Stati Uniti: ciclo conservatore o pausa nella storia ?
La teoria dei cicli nella politica americana è molto nota, ed è stata proposta con formule diverse da numerosi storici, consentendo oggi di leggere l'evoluzione della repubblica a stelle e strisce da molteplici angoli visuali.
La sentenza della Corte Suprema di Washington che ha sancito la fine del diritto all'aborto negli Stati Uniti, appare come il possibile annuncio di una restaurazione profonda di principi e atteggiamenti mentali che sembravano appartenere solo al passato. Lo ha apertamente, e impudentemente, scritto nell'opinione di sostegno il giudice Clarence Thomas, che ha così dettato l'agenda per lo smantellamento di altre libertà civili, come il matrimonio fra persone dello stesso sesso, il controllo delle nascite, e l'intera teoria sessuale liberale degli ultimi 50 anni. L'analisi delle conseguenze della sentenza ha fra l'altro evidenziato come a causa delle differenze di normativa fra i diversi stati, i cittadini saranno suscettibili di maggiori limitazioni nella loro libertà di comunicazione e spostamento, altrimenti inconcepibili sotto il profilo costituzionale. Situazione cui il Presidente Biden ha cercato di porre rimedi con l'ordine esecutivo del 8 luglio 2022.
Appare quindi legittimo chiedersi se negli Stati Uniti stia iniziando un ciclo storico conservatore, con il prevalere della morale e della religione, e in cui l'isolazionismo potrebbe tornare ad essere un sentimento dominante, con conseguenze immediate anche per l'Europa nel tempo del neo imperialismo russo.
Il ciclo espansivo delle libertà interne e della presenza americana nel mondo venne preparato nei primi venti anni del secolo scorso in due tempi: dapprima con l'attenuazione della dottrina Monroe da parte di T. Roosevelt. Poi con la messianica visione del ruolo degli Stati Uniti propria di W. Wilson, che passò dalla teoria alla pratica coinvolgendo gli Stati Uniti nella guerra europea, per poi condizionare la definizione dell'assetto politico internazionale nella successiva conferenza di pace di Versailles.
Ma prima che la lunga presidenza di F. D. Roosevelt cementasse il nuovo blocco sociale ed il ruolo planetario degli USA, ci fu un decennio di pausa conservatrice, coincidente con gli anni venti del secolo scorso. Anche allora fu un vittorioso progetto della destra conservatrice ad imporre quella che sembrava una svolta definitiva nello sviluppo della nazione. Il 16 gennaio 1920 entrava in vigore il 18° emendamento alla Costituzione USA, dopo una battaglia parlamentare di molti mesi (presentato il 22 luglio 1919 divenne legge il 28 ottobre 1919), che incluse il veto presidenziale, vanificato da una doppia pronuncia del Congresso. La norma è passata alla storia con il nome di Volstead Act, da Andrew Volstead, un deputato repubblicano del Minnesota di orgine norvegese, che, sotto la spinta di una estesa rete nazionale di associazioni contrarie al consumo di alcol, religiose e non, si fece promotore della norma simbolo del proibizionismo e di tutto il decennio che precedette la grande depressione.
Sino alla cancellazione nel 1933 (21° emendamento), negli USA divenne proibito "..fabbricare, vendere, barattare, trasportare, importare, esportare, consegnare, fornire o possedere qualsiasi liquore inebriante, salvo quanto autorizzato nella presente legge, e tutte le disposizioni di questa legge devono essere interpretate liberamente in modo da impedire l'uso di liquori inebrianti come bevanda". Il limite posto a soli 0,5% o più di alcol, insieme all'effetto incentivante per le attività criminali, finì per far capire agli americani quanto insensato fosse cercare di imporre costumi intolleranti e rigidi in una società complessa e vitale come quella americana.
Anche un secolo fa era stata la Corte Suprema ad aprire la strada alla restaurazione, con una sentenza (Jacob Ruppert vs Caffey - 251 U.S. 264 - estensore il liberale Louis Brandeis) che aveva sancito la liceità del prolungamento anche in tempo di pace della limitazione al consumo di liquori instaurata durante l'emergenza bellica, e proprio in quella misura del 0,5% del volume totale.
Ora come allora la classe dominante sembra voler mettere al bando qualsiasi cosa che non sia perfettamente coincidente con la sua idea del decoro e dell'ortodossia (Kerri Maher). Oggi come allora c'è un meccanismo perverso di formazione dell'intolleranza. I figli di immigrati fingono di non essere tali, e ai nuovi venuti si imputava anche la diffusione del Covid, come un secolo fa dell'influenza spagnola. Radicalizzati sin dall'adolescenza, i suprematisti bianchi si scontrano con i compagni afro americani e avversano il multiculturalismo. Nelle migliori università le idee razziste e classiste sono rimaste a lungo sotto traccia, ma affioravano già nel linguaggio patriottardo e neo liberista del Tea Party e di altre associazioni nativiste. Con l'emergere della figura politica di D. Trump, questa fascia di giovani ha scoperto un idolo e un capo naturale. La rabbia nativista, grazie al supporto politico dell'allora presidente ed all'intelaiatura teorica offerta dal suo entourage (S. Miller - S. Bannon) ha trovato poi sfogo violento nelle numerose sparatorie letali, da El Paso a Charlottesville. Si è così innestata una spirale per cui forti del sostegno del capo e della sua corte, i nativisti di base con la loro fedeltà alle bugie di Trump sulle elezioni del 2020 hanno incoraggiato gli impulsi più estremisti dell'ex Presidente.
Vedremo nel prossimo futuro se la mentalità austera e reazionaria che è stata espressa dalla maggioranza della Corte Suprema si imporrà nella società, o sarà solo una pausa nel progresso della storia (e nella storia del progresso). Quel che purtroppo è certo è che a pagare il conto di questa pausa saranno le donne americane la cui vità verrà segnata se non rovinata dalla negazione dell'accesso ad un diritto che si erano conquistate in due secoli.
https://www.loc.gov/rr/main/images/volstead-act.pdf
https://supreme.justia.com/cases/federal/us/251/264/
https://www.latimes.com/opinion/story/2022-07-04/american-flag-symbolism-political-trump-racism
https://www.nytimes.com/2022/07/02/opinion/abortion-ban-sex.html