna imposta sul reddito rispetto all'entità del loro arricchimento, al contrario del resto della popolazione. In pratica, l'imposta sulle società è spesso l'ultima imposta pagata dai più ricchi (quando la pagano). I profitti si accumulano in società o strutture ad hoc (trust, holding, ecc.), che finanziano la maggior parte dello stile di vita delle persone in questione (jet privati, carte bancarie, ecc.), quasi senza alcun controllo. .Legalizzando il fatto che le multinazionali potranno continuare a localizzare i loro profitti nei paradisi fiscali, con un'aliquota del 15% come unica tassa, il G7 sta ufficializzando l'ingresso in un mondo in cui gli oligarchi pagano strutturalmente meno tasse degli altri della popolazione.

Come si può evitare questo punto morto? In primo luogo, è necessario fissare un'aliquota minima superiore al 15%, cosa che ogni Paese può fare da subito. Come ha dimostrato l'Osservatorio fiscale europeo, la Francia potrebbe applicare un'aliquota minima del 25% alle multinazionali, che le porterebbe 26 miliardi di euro l'anno di introiti fiscali, pari a quasi il 10% della spesa sanitaria. Con un'aliquota del 15%, solo leggermente superiore a quella applicata in Irlanda (12,5%), la misura diventa innocua, e le entrate sarebbero appena di 4 miliardi. Parte dei 26 miliardi potrebbe essere utilizzata per migliorare il finanziamento degli ospedali, delle scuole e della transizione energetica; un'altra parte per alleggerire il carico fiscale sui lavoratori autonomi e sui dipendenti meno abbienti. Quel che è certo è che è illusorio aspettarsi l'unanimità europea su una decisione del genere. Solo un'azione unilaterale, idealmente con il sostegno di pochi paesi, può sbloccare la situazione. L'Irlanda o il Lussemburgo presenteranno senza dubbio un ricorso alla Corte di giustizia europea, sostenendo che i principi di assoluta libera circolazione dei capitali (senza alcuna compensazione fiscale, sociale o ambientale) definiti 30 anni fa vietano una tale misura. Difficile dire come deciderà la Corte di giustizia, ma se necessario queste regole dovranno essere denunciate e riscritte.

Inoltre, è necessario considerare che l'imposta sugli utili d'impresa non può essere l'imposta finale per gli azionisti o per i dirigenti d'impresa. Deve tornare ad essere ciò che non avrebbe mai dovuto cessare di essere, ovvero un anticipo nell'ambito di un sistema fiscale integrato, con imposta finale progressiva sui redditi a livello individuale. Le proposte del G7 devono essere esplicitamente inquadrate in questo contesto. In teoria, sappiamo che negli ultimi anni i paesi ricchi hanno implementato sistemi per la trasmissione automatica delle informazioni bancarie internazionali sulle partecipazioni transfrontaliere e sui redditi finanziari individuali. Perché i paesi del G7 non rendono pubbliche le informazioni sulle tasse pagate da persone appartenenti a gruppi ad alto reddito e patrimonio cospicuo (con scaglioni tra 1 e 10 milioni di euro, tra 10 e 100 milioni di euro, tra 100 milioni di euro e 1 miliardo di euro, e così via) ? A giudicare dall'indagine ProPublica, ci si renderebbe probabilmente conto che i più ricchi pagano meno, viste le possibilità di manipolazione al ribasso del loro reddito fiscale individuale, e che solo un'imposta progressiva sul patrimonio permetterebbe di tassarli in modo sostanziale e in relazione alla loro ricchezza.  In ogni caso, piuttosto che aspettare le prossime decisioni, tutti i governi dovrebbero rendere immediatamente pubblico l'importo delle tasse pagate dai loro miliardari e milionari, soprattutto in Francia.

Da ultimo, ma non meno importante, questa discussione deve essere finalmente aperta ai paesi del sud. Il meccanismo previsto dal G7, secondo il quale ogni Paese è responsabile di addebitare un'imposta minima alle proprie multinazionali, è accettabile solo se si tratta di un pagamento anticipato all'interno di un più ampio sistema di distribuzione del gettito. Il G7 solleva la possibilità che una parte degli utili al di sopra di un certo punto di pareggio (più del 10% annuo del capitale investito) venga distribuita in base alle vendite nei diversi paesi. Ma questo sistema riguarderà solo piccole somme e si ridurrà sostanzialmente alla redistribuzione tra i paesi del Nord. Se questi ultimi vogliono davvero raccogliere la sfida cinese, migliorare la loro immagine degradata e soprattutto dare al Sud la possibilità di sviluppare e costruire Stati vitali, è urgente che i paesi poveri abbiano una quota significativa dei ricavi delle multinazionali e dei miliardari di il pianeta."

Difficile per chiunque contestare un mostro sacro come Piketty, ma la sua appare come una critica che, pur evidenziando le contraddizioni dell'ordine internazionale, si rivolge più al passato che al futuro che gli Stati Uniti di Biden stanno disegnando. Un futuro tutto da costruire, nel quale gli interessi di singole nazioni e specifici gruppi di interesse trovino limitazione in un concerto delle nazioni. Non si tratta certo di una novità: la stabilità dei rapporti fra soggetti statali, e l'equilibrio fra potenze aventi diverso peso specifico è una tendenza che dal 1500 si ripete con alterna fortuna nelle relazioni internazionali. Per adesso si può annotare che questo è l'obbiettivo di Joe Biden, un obbiettivo tutt'altro che rivoluzionario, anzi orientato alla conservazione dello status quo. La variabile cinese sembra costituire la maggiore incognita sul successo di questo disegno, insieme alla debole maggioranza di Biden al Congresso, che potrebbe finire per nuocere al presidente USA sul piano internazionale.

https://www.g7uk.org/wp-content/uploads/2021/06/Carbis-Bay-G7-Summit-Communique-PDF-430KB-25-pages-3.pdf

https://www.lemonde.fr/blog/piketty/2021/06/15/the-g7-legalizes-the-right-to-defraud/

ProPublica’s Tax Revelations Lead to Calls for Reforms — and Investigation
The Secret IRS Files series has already sparked a conversation about the fairness of the U.S. tax code and raised privacy concerns.

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