Guerra in Terrasanta: un problema americano
Al momento del devastante attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, gli Stati Uniti stavano operando da mediatori tra Israele e Arabia Saudita per ripristinare le relazioni diplomatiche tra Jedda e Gerusalemme. L’accordo che secondo molte fonti era vicino alla firma, non aveva al centro la soluzione del rompicapo palestinese, né si occupava direttamente di contrasto al terrorismo, ma intendeva cercare di un nuovo equilibrio regionale in cui i la sistemazione dei territori palestinesi sarebbe stata non la condizione ma la conseguenza che avrebbe permesso di evitare atti terroristici, e di cogliere il duplice obbiettivo, sin qui apparso utopico, di conciliare l'esistenza dello stato palestinese con la sopravvivenza di Israele.
L'iniziativa americana era interessante perché metteva fine ad un oblio che durava da almeno 35 anni, ovvero dalla prima intifada. Preoccupati dalla crescita dei regimi arabi estremisti, gli USA in questo periodo sono intervenuti anche militarmente in altri punto dell'area, come Irak e Afghanistan, ma hanno relegato la questione palestinese ai margini della geopolitica. Così le istanze estremiste che sfociano nel terrorismo e comprometteno la stabilità regionale, si sono progressivamente rafforzate anche per la contemporanea ascesa del fondamentalismo islamico, che ha reso permanenti le guerre in Libano e Siria, e creato nuove reti di sostegno agli estremisti palestinesi. Affrontare in modo costruttivo il nodo palestinese sarebbe stata anche una delle premesse per creare un legame diplomatico stabile fra Israele e gli Stati arabi, proprio mentre la causa palestinese da laica affermazione dell’ideologia panaraba, degenerava in un'espressione del pan-islamismo, cavalcato dagli estremisti religiosi e dai regimi teocratici.
In questi anni Washington, per il sostegno costante a Gerusalemme, aveva visto indebolirsi il rapporto fiduciario con la classe dirigente araba, peraltro divisa la suo interno per la secolare frattura fra sciiti e sunniti, e per i divergenti interessi economici. Dopo trenta anni di guerre e di lotta al terrorismo, che hanno lasciato irrisolti tutti i problemi nazionali in Afghanistan e Iraq, l'amministrazione Biden stava cercando di costruire un nuovo equilibrio di potere in Medio Oriente, anche per ridurre la presenza militare e gli investimenti americani in Medio oriente. La normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia Saudita, accomunati nell'ostilità verso l’Iran, avrebbe portato un significativo risultato per le due parti e per il mediatore: Israele avrebbe potuto affrontare in modo diverso l'eterno problema della sua sicurezza, l'Arabi Saudita si sarebbe rafforzata come potenza egemone nell'area, rimettendo al loro posto i piccoli ma attivi emiri del golfo, e gli Stati Uniti avrebbero potuto guardare con più tranquillità alle scorribande medio orientali di Russia (intervento in Siria) e Cina (penetrazione economica e militare).
La storia della Terrasanta é nota: due popolazioni sono state costrette ad allontanarsi da quei luoghi in epoche lontane fra loro. E ambedue i popoli oggi reclamano il loro diritto di vivere sulla terra che è stata, in epoche diverse, dei loro padri, e rivendicano la libertà di organizzarsi ciascuna in base alle forme statuali che desiderano. Il diritto alla sopravvivenza di Israele é accomunato a quello della sopravvivenza della Palestina, come avevano intuito Yasser Arafat et Itzhak Rabin, quando siglarono l'accordo di Oslo del 1993, sotto l'auspicio del presidente americano William Clinton. Prendere parte per una o l'altra delle due nazioni oltre a non facilitare in alcun modo la comprensione della storia e della situazione attuale, equivale fra l'altro a ripudiare il principio fondante dell'ONU e dell'ordine mondiale stabilito da due guerre mondiali nel Novecento, l'autodeterminazione dei popoli.
I termini della questione non sono molto cambiati da quando nel 1948 la comunità internazionale diede il suo avallo per la creazione dello stato di Israele dopo l'Olocausto. Immediatamente sorse la questione della coabitazione dei due popoli sullo stesso territorio. Nel 1948 l'ambasciatore americano a Londra Lewis Douglas, scriveva al segretario di stato George Marshall: "Il conflitto tra Israele e Palestina non potrà essere limitato a Terrasanta e Medio Oriente, e sta già mettendo seriamente a repentaglio la pietra angolare della politica statunitense in Europa come la partnership con la Gran Bretagna". 75 anni anni dopo, con discreta coerenza malgrado 21 segretari di stato si siano nel frattempo succeduti, per gli Stati Uniti l'esplosione del conflitto in Medio Oriente rappresenta un grave rischio per la stabilità politica delle relazioni con tutte le aree circostanti, Medio Oriente ed Europa. Sia detto per inciso, e anche anche se qualcuno vorrebbe dimenticarlo, uno dei partner europei più a rischio in questo senso è l'Italia. Viste le connessioni della geopolitica, c'è una ripercussione immediata anche sulle relazioni con i competitor globali, siano esse in via di miglioramento, come nel caso della Cina, che al minimo storico o quasi, come nel caso della Russia di V. Putin.
Paradossalmente l'attivismo iraniano a sostegno di Hamas può divenire un fattore che favorisce la compattezza delle nuove alleanze in via formazione: il mondo arabo, fortemente diviso su molti fronti, non sembra disposto ad accettare una leadership degli ayatollah di Teheran. Proprio per contrastare questa ipotesi stava per verifarsi il rafforzamento dei legami dell'Arabia Saudita con gli USA. Il tutto in uno scenario di politica interna americana, sempre inestricabilmente legata alla politica internazionale, in cui una delle linee di attacco per la rivincita di D. Trump è il neo isolazionismo. Una vittoria del candidato estremista che sta imponendo la sua visione al partito repubblicano, potrebbe mettere fine al ruolo imperiale degli USA, ma al prezzo di una crisi anche della loro leadership economica. Per quanto riguarda Israele, malgrado le retoriche dichiarazioni di Trump come nel caso dell'ambasciata spostata a Gerusalemme, una politica isolazionista impedirebbe agli Stati Uniti di essere costantemente presenti a difesa di Israele, e questo cambierebbe molto in Medio Oriente.
Agli abitanti di Gaza e Tel Aviv probabilmente poco importa chi sarà il prossimo presidente americano, ma in realtà molta parte del loro destino dipenderà proprio dalle elezioni presidenziali del 2024.
https://www.nytimes.com/2023/10/16/us/politics/biden-israel-trip.html
https://history.state.gov/historicaldocuments/frus1948v05p2/pg_1031